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Morti in mare e rotte migratorie

morti

Una gran mole di risorse economiche, politiche e comunicative è investita nello sforzo di fronteggiare la crisi dei rifugiati in Europa (con quali risultati, è tutta un’altra questione). Ma assai meno si fa per comprendere e interpretare il fenomeno, se si guarda alla scarsità di analisi approfondite delle dinamiche in corso. In particolare, nonostante le morti in mare rappresentino un aspetto cruciale di questa crisi, abbiamo poche e insufficienti fonti informative che permettano di quantificare il fenomeno. Di conseguenza, comprendiamo ancora poco dei fattori che determinano l’andamento variabile della mortalità di chi affronta i viaggi in mare per raggiungere l’Europa, per quanto questo tipo di informazione sarebbe fondamentale per salvare il maggior numero possibile di vite.

L’attenzione mediatica e politica per le morti dei migranti in viaggio verso l’Europa (usiamo questo termine generico, ma molti di questi “migranti” dovrebbero più correttamente definirsi “rifugiati”) sembra focalizzarsi più sulla immagine che sul numero di queste morti. La sconvolgente immagine di un bambino affogato può avere molto più impatto, in termini di sensibilizzazione e mobilitazione delle coscienze, rispetto a migliaia di cadaveri anonimi e invisibili.

Giusta o sbagliata che sia, questa è una dinamica profondamente umana e non c’è ragione di sorprendersi o scandalizzarsi. Tuttavia, un’attenzione più sistematica verso i dati, seppure in un ambito così emotivamente sensibile, sarebbe auspicabile. Soprattutto perché le dinamiche delle morti in mare sono tutt’altro che lineari, prevedibili e facili da spiegare.

Le statistiche incerte delle morti in mare

Non è agevole interpretare i trend recenti nel numero degli arrivi e dei morti in mare lungo le due principali rotte che attraversano il Mediterraneo verso l’Unione Europea: quella del Mediterraneo Orientale, dalla Turchia alla Grecia, e quella del Mediterraneo Centrale, dalla Libia (e in minor misura anche da Tunisia e Egitto) verso l’Italia.

Nessuna agenzia nazionale o europea si è finora assunta ufficialmente la responsabilità di contare i morti in mare. In parte perché questa è operazione tecnicamente molto complessa, dato che gli incidenti mortali avvengono in un’area marittima molto estesa, soprattutto in acque internazionali dove nessuno stato o organizzazione ha sovranità. Ma anche perché contare ufficialmente i morti potrebbe in qualche modo implicare un riconoscimento, o anche un’assunzione indiretta di responsabilità di cui nessuno vuole davvero farsi carico.

Dunque i dati esistenti sono molto lacunosi o poco affidabili, essendo perlopiù basati su notizie riportate dai media – spesso poco accurate – o su fonti non ufficiali che contano soltanto il numero di corpi recuperati o, ancora, sui racconti dei sopravvissuti difficili da verificare. Da una parte, dunque, i dati esistenti non includono un gran numero di naufragi non individuati, in mancanza di testimoni o sopravvissuti. Allo stesso tempo, le stime esistenti sono probabilmente inficiate da un certo numero di doppi conteggi. In ogni caso, guardando ai numeri nella tabella sottostante, basati su dati forniti da UNHCR, Frontex e dal progetto Missing Migrants dell’OIM, si possono fare una serie di interessanti considerazioni.

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La pericolosità delle rotte

É un dato assodato che la geografia dei flussi misti nel Mediterraneo ha conosciuto cambiamenti sostanziali nel corso degli ultimi due anni. Mentre nel 2014 il Mediterraneo Centrale era di gran lunga la rotta più battuta sia in termini di numero di arrivi che di vittime, la situazione è radicalmente mutata nel 2015, con l’esplosione della rotta del Mediterraneo Orientale, e il trend si conferma anche in questo inizio del 2016.

Dato il forte divario tra il numero di arrivi lungo le due rotte, per comprendere correttamente le implicazioni di questo cambiamento dobbiamo guardare ai numeri relativi. Questo si può fare in maniera semplice calcolando separatamente per le due rotte il rapporto tra numero di morti e numero di persone arrivate (*1000). Nel 2015 questo rapporto – che può essere letto come un tasso di mortalità – era di 18,8 nel Mediterraneo Centrale e di 0,9 nell’Egeo. Circa 19 migranti morti ogni mille arrivati nel primo caso, meno di uno ogni mille arrivi nel secondo. Cifre non troppo dissimili da quelle osservate nel 2014, quando il tasso di mortalità era di 18,7 nel Mediterraneo Centrale e di 0,8 in quello Orientale. Il viaggio dalla Libia verso l’Italia emergeva dunque chiaramente come il più rischioso, molto più di quello più breve dalle coste turche verso le isole greche.

Tuttavia, è interessante notare come questo divario notevole si sia ridotto nei primi mesi del 2016 (fino al 21 marzo, quando gli ultimi dati sono stati resi disponibili): il tasso di mortalità si è più che dimezzato sulla rotta libica – circa sette persone morte ogni mille arrivate a destinazione – mentre si è quasi triplicato nel caso degli attraversamenti dalle coste turche alle isole dell’Egeo – oltre due morti (2,34) ogni mille arrivati. Nel primo trimestre del 2015 lo stesso rapporto era di 45 morti ogni mille arrivi nel Mediterraneo centrale e 1,3 morti ogni mille arrivi nell’Egeo.

Sui fattori della mortalità nei viaggi in mare

Come può essere spiegato questo cambiamento considerevole nella geografia delle morti in mare? Una risposta solida richiederebbe un’analisi sofisticata e in profondità di informazioni concernenti i singoli incidenti mortali. Nonostante queste informazioni siano perlopiù mancanti e in ogni caso difficili da ottenere, specifici sforzi di ricerca in questo senso sono certamente possibili e necessari. Ma già a questo stadio si possono formulare alcune ipotesi.

Una determinante delle dinamiche di mortalità nel Mediterraneo Centrale che è frequentemente citata dagli operatori sul campo ha a che fare con l’efficacia delle operazioni di Ricerca e Salvataggio (o SaR, acronimo dell’inglese Search and Rescue) in mare. Guardare all’andamento del semplice indicatore che qui proponiamo – cioè quello che abbiamo definito tasso di mortalità – mostra con chiarezza il ruolo cruciale delle attività SaR. Di fatto, l’interruzione dell’operazione Mare Nostrum a fine 2014 e il suo rimpiazzo con la ben più limitata operazione Triton di Frontex portò a un brusco aumento delle morti in mare nella prima parte del 2015, come anche i nostri dati mostrano. Nel primo trimestre 2014, durante il periodo di piena operatività di Mare Nostrum, il tasso di mortalità dei migranti in viaggio dalla Libia era di 0,9. Nello stesso periodo dell’anno seguente, quando l’operazione italiana era stata sostituita da Triton (che operava con un mandato e una dotazione di mezzi notevolmente meno estesi della precedente) lo stesso tasso si è impennato fino a 44,9. Solo una revisione sostanziale (benché realizzata senza molta pubblicità e clamore) del mandato e dell’equipaggiamento di Triton a partire dal febbraio 2015, con il forte contributo offerto da alcune ONG internazionali (soprattutto MOAS e Medici Senza Frontiere, ma anche altre, tra cui Sos Mediterranée, Sea Watch e Sea Eye) ha permesso di recuperare almeno in parte i precedenti livelli di efficacia in termini di salvataggi lungo la rotta del Mediterraneo Centrale.

Due ulteriori fattori possono aiutare a spiegare le variazioni osservate sulle due rotte. Una riguarda il cambiamento nel modus operandi delle reti del traffico. L’uso sempre più frequente di imbarcazioni di bassa qualità, perlopiù gommoni a motore (a camera d’aria unica), invece di natanti più costosi e difficilmente reperibili come pescherecci in legno o metallo, ha certo giocato un ruolo nella crescente frequenza di incidenti fatali nel mare Egeo. Come suggerito dai dati raccolti all’interno di un progetto di ricerca internazionale gestito dall’Università di Coventry, un effetto simile è associato alla sempre più diffusa pratica di trasbordare i migranti durante la notte per evitare i sempre maggiori controlli lungo la frontiera marittima del Mediterraneo orientale. La navigazione nelle ore notturne, soprattutto se guidata da persone inesperte, comporta di fatto rischi notevolmente maggiori rispetto al viaggio affrontato nelle ore di luce.

Infine, le caratteristiche dei migranti stessi hanno probabilmente influenzato il grado di pericolosità dei viaggi. In particolare, incide la crescente presenza tra i rifugiati siriani e afgani lungo la rotta dell’Egeo di famiglie con bambini, evidentemente più a rischio in caso di naufragio.

Note

A Fonte UNHCR: http://data.unhcr.org/mediterranean/regional.php

B Fonte UNHCR: https://data.unhcr.org/mediterranean/download.php?id=927

C Fonte Frontex, FRAN Quarterly, Q4 October – December 2015.

D Fonte Frontex FRAN 2015

E Fonte: OIM, Missing Migrants: http://missingmigrants.iom.int/mediterranean