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Perché i tempi stanno cambiando…

Dell’ampia e articolata “Lettura del Mulino”, tenuta pochi giorni fa a Bologna dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, riprendiamo qui alcuni brani, quelli che più direttamente si collegano ai temi della crescita demografica, e a alcuni dei suoi effetti (esaurimento delle risorse ambientali, aumento tendenziale della povertà, …). Il testo completo dell’intervento è disponibile sul sito della Banca d’Italia

“For the times they are a-changin”: così cantava Bob Dylan cinquant’anni fa. E in questo mezzo secolo i tempi sono veramente cambiati.
La storia dell’umanità è una storia di cambiamenti: demografici, tecnologici, religiosi, sociali, politici, economici […]

La tecnologia non distrugge il lavoro
Dalla seconda metà del Settecento, con la prima rivoluzione industriale si è affermata la “prima età delle macchine” (la seconda è quella con cui oggi abbiamo a che fare e di cui dà conto il recentissimo libro di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, The second machine age (2014). L’innovazione e l’automazione hanno progressivamente cambiato il mondo della produzione dei beni materiali, nell’agricoltura come nell’industria, in particolare quella manifatturiera. Le nuove opportunità create in quella straordinaria fase della storia dell’umanità hanno più che compensato i posti di lavoro perduti con l’introduzione di tecnologie di uso generale: il motore a vapore, il motore a scoppio, l’elettrificazione.

In Why the West rules – for now, lo storico anglo-americano Ian Morris (2010) costruisce un indice dello sviluppo sociale dell’umanità basato sull’utilizzo dell’energia, sull’organizzazione civile, sulla capacità bellica e sulla tecnologia dell’informazione. Brynjolfsson e McAfee (2014) osservano che questo indice rivela uno “straordinario” risultato: nessuna delle pur importantissime innovazioni antecedenti la rivoluzione industriale – dall’addomesticamento degli animali allo sviluppo dell’agricoltura, dalla fondazione delle città all’affermazione del pensiero filosofico e delle grandi religioni, dall’invenzione della scrittura all’introduzione dei numeri – avrebbe avuto un’importanza nello sviluppo socio-economico dell’umanità paragonabile a quella dell’eccezionale discontinuità che si osserva nella seconda metà del diciottesimo secolo. Una discontinuità che va di pari passo con la crescita demografica, dagli 800 milioni della popolazione mondiale nel 1750 a più di un miliardo e mezzo nel 1900, a 2,5 miliardi nel 1950, a circa 3 cinquant’anni fa e a oltre 7 miliardi oggi.

I limiti dello sviluppo
Proprio l’accelerazione esponenziale della dinamica demografica dalla seconda guerra mondiale ha portato a discutere dei “limiti” dello sviluppo. All’inizio degli anni Settanta le previsioni del Club di Roma (Meadows et al 1972), centrate sulla rarefazione delle risorse naturali, gettarono un allarme sulla sopravvivenza del nostro ecosistema e della stessa specie umana. Fondate, come spesso avviene nell’attività di previsione, sull’estrapolazione lineare di tendenze in atto, queste previsioni ricevettero una grande attenzione da parte di mass media ed esponenti politici, ma un’accoglienza scettica da parte di molti, anche celebri, economisti. Pur senza minimizzare limiti e rischi dello sfruttamento delle risorse naturali che l’esplosione demografica e la crescita esponenziale dei consumi comportava, fu osservato che l’analisi non teneva in adeguata considerazione due importanti servomeccanismi: la capacità riequilibratrice dei prezzi relativi e la risposta della tecnologia.

Nonostante la forza di questi due meccanismi, che rendono aleatorie previsioni a così lungo termine, la preoccupazione non è venuta meno. Il dibattito sullo “sviluppo sostenibile”, tale da “soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” (UN, 1987), mostra come non si possa oggi non prestare attenzione all’equilibrio ambientale del pianeta e alle compatibilità, o ai trade-offs, tra obiettivi economici, sociali ed ecologici.

Il cambiamento climatico non è più un curiosum da scienziati, è un tema fondamentale del dibattito pubblico odierno. Una tappa notevole è costituita dal Rapporto Stern (2007) del 2006, che ha fatto seguito a importanti accordi internazionali (per tutti il protocollo di Kyoto del 1997) e ad approfonditi, ancorché sottovalutati, studi della Banca mondiale e dell’OCSE. Ne sono stati criticati alcuni assunti, come il tasso di sconto utilizzato per la stima dei costi economici, molto basso e quindi tale da trascurare – come nel rapporto sui limiti dello sviluppo – possibili effetti mitiganti e di retroazione, quali quelli connessi con il progresso tecnologico.

Almeno due raccomandazioni appaiono però particolarmente importanti: affrontare la sfida del cambiamento climatico a livello globale, ricercando la cooperazione tra tutti, paesi avanzati, emergenti e in via di sviluppo; incentivare la creazione e l’utilizzo di nuove tecnologie per ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica e altri gas serra. […]

Demografia, povertà e distribuzione del reddito
L’obiettivo di dimezzare la percentuale di persone in condizioni di povertà estrema (con un reddito inferiore a 1,25 dollari al giorno) è stato conseguito con cinque anni di anticipo, nel 2010, rispetto ai tempi previsti dai Millennium Development Goals concordati nel 2000 nell’ambito delle Nazioni Unite. Tuttavia, oltre un miliardo di persone ancora vive in queste condizioni. Va ricordato che al miliardo di persone che da queste condizioni sono uscite bisogna aggiungere l’aumento, nell’ultimo quarto di secolo, di oltre 2 miliardi della popolazione mondiale, per la maggior parte proprio nei paesi emergenti e in via di sviluppo, che in queste condizioni non sono entrati. La distanza di questi paesi in termini di speranza di vita rispetto al mondo occidentale (dove pure essa continua ad aumentare) è altresì drasticamente diminuita.

Resta però il fatto che mentre le diseguaglianze nella distribuzione dei redditi tra paesi si sono ridotte, quelle all’interno di ciascun paese si sono ampliate, tra il 1990 e il 2010, in due terzi dei casi per i quali sono disponibili dati (Deaton 2014). Negli Stati Uniti, a fronte di un aumento della produzione pro capite di circa il 40 per cento tra il 1990 e il 2007, il reddito della famiglia mediana era aumentato in termini reali di meno del 10 per cento; dopo la grave caduta del prodotto e dell’occupazione conseguenti alla crisi finanziaria, la produzione è oggi tornata a superare il livello del 2007, ma il reddito mediano è ridisceso sui livelli di oltre 20 anni fa. Spesso si osserva come l’1 per cento più ricco della popolazione riceva oggi negli Stati Uniti circa il 20 per cento del reddito nazionale rispetto all’8 per cento di 50 anni fa. Ancor più forte è stato l’aumento dei redditi dei “super ricchi” (lo 0,1 per cento della popolazione), con un’accentuazione della concentrazione della ricchezza.

Per saperne di più

E. Brynjolfsson e A. McAfee (2014) The second machine age: Work, progress, and prosperity in a time of brilliant technologies, New York, W. W. Norton & Company.

E. Brynjolfsson e A. McAfee (2011) Race against the machine, Lexington, MA, Digital Frontier Press, 2011 (trad. it. In gara con le macchine. La tecnologia aiuta il lavoro?, goWare, 2013).

A. Deaton (2014) The great escape – Health, wealth and the origins of inequality, Princeton, Princeton University Press.

D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers e W.W. Behrens III(1972) The limits to growth. A Report for the Club of Rome’s Project on the predicament of mankind, New York, Universe Books, 1972 (trad. it. I limiti dello sviluppo. Rapporto del System Dynamics Group, Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, Milano, Mondadori, 1972).

I. Morris (2010) Why the West rules – for now: The patterns of history, and what they reveal about the future, New York, Farrar, Straus and Giroux.

N. Stern (2007) The economics of climate change – The Stern Review, Cambridge, Cambridge University Press.

United Nations (1987) Report of the World Commission on environment and development – our common future, New York.

I.Visco (2014) “Perché i tempi stanno cambiando…” 30^ Lettura del Mulino