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Torschlußpanik *: fuga italiana in Germania

Numeri di un’emigrazione.
“Emigrante. Un ingenuo convinto che un Paese possa essere migliore di un altro”. Così scriveva Ambrose Bierce nel “Dizionario del diavolo” del 1911.
I dati AIRE indicano che nel 2014 gli italiani “ingenui convinti” che hanno ritenuto la Germania un “Paese migliore dell’Italia” sono stati 14.270, facendola così diventare la prima meta della nostra emigrazione .

In realtà i numeri sono ben maggiori, in quanto l’AIRE fornisce informazioni sui cittadini italiani che risiedono all’estero per un periodo superiore ai dodici mesi.
Grazie all’Auslaenderzentralregister (AZR), un registro nazionale che richiede l’obbligo d’iscrizione a tutti i cittadini stranieri dell’UE che risiedono all’interno dei confini tedeschi per più di 90 giorni, possiamo ottenere delle cifre più precise sugli spostamenti italiani in territorio teutonico.
Schermata 2016-04-04 a 14.18.13Nel 2014, complessivamente, gli italiani iscritti sono stati 43.676 e 19.702 quelli cancellati, con un saldo netto, pari a 23.974 unità, in forte aumento rispetto agli ultimi anni (nel 2010 ci furono rispettivamente 15.855 iscrizioni e 13.215 cancellazioni, con un saldo netto di sole 2.640 unità). Si tratta di un risultato ancor più impressionante se paragonato a quello riguardante gli altri migranti dei Paesi dell’Europa meridionale (vedi figura 1).
Il grafico evidenzia come il gap tra iscrizioni e cancellazioni da parte degli italiani sia in continuo aumento, segnando un trend opposto, almeno per il 2014, rispetto a quello degli altri Paesi. Schermata 2016-04-04 a 14.14.05Questo fenomeno non può essere spiegato solamente con il fattore “crisi economica”, poiché il confronto viene effettuato con i migranti provenienti da paesi dell’Europa mediterranea con situazioni anche peggiori di quella italiana.

Considerando gli aspetti strutturali relativi al 2014, riassunti nella Tabella 1, risulta che l’emigrazione italiana in Germania coinvolge prevalentemente persone in età lavorativa (soprattutto uomini) e non presenta grandi differenze da quella proveniente dagli altri paesi dell’Unione.

Perché sempre più italiani emigrano in Germania?

Cercare risposta a tale quesito non è semplice: sarebbe, infatti, un grave errore considerare il fenomeno come la semplice riproposizione dell’emigrazione italiana in Germania degli anni Cinquanta.
Gli elementi che accomunano gli emigranti di ieri a quelli di oggi sono la condizione di precarietà oggettiva e lo stato di disoccupazione nel quale molti di loro versano. Oggi, come allora, essi sognano un Paese che consenta di scalare la piramide dei bisogni di Maslow¹ (1943) e permetta di rompere quel “soffitto di cristallo” che, di fatto, impedisce l’autorealizzazione.
E’ innegabile che fattori push e pull² concorrano a generare i flussi ma, se i dati indicano che l’odierna emigrazione riguarda principalmente le regioni più competitive del Belpaese, come Lombardia e Veneto (Fonte AIRE), le teorie macro delle migrazioni con l’accento posto sulla deprivazione economica non sono più da considerarsi esaustive del fenomeno. Infatti, il migrante non è l’“homo economicus” cui faceva riferimento Adam Smith e difficilmente è in grado di soppesare razionalmente costi e benefici. Le migrazioni non sono pertanto da intendersi come il mero prodotto di leggi economiche o di condizioni politiche, ma piuttosto come fenomeni condizionati anche da dinamiche sociali.

La “teoria dei network” spiega l’autopropulsività dei flussi, i quali non si arrestano nel momento in cui decade la condizione di svantaggio economico originario. L’emigrante non viene sradicato completamente dal proprio ambiente d’origine ma, al contrario, si immerge nel nuovo contesto in maniera graduale e meno traumatica. Il network genera, infatti, un doppio capitale sociale: di tipo bonding, esclusivo, orientato ad una coesione interna del gruppo e bridging, inclusivo, volto invece alla socializzazione con l’esterno.
La presenza in Germania di una consistente comunità italiana, seconda in termini numerici solo a quella turca, e la diffusione di associazioni italiane più o meno strutturate sono fattori in grado di facilitare la deterritorializzazione ed innescare il processo della partenza, anche qualora la padronanza della lingua tedesca sia tutt’altro che solida.
La vicinanza geografica tra i due Stati e la semplificazione burocratica, avvenuta a seguito dell’entrata in vigore degli accordi di Schengen, concorrono inoltre ad alimentare l’idea di una migrazione meno definitiva e di un ritorno in patria che, in caso di “insuccesso”, si prospetta più facile, anche in termini psicologici.

Non tutte le porte sono chiuse.

Il quadro delineato mostra la complessità del fenomeno migratorio il quale, per essere pienamente compreso, necessita di una lettura condotta a livello macro, meso e micro. È infatti la concatenazione di variabili strutturali, relazionali e individuali a determinare la mobilità internazionale ed a spiegare, nello specifico, la fuga italiana oltralpe. Vista dall’Italia, la Germania appare un Paese non sopraffatto dal Torschlußpanik, tipico di chi ha il destino segnato. Essa, così facilmente raggiungibile ed economicamente competitiva, ha dato speranza a molti connazionali e quindi appare ancora oggi come la terra delle opportunità e dell’autorealizzazione.

*Torschlusspanik: espressione utilizzata per definire il panico da “porta chiusa”.

¹Maslow (1954) alla base della piramide colloca i bisogni fisiologici, seguiti da quelli di sicurezza, appartenenza, stima e realizzazione.

²Simultaneamente a fattori espulsivi strutturali quali povertà, guerre, persecuzioni, si generano fattori di attrazione quali benessere, lavoro, opportunità in un paese estero.