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La penalizzazione delle madri nel mercato del lavoro italiano: un confronto fra coorti

Le donne italiane e il mercato del lavoro

In Italia, rispetto al resto dei Paesi occidentali, la condizione delle donne sul mercato del lavoro è particolarmente negativa. Il tasso di occupazione femminile (fra i 20 e i 64 anni) è di poco superiore al 50%, molto basso rispetto alla media europea (che nel 2014 era del 63,5%) e la sua già lenta crescita sembra essersi interrotta (Eurostat 2015). Lo svantaggio delle donne italiane, pur coinvolgendo anche le donne senza figli, è particolarmente forte per le madri: il numero di donne che escono dal mercato del lavoro in seguito alla nascita di un figlio è stimato tra il 20% e il 25% (Casadio et al. 2008; Gutierrez-domenech 2005), nella maggior parte dei casi l’interruzione della carriera lavorativa delle madri non è temporanea come accade in altri Paesi occidentali – Germania, Regno Unito o Stati Uniti – ma permanente. Si potrebbe pensare che questo quadro tenda a migliorare per le giovani generazioni: grazie al maggiore coinvolgimento delle donne delle coorti più recenti nel mercato del lavoro, all’espansione di settori economici con un’elevata domanda di lavoro femminile e alla seppur limitata crescita dei servizi di cura alla prima infanzia pubblici (e privati). Analisi svolte su dati del 2009 suggeriscono piuttosto che la situazione, invece di migliorare, stia ulteriormente peggiorando.

Conciliare famiglia e lavoro diventa sempre più difficile?

Schermata 2015-11-12 a 12.42.26Utilizzando i dati dell’indagine «Famiglie e Soggetti sociali» effettuata nel 2009 dall’ISTAT si può stimare l’effetto della nascita del primo figlio sulla probabilità di lavorare per quattro coorti di donne italiane (figura 1). Nell’anno del parto e in quello immediatamente successivo la probabilità di lavorare delle madri si riduce in modo sostanziale, ma avere il primo figlio diventa più penalizzante per le coorti più giovani. Se per le donne nate tra il 1954 e il 1959 l’effetto è di dieci punti percentuali, per quelle nate tra il 1975 e il 1984 l’effetto è superiore a venti punti percentuali. Inoltre non si vedono segni di maggiori chance di recuperare lo svantaggio negli anni successivi al parto per le donne più giovani. Di generazione in generazione, quindi, l’effetto negativo della nascita del primo figlio sulla probabilità delle donne di essere occupate aumenta invece di diminuire.

Nonostante il tema della conciliazione tra famiglia e lavoro abbia assunto un’importanza crescente durante gli ultimi decenni, questi dati delineano un quadro più preoccupante di quanto generalmente considerato. Il peggioramento delle chance di conciliazione famiglia-lavoro è, infatti, mascherato da alcuni trend concomitanti come la riduzione del tasso di fecondità (sceso dagli oltre due figli per donna degli anni ’70 a 1,4 ormai dai un paio di decenni – Dati Eurostat 2015) e la crescita del livello di istruzione femminile (nel 1985 solo una donna su quattro fra i 30 e 39 anni aveva un titolo di studio superiore alle scuole medie inferiori, nel 2009 erano due su tre (Istat 2010)). Inoltre, i recenti segnali negativi sono spesso stati attribuiti alla crisi economica, mentre sembrano essere invece il risultato di un trend di medio-lungo periodo.

La deregolamentazione del mercato del lavoro crea nuove disuguaglianze, soprattutto per le giovani donne

Dove ricercare le cause di questo trend negativo? Semplificando un po’ si può affermare che le possibilità di conciliare famiglia e lavoro dipendono 1) dalla divisione del lavoro all’interno della famiglia, 2) dal supporto pubblico alla famiglia e 3) dalle caratteristiche del mercato del lavoro. Nonostante il crescente impegno delle donne nel mercato del lavoro, il lavoro familiare rimane, pur con qualche eccezione, un’attività che grava principalmente sulle donne, mentre gli uomini – nonostante negli ultimi venticinque anni abbiano aumentato il tempo medio dedicato al lavoro familiare – mantengono un atteggiamento più rigido nei confronti del loro ruolo. Il sostegno pubblico alla conciliazione famiglia-lavoro in Italia è debole e frammentato; tuttavia, a metà degli anni novanta, sono stati fatti dei piccoli passi in avanti nell’ambito dei trasferimenti monetari alle famiglie e in quello delle misure di conciliazione tra lavoro remunerato e responsabilità familiari.

Sia riguardo alla divisione del lavoro familiare, sia riguardo alle politiche familiari, non si osservano dunque mutamenti che facciano pensare a una riduzione delle chance di conciliare famiglia e lavoro. L’ipotesi più probabile quindi è che un ruolo importante sia giocato dai mutamenti delle condizioni del mercato del lavoro. Una delle conseguenze della deregolamentazione del mercato del lavoro è che molti lavoratori, e soprattutto lavoratrici, non abbiano accesso a molti molti diritti e misure implementate per facilitare la conciliazione famiglia-lavoro. I contratti non standard vedono una forte presenza di giovani uomini e donne in età riproduttiva, ma questi rapporti di lavoro includono misure di protezione della maternità e di sostegno alla conciliazione ridotte e spesso di difficile applicazione.

Ulteriori analisi effettuate sui dati FSS 2009 confermano questa ipotesi: le donne che lavorano con un contratto non standard hanno le più alte probabilità di lasciare il lavoro in seguito alla maternità. Inoltre, le caratteristiche del lavoro spiegano la gran parte dell’aumento dei rischi per le coorti più recenti di abbandonare il lavoro dopo la nascita del primo figlio. In altre parole, se si controlla per le caratteristiche del lavoro svolto, lo svantaggio delle coorti più recenti si riduce in maniera sostanziale.

Questi risultati suggeriscono che la deregolamentazione del mercato del lavoro aumenta i rischi di lasciare il lavoro dopo la maternità perché, oltre a non poter accedere a diverse politiche familiari, le madri sono esposte a un maggiore rischio di lasciare il loro impiego. La deregolamentazione parziale e selettiva del mercato del lavoro italiano – che insieme con altre riforme ha contribuito ha generare nuove disuguaglianze a sfavore delle coorti più recenti (Barbieri e Scherer 2007) – ha dunque conseguenze importanti anche nell’ambito della conciliazione famiglia-lavoro rendendo più difficile per le madri appartenenti alle coorti più recenti avere una carriera lavorativa continua.

Per approfondimenti:

Barbieri, P. e Scherer, S. (2007). Vite svendute. Uno sguardo analitico sulla costruzione sociale delle prossime generazioni di esclusi, Polis, XXI, 431-459.

Casadio, P., Lo Conte, M. e Neri, A. (2008). Balancing Work and Family in Italy: New Mohers’employment Decision after Childbirth, Temi di discussione, 684, Banca d’Italia.

Gutierrez-domenech, M. (2005). Employment after Motherhood: A European Comparison, Labour Economics, 12, 99-123.