L’epidemia di Ebola – una tragedia per i paesi colpiti, una grave minaccia per quelli vicini – ricorda al mondo con le sue orrende immagini tre verità spesso rimosse. La prima è che nulla è scontato o fisso nel mondo delle patologie: microbi e virus subiscono imprevedibili mutazioni, e la loro complessa interazione con i loro vettori, gli umani e l’ambiante è mutevole ed anch’essa imprevedibile. La seconda è che l’arretratezza è un tremendo brodo di coltura delle nuove patologie; l’ignoranza, la contaminazione, la precarietà del cibo, la densità abitativa e la stretta convivenza con gli animali sono fattori che determinano il sorgere o risorgere delle patologie, il loro diffondersi, la loro aggressività. La terza verità è che il mondo, in particolare quello ricco che ne ha i mezzi, dimentica i suoi doveri di “guardiano” della salute pubblica, e le sue sentinelle sono poche e qualche volta addormentate. Così le nuove patologie colgono di sorpresa, e impreparati, i sistemi sanitari preposti a guardia della salute collettiva nei paesi più poveri.
Ebola, nascita e diffusione
Il virus Ebola provoca febbre, vomito, diarrea e diffuse emorragie interne e se non contrastato determina la morte di quattro ammalati si cinque. Portatori del virus sono pipistrelli di grandi dimensioni (“volpi volanti”) che si nutrono di frutta, e il passaggio agli umani avviene attraverso il contatto diretto con le secrezioni di questi animali; oppure per l’ingestione di carni infette (per esempio, quelle del gorilla). Anche altri animali – gorilla, scimpanzé, scimmie di altre specie, porcospini e antilopi – vengono contagiati da simili meccanismi. Ma c’è anche un insidiosissimo passaggio tra umani per contatto diretto (via mucose o ferite superficiali) con le secrezioni (feci, orina, sperma, sangue, saliva) della persona infetta. Questo pone a rischio la promiscuità con persone infette (c’è un periodo di incubazione che dura tra i 2 e i 21 giorni, prima della comparsa dei sintomi), e rende le operazioni di soccorso e di cura molto pericolose se fatte senza le dovute e complesse precauzioni. Il virus non si trasmette per via aerea.
La prima riconosciuta epidemia di Ebola avvenne in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo nel 1976 (431 decessi), ancora nella R.D. del Congo nel 1995 (254); in Uganda nel 2000 (224); nella R.D. del Congo, in Congo e in Uganda nel 2007 (308). Tuttavia sono rari gli anni, nell’ultimo quarantennio, nei quali non si siano registrati decessi nella regione.
L’epidemia più grave degli ultimi quarant’anni
L’epidemia in corso in Guinea, Liberia e Sierra Leone è di gran lunga la più grave nella storia (quella conosciuta) di Ebola (Figura 1). I casi accertati di contagio fino al 10 Ottobre sono stati 8.376, dei quali 4.026, poco meno della metà, conclusi con la morte dell’ammalato. Le vittime sono circa 10 volte più numerose di quelle del 1976, l’epidemia che fino ad oggi aveva mietuto il numero più alto di decessi. Si tenga tuttavia conto che l’attuale epidemia è in corso; che la curva dei decessi è tuttora in ascesa; e che non viene scartata la possibilità di scenari disastrosi. Va inoltre sottolineato il fatto che il lento insorgere dell’epidemia è stato sottovalutato per molti mesi dai governi locali e dalla comunità internazionale, e solo nel Giugno scorso hanno cominciato ad attivarsi consistenti flussi di aiuti e ad attivarsi politiche sanitarie volte a circoscrivere l’incendio.
Quanto all’arretratezza, nelle classifiche del Fondo Monetario in base al reddito pro-capite i tre paesi si pongono (2013) agli ultimi posti, tra poco meno di 200 paesi, con meno di due dollari al giorno a testa. Lo sviluppo demografico è ancora velocissimo, e la loro popolazione attuale di 21 milioni dovrebbe crescere di due volte e mezzo prima della metà del secolo; la speranza di vita alla nascita è inferiore ai 55 anni (45 in Sierra Leone), e il controllo delle nascite ha fatto, fino ad oggi, scarsissima presa (5 figli per donna in media).
L’impatto sociale ed economico di Ebola sta andando ben oltre gli effetti, pur tragici, delle vittime del virus. Del resto, nei tre paesi, altre pandemie determinano un numero di decessi incomparabilmente più elevato: trenta volte di più la malaria, quaranta volte di più l’AIDS. Ma Ebola colpisce ed uccide rapidamente, in forma crudele e degradante; genera terrore e panico; è un simbolo di morte e di degenerazione. E determina anche problemi economici, per l’isolamento di intere comunità, l’arresto di traffici e commerci, la chiusura dei paesi confinanti, il costo stesso degli interventi sanitari. La Banca Mondiale si è anche avventurata in calcoli concreti sul possibile impatto economico nei paesi in questione, che nel 2015 dovrebbe valere svariati punti di PIL nell’ipotesi del (possibile) contenimento dell’epidemia.
Come la peste, ma non è la peste
Le modalità di diffusione del virus – attraverso il contatto diretto con i fluidi corporei della persona infetta, ma non per via aerea – rendono remota la possibilità che Ebola possa diventare una catastrofe di massa. La similitudine della peste vale solo per l’aspetto simbolico, la rapidità del decorso, le modalità della degenerazione vitale, l’altissima letalità (quattro infetti su cinque muoiono se privi di cure). Ma finisce qui: la peste veniva ovunque diffusa dai topi, reservoir del bacillo, e dalle pulci compagne assidue della vita quotidiana di uomini e donne del passato. Topi e pulci che si infischiavano di controlli, divieti e isolamenti. Ma il contatto diretto tra malato di Ebola e popolazione sana può essere facilmente evitato con adeguate misure: l’ammalato può essere isolato (ed eventualmente curato), i suoi contatti possono essere individuati e monitorati e il rischio di diffusione può venire circoscritto e ridotto al minimo. Certo, occorrono efficienti sistemi sanitari, controllo dell’ambiente e capacità organizzative adeguate. Nei paesi poverissimi dell’Africa sub-sahariana i rischi di contagio sono molto maggiori per ragioni fin troppo evidenti.
La ricerca può fare molto e individuare i vaccini, o i farmaci, capaci di prevenire e curare. Ma prima di allora, , e in attesa che lo sviluppo sociale ed economico sollevi le popolazioni dal loro degrado, che è la causa prima dell’alta mortalità, occorrerà potenziare, e non disarmare, le sentinelle che sorvegliano ed allertano circa l’insorgere di nuove patologie, e permettano di intervenire rapidamente. Per Ebola si è agito tardi.
Per saperne di più
WHO, Ebola Response Roadmap update, 10 October 2014,
WHO, Global Alert and Response (GAR)