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Gli Italiani nel sud della Cina

Il flusso migratorio verso l’Asia è uno dei più importanti degli ultimi anni, non solo per molti paesi che tradizionalmente hanno avuto rapporti coloniali con quell’area, ma anche per l’Italia. Considerando i dati Istat del 2011, l’aumento più vistoso degli italiani residenti all’estero riguarda proprio l’Asia con un 18.5% di residenti in più rispetto all’anno precedente, contro il +6.8% dell’America. Secondo i dati del Ministero degli Affari Esteri, nella Repubblica Popolare Cinese risiedono – almeno temporaneamente – 7.150 italiani. Chi sono, cosa fanno, che prospettive hanno? Un’indagine via web sugli italiani residenti nelle province del Sud della Cina, che ho svolto con la collaborazione del Consolato di Guangzhou (Canton) e dell’Università di Padova, fornisce alcune interessanti risposte.

Un identikit degli italiani in Cina
Gli italiani che emigrano verso le province del Sud della Cina portano con sé un bagaglio di conoscenze, competenze ed esperienze che evidenziano la particolare natura di questo moderno flusso migratorio, composto da professionisti o persone con un alto livello di istruzione. È quanto emerge dai risultati di un’indagine condotta su 710 italiani maggiorenni iscritti all’AIRE al 31/04/2013 e presenti nel Sud della Cina. La rilevazione è stata effettuata con un sistema CAWI, ossia somministrando il questionario attraverso il Web. a.
Gli intervistati sono in prevalenza di uomini (per il 91,3%), non giovanissimi, compresi soprattutto nella fascia d’età tra i 30 e i 40 anni. Gli italiani che approdano nel sud della Cina sono in genere settentrionali, provenienti dalla Lombardia, 19,8%, e dal Veneto, 15,1%. La Cina non è però il primo paese verso il quale si dirigono, quando emigrano dall’Italia: la metà dei rispondenti aveva lasciato l’Italia da più di 5,7 anni, ma risiedono in Cina da 4,5 anni  Si è di fronte ad italiani, con una spiccata vocazione internazionale, che – dopo il diploma o la laurea – hanno sentito il desiderio di spingersi oltre i confini nazionali per cercare lavoro, talvolta portando con sé anche la famiglia. La maggior parte dei rispondenti (62,7%) è coniugato o convivente, per lo più (il 62,2%) con un partner di nazionalità non italiana.
Si tratta di un flusso qualificabile come skilled migration (migrazione qualificata): a partire sono italiani non solo istruiti (i laureati rappresentano il 55,5% dei rispondenti all’indagine), ma anche qualificati, in diversi settori, che portano con sé abilità e conoscenze tecniche: migra la crema dei laureati e dottorati, che conosce le lingue e ha una cultura che rende più facile l’adattamento in un Paese straniero. Oltre a questi migrano però anche operai, artigiani e tecnici pronti a riscoprirsi come maestri di mestieri e arti. In effetti, il 66,3% dei rispondenti lavora in attività manifatturiere, nei settori nei quali l’Italia è apprezzata a livello globale: l’industria della moda, dei mobili, dell’occhialeria.
Per quel che riguarda la distribuzione geografica, la provincia che raccoglie l’88% degli italiani migrati verso il sud della Cina è quella del Guangdong. Le città di maggior presenza sono Guangzhou (Canton) (28,6%), sede del Consolato Generale d’Italia, Shenzhen (25,9%) e Dongguan (13,4%). Le altre tre province di quest’area si spartiscono il rimanente 12%: il Fujian (6,9%), il Guangxi (3,0%) e l’Hainan (2,2%).

Perché in Cina?
Non vi è alcun dubbio sul fatto che il motivo per cui questi italiani si sono trasferiti in Cina sia il lavoro e questa decisione si concretizza con tre parole: business, lavoro e speranza. Gli italiani non sono partiti tanto per cercare un lavoro, quanto piuttosto per seguirlo e per ottenere quelle prospettive di carriera che non sono completamente negate in Italia, ma che non sempre soddisfano le legittime aspettative degli italiani.
Quasi un terzo dei rispondenti è partito perché riteneva che in Cina ci fossero maggiori possibilità di creare il proprio business; il 27,6% è partito quasi per caso o perché era disoccupato in Italia e vedeva nella Cina delle nuove possibilità, il 20,3% è partito perché voleva fare della “gavetta” per tornare in Italia ed ambire ad una migliore occupazione e un altro 20,3% perché ha maggiori speranze per il futuro in Cina piuttosto che in Italia. Solo lo 0,6% è in Cina perché la manodopera costa meno.

Il background formativo
Gli italiani in Cina hanno percorsi formativi eterogenei. Il 55,5% è in possesso di una laurea e di questi il 4% ha proseguito gli studi con un dottorato; il 36,1% possiede un diploma di scuola secondaria e un 8,4% degli italiani non ha proseguito gli studi oltre la scuola dell’obbligo.
I corsi di laurea che troviamo con maggior frequenza sono quelli di ingegneria, economia e finanza, ma non è trascurabile neppure la frequenza (16,0%) di laureati in materie umanistiche (Lettere e filosofia, che comprendono studi in letteratura, storia, filosofia, lingue ed archeologia).

Le prospettive
Gli italiani residenti nel sud della Cina hanno progetti altamente diversificati: una parte è solo di passaggio, un’altra si fermerà a lungo, altri non sanno ancora quanto resteranno in Cina. In mediana, gli italiani pensano di rimanere in Cina per 3 anni e 6 mesi, ma vi è anche un 12,4% che afferma vi trascorrerà tutta la vita.
Questi dati rivelano le caratteristiche molto particolari degli italiani emigrati in un Paese emergente, come la Cina, e dunque sarebbe utile promuovere gli studi su questo tema sia per meglio comprendere le dinamiche di queste “nuove” migrazioni, ma anche per elaborare politiche nazionali di sviluppo e networking, che potrebbero vedere proprio i nostri migranti come attori principali.

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