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L’insufficienza della “biologia”. Spunti per una riflessione sui legami di filiazione nell’Italia contemporanea.

Il 14 ottobre 2014 l’ANSA riporta la notizia del primo caso di fecondazione “eterologa” avvenuto in un ospedale pubblico italiano, da quando, nel 2004, la Legge 40 in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA) aveva vietato questa pratica. L’evento è stato reso possibile dalla decisione presa il 9 aprile scorso da parte della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto di ricorrere a gameti cosiddetti “esterni” alla coppia, procedura nota appunto col nome di fecondazione “eterologa”.

La donazione di gameti e il significato della genitorialità
La Consulta quindi ammette la donazione di gameti come risposta ad una condizione di infertilità, perché formare una famiglia e avere figli sono “espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” (Corte Costituzionale s.162/2014). Le modalità d’implementazione di questa decisione, però, sono attualmente in discussione. In particolare, le linee guida emanate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome affermano la necessità di mantenere l’anonimato reciproco tra i donatori di gameti, i riceventi e i soggetti nati in seguito all’utilizzo di gameti donati (Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, 2014). La prospettiva di introduzione di questo principio è interessante se pensiamo che in molti paesi del Nord Europa si è passati negli ultimi dieci anni da un regime di anonimato ad uno di non-anonimato dei donatori. La questione non è scontata, poiché implica la necessità di trovare una soluzione condivisa sul valore sociale da attribuire a relazioni che si realizzano attraverso lo scambio o la condivisione di esperienze fisiologiche, come la gravidanza, e sostanze organiche, come le cellule riproduttive.

Nell’atto di ammettere una pratica di concepimento prima ritenuta inammissibile, la Consulta invita in sostanza ad interrogarsi sui principi di legittimità e accesso alla genitorialità e sugli elementi legali e culturali che caratterizzano la definizione stessa dei legami di parentela, nella fattispecie quello tra genitori e figli. In altre parole, ci chiama a riflettere sul significato di “legame biologico” e sul logica di conversione dello stesso in un legame di filiazione socialmente e giuridicamente riconosciuto.

Il concepimento in vitro e una nuova concezione di riproduzione
Nel 1978 Roberts G. Edwards riesce nell’impresa di far nascere una bambina attraverso la fecondazione in vitro (FIVET), una tecnica biomedica che consiste nel favorire la formazione di uno o più embrioni tramite il deposito di spermatozoi e ovociti in un liquido di coltura, e il successivo trasferimento degli embrioni ottenuti nell’utero pronto alla ricezione. Da allora, la pratica si è diffusa in tutto il mondo, procurando a Edwards il premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 2010 e permettendo la nascita di più di 5 milioni di bambini, stando ai dati presentati alla conferenza internazionale dell’European Society for Human Reproduction and Embryology (ESHRE) nel 2012.

A partire dagli anni ’80, quando le tecniche di procreazione assistita si stanno consolidando e la portata socio-culturale e legale della loro introduzione diventa via via più evidente, diversi stati europei sentono la necessità di legiferare in materia, in modo da inquadrare queste pratiche riproduttive entro confini giuridici coerenti e limitare conseguenze sociali e legali inattese. Lo sviluppo delle tecniche di PMA ha infatti aperto la strada ad una nuova concezione della riproduzione basata sul concepimento come momento possibilmente indipendente dall’attività (etero)sessuale e ha contribuito ad una comprensione del processo riproduttivo come un insieme di tappe separate e indispensabili, parzialmente inducibili e riproducibili in laboratorio, e di materiali biologici e prestazioni fisiologiche complementari, potenzialmente offerti da attori diversi (Edwards et al., 1999; Franklin 1997, 2013; Strathern, 1995; Thompson, 2005). In questo contesto, l’intervento del legislatore mira principalmente a trasformare le pratiche di PMA da metodi di concepimento di nuovi esseri umani a strumenti di produzione e riproduzione di legami di parentela e di famiglia socialmente condivisi e riconosciuti (Edwards e Salazar, 2012).

Dal divieto di “eterologa” all’incostituzionalità del divieto
Dopo un iter legislativo durato più di 10 anni, anche l’Italia si dota nel 2004 di una legge in materia di procreazione assistita, nota come Legge 40 e divenuta immediatamente famosa per il fatto di essere una delle leggi più restrittive in Europa. Tra le altre cose, la legge introduce il divieto di fecondazione “eterologa” (brutto termine derivante dalla scienza veterinaria che indica l’unione di cellule sessuali di specie diverse), in vigore fino al 9 aprile scorso, quando la Consulta lo giudica costituzionalmente illegittimo. Le motivazioni sembrano parlare chiaro: l’utilizzo di gameti di soggetti terzi costituirebbe una tecnologia medica in grado di risolvere problemi di infertilità di alcune coppie per cui non si conoscano al momento altri rimedi. Secondo la Consulta occorre inoltre rispettare il diritto delle coppie all’autodeterminazione e alla formazione di una famiglia.

A ben vedere, questa sentenza fa molto di più che ammettere l’introduzione della donazione di gameti come nuova tecnica di concepimento, ribadendo il non coinvolgimento dei donatori nella determinazione dei legami di filiazione conseguenti alle eventuali nascite. Essa in realtà rende evidente e problematica nel panorama socio-culturale e giuridico nazionale la distinzione tra legami biologici e sociali, comunemente ritenuta manifesta.

Molteplici attori, ma quanti genitori?
Quando si ammette la fecondazione con gameti di soggetti terzi, infatti, il significato di “legame biologico” è sfumato dal fatto di comprendere due esperienze distinte, quella della corrispondenza genetica e quella della realtà fisiologica della gravidanza e del parto. In questo contesto, l’attribuzione del valore di legame di filiazione ad un legame tra due soggetti (come quello tra genitore e figlio) solo sulla base del fatto di essere “biologico” porta ad una moltiplicazione dei possibili legami di filiazione che coinvolgono uno stesso neonato. Nel caso in cui alcuni soggetti mettano a disposizione le proprie cellule riproduttive e un altro il proprio utero per la nascita di un solo bambino, tutti questi soggetti saranno legati al bambino attraverso un legame che si può definire “biologico”. Il codice civile italiano, però, prevede che si possa attribuire lo statuto di genitore solo a due degli attori coinvolti nel processo procreativo o di cura. Lo spazio definito dall’aggettivo “biologico” e abitato da molteplici attori nei confronti di un solo nato rappresenta quindi un’arena di negoziazione per l’attribuzione dello status di genitore. Nel caso della donazione di gameti, così come avviene nel caso della gestazione per altri (nota in Italia col nome di maternità surrogata o utero in affitto), o nell’adozione, è il riconoscimento socio-culturale di uno specifico legame come produttore di filiazione o meno a rendere i soggetti genitori o non-genitori, e non l’esistenza del legame stesso né la sua qualità di legame “biologico”. Analogamente, l’intenzionalità dei soggetti di attivare o non attivare la filiazione di un legame “biologico” può essere ciò che definisce questi soggetti come genitori socialmente riconosciuti o meno di un neonato.

L’intenzione, resa esplicita nel contratto tra le parti autorizzato dall’istituzione, è esattamente ciò che riconduce un processo procreativo cui prendono parte molteplici attori e potenzialmente generatore di molteplici legami parentali, ad una condizione riproduttiva culturalmente conosciuta, in cui solamente alcuni dei suddetti legami vengono attivati socialmente, per costituire una realtà genitoriale formata da uno o due soli soggetti.

E’ chiaro quindi che i legami “biologici” non creano filiazione di per sé: sono le norme socio-culturali a distinguere se e quali relazioni dette “biologiche” siano da considerarsi produttrici di filiazione e quali no.

La sentenza della Consulta ci offre l’occasione per riflettere su come la biologia non sia necessaria e nemmeno sufficiente nella definizione di legami culturalmente riconosciuti come quello di filiazione (genitori e figli) e quanto sia invece a livello del dibattito politico, giuridico e sociale che si negoziano le potenzialità sociali collettivamente condivise delle esperienze riproduttive individuali. Ora che il numero gli attori coinvolti nel concepimento, la gestazione e la cura sarà potenzialmente aumentato anche nel contesto italiano, le decisioni che verranno prese riguardo al riconoscimento delle relazioni che dovranno stabilirsi tra essi comporteranno, a nostro avviso, una rivisitazione ed una ridefinizione del significato di “genitori”.

Per saperne di più
 
Redazione Ansa (2014). A Careggi di Firenze la prima fecondazione eterologa in ospedale pubblico

Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, (2014) Documento sulle problematiche relative alla fecondazione eterologa a seguito della sentenza della Corte Costituzionale nr. 162/2014

Edwards, J., S Franklin, E Hirsch, F Price, M Strathern (1999). Technologies of procreation: Kinship in the Age of Assisted Conception. 2nd edition, London, New York, Routledge.

Edwards, J. and C., Salazar (a cura di) (2012). European kinship in the age of biotechnology. London, New York, Routledge.

Franklin, S, (1997). Embodied progress : a cultural account of assisted conception. London ;New York: Routledge. (2013).

Biological Relatives. IVF, Stem Cells, and the Future of Kinship, Durham;

London: Duke University Press.

Strathern, M. (1995) “Displacing Knowledge: Technology and Its Consequences for Kinship.” in Ginsburg F.D. and Rapp R Conceiving the new world order : the global politics of reproduction Berkeley, Calif. : University of California Press, 346-364

Thompson, C. (2005) Making Parents: The Ontological Choreography of Reproductive Technologies, Cambridge, MA, The MIT Press.