La demografia e le elezioni Americane
I lettori di Neodemos saranno forse stupiti dallo spazio che questo sito ha dato, negli ultimi tempi, alle elezioni americane1. Ma se ben riflettiamo, due considerazioni giustificano appieno questa attenzione. La prima è che negli Stati Uniti la demografia (demographics, nel linguaggio corrente) è fattore influente nelle consultazioni elettorali. Età, residenza, famiglia, mobilità, appartenenza etnica, sono fattori importanti nelle scelte degli elettori. Non che questo non sia vero per l’Europa, o per l’Italia, ma lo è in modo attenuato: le etnie nuove, per esempio, sono comunità di immigrati per lo più senza diritto di voto; la mobilità interna è molto minore; la popolazione è stazionaria mentre negli Stati Uniti, dal 2102, anno della rielezione di Obama, la popolazione è cresciuta di 10 milioni di unità. La seconda considerazione è di natura politica: ciò che avviene in America ha forti ripercussioni in Europa e nel resto del mondo: il pugno duro con gli immigrati incoraggerà i fiorenti movimenti xenofobi del nostro continente; le restrizioni sulle interruzioni di gravidanza porranno in discussione la legislazione in materia di molti paesi; c’è il pericolo poi che i finanziamenti alle politiche a favore della pianificazione familiare e della salute riproduttiva nei paesi poveri vengano tagliati o interrotti, come fece l’amministrazione Reagan negli anni ’80.
Giovani e vecchi, uomini e donne
I dati che seguono sono basati sugli exit-poll – campioni di elettori intervistati all’uscita dei seggi elettorali –i cui risultati sono, come ben si sa, soggetti alle approssimazioni proprie di queste operazioni2. Tuttavia essi si sono rivelati, in passato, assai robusti nel descrivere alcuni aspetti sociali degli elettori, e sono stati corroborati da più complesse analisi successive. Come per tradizione, i giovani (18-29 anni) hanno preferito il candidato democratico, gli anziani (65 anni e più) il candidato repubblicano (Figura 1). Tra i giovani elettori, il margine di vantaggio di 18 punti di Clinton (55% dei giovani l’hanno votata) su Trump (37%) è stato inferiore al margine di Obama rispetto a Romney nel 2012 (24 punti) e di Obama rispetto a McCain (34 punti) nel 20083. La Clinton ha sofferto la disillusione di quei giovani democratici, seguaci di Sanders sconfitto nelle primarie, che non si sono recati a votare o hanno votato per i candidati minori (Gary Johnson and Gill Stein, indicati da più di 5 milioni elettori).
Tra gli anziani, la situazione è rovesciata: Trump ha segnato un margine vantaggio di 8 punti su Clinton (53 e 45%), replicando la performance di Romney nel 2012. Ricordiamo, di passaggio, che i giovani di 18-29 anni sono il 21,6% degli aventi diritto negli USA, contro appena il 14,3% in Italia; per gli ultrasessantacinquenni le proporzioni sono quasi esattamente speculari: 14,8% negli USA e 22,4% in Italia.
Se si considera l’elettorato secondo il genere, si trovano differenze altrettanto rilevanti di quelle per età. Come era largamente atteso, la maggioranza delle donne ha votato per Clinton, che ha raccolto il 55% delle preferenze, contro il 42% di Trump. Tuttavia l’essere donna non ha giovato granché a Clinton, che non ha accresciuto il margine guadagnato da Obama su Romney nel 2012. Clinton, inoltre ha raccolto assai meno suffragi di Trump tra le donne bianche, e particolarmente tra quelle con minore istruzione. Con percentuali simmetriche è stato il voto maschile, nettamente a favore di Trump.
Nel complesso gli analisti hanno fatto notare che l’insuccesso di Clinton va ricercato nelle tiepida accoglienza che il suo messaggio ha raccolto tra le donne, più numerose degli uomini e che – soprattutto – si pensavano maggiormente entusiaste della prospettiva di insediare alla Casa Bianca la prima donna Presidente nella storia degli Stati Uniti. E che si ritenevano largamente contrarie a Trump, sessista e ostile ai valori e alle conquiste del mondo femminile che, a quanto pare, non hanno ancora posto radici diffuse e profonde nella società americana.
Il voto etnico
Nel 2014, le nascite da genitori appartenenti alle minoranze (Hispanics, o Latinos; Black Africans; Asians) hanno superato le nascite da genitori bianchi (Caucasians); si prevede inoltre che nel 2044 le minoranze – che crescono ad un tasso più elevato della popolazione bianca – saranno maggioranza nel paese. Il voto etnico è fortemente caratterizzato ed è in generale nettamente favorevole al partito democratico. Da qui la grande attenzione che il mondo politico americano rivolge agli orientamenti politici, e alle modificazioni demografiche, dell’elettorato delle
minoranze (Figura 2). Abbiamo già accennato che l’elettorato bianco ha favorito nettamente Trump, che ha raccolto il 58% del voto, superiore di venti punti alla percentuale raccolta da Clinton. Ulteriori analisi confermano che il messaggio di Trump è stato accolto molto favorevolmente dalle classi medio-basse, con istruzione relativamente bassa, e che negli ultimi venti anni hanno subito un arretramento in termini di reddito, status sociale e prospettive per il futuro, in una fase storica di forte aumento delle disuguaglianze. Per converso, Clinton ha nettamente prevalso nel vasto elettorato delle minoranze, guadagnando l’88% dei consensi tra i i neri, ed il 65% del voto dei Latinos e degli Asiatici. Tuttavia queste percentuali sono inferiori di 5-8 punti a quelle ottenute da Obama nel 2012. Questo mediocre risultato è assai sorprendente, soprattutto per quanto riguarda l’elettorato latino-americano, per il quale Trump ha ripetutamente mostrato disprezzo ed espresso minacce. Sintomatico è il caso della Florida dove la forte e agguerrita minoranza Cubana ha preferito Trump (54%) alla Clinton (41%).
Religione, cultura, residenza
Gli exit poll forniscono interessanti fotogrammi del voto degli elettori per altre interessanti caratteristiche, quali la religione, l’istruzione, la residenza, il reddito, che andrebbero considerate non separatamente una dall’altra, ma in combinazione tra loro, alla ricerca di modelli di comportamento politico. Sicuramente questo verrà fatto dagli analisti a tempo debito. I Cattolici che avevano sostenuto in maggioranza Obama, hanno dato un lieve margine a Trump (52% dei votanti); i Protestanti e “altri Cristiani” si sono espressi nettamente a favore di Trump (58%). Clinton ha avuto gli Ebrei nettamente a favore (71%), così come i non credenti (68%). I meno ricchi hanno votato Clinton, i più ricchi Trump; Trump ha raccolto più voti nelle aree rurali, Clinton in quelle urbane…
Le motivazioni che inducono gli elettori a recarsi alle urne, oppure a restarsene a casa; a votare il candidato – o il partito – X anziché Y, a cambiare voto da un’elezione all’altra, sono complesse e mutevoli, negli USA come nel resto del mondo. Tuttavia, certe appartenenze – etnia, religione, regione geografica – in America sono fortemente determinanti, e assai più che nel resto del mondo occidentale, e si sovrappongono a quelle tradizionali, come l’età, il genere, lo status sociale.
1 – Gianpiero Dalla Zuanna, La geografia familiare del voto a Trump, Neodemos, 15 novembre 2016; Letizia Mencarini, Clinton e Trump sull’aborto, Neodemos, 4 novembre 2016; La Redazione, L’ultimo dibattito: Clinton e Trump sull’immigrazione, Neodemos, 28 ottobre 2016; Steve S. Morgan, Immigrazione, Trump e l’umiliazione di un grande Paese, 9 settembre 2016.
2 – Il Pew Research Center riporta sistematicamente analisi elettorali molto serie. I siti delle grandi testate (New York Times, Washington Post, The Guardian) riportano commenti ed analisi interessanti sul voto.
3 – Si noti che la somma delle percentuali di voto di Trump e Clinton (qui ed altrove nel testo) è inferiore al 100%, che viene raggiunto aggiungendo i pochi punti percentuali raccolti da Johnson e Stein.