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Un nuovo contributo all’’analisi della mobilità residenziale in Emilia-Romagna

Dal 1995 al 2011 il numero di ingressi annui in Emilia Romagna da altre regioni e dall’estero è pressoché raddoppiato, passando da 37 mila a 74 mila unità. Complessivamente nel periodo considerato sono entrate nella regione oltre 1 milione e 100 mila persone, un quarto della popolazione residente a fine periodo (4 milioni e 300mila).

La nuova geografia delle migrazioni interne

Quasi sei ingressi su dieci registrati in Emilia-Romagna in questi 17 anni provengono dall’interno del Paese. In particolare, nello stesso periodo l’apporto delle zone d’origine a questi flussi è radicalmente cambiato (Figura 1). Nel 1995 l’incidenza del Mezzogiorno era del 46% contro il 35% del Centro Nord e “solo” il 19% dell’Estero. Negli anni successivi l’importanza dei flussi dall’estero è cresciuta, superando le iscrizioni dal Centro-Nord nel 1999 e quelle dal Mezzogiorno 4 anni dopo. Si riscontrano inoltre vari picchi relativi in coincidenza con le sanatorie che hanno regolarizzato la presenza degli stranieri irregolari. I flussi dal Mezzogiorno, dopo essere stati caratterizzati fino al 2000 da una fase di crescita, hanno iniziato un trend discendente che li ha riportati a fine periodo ai livelli iniziali. Le migrazioni dal Centro-Nord sono cresciute con un andamento regolare, annullando il divario con il Mezzogiorno nel 2011. Per effetto di queste contrapposte tendenze, a fine periodo la metà dei flussi in ingresso derivano dall’Estero.
Nello stesso arco temporale, sono uscite dalla regione (verso le altre regioni italiane e verso l’Estero) complessivamente 420 mila unità, con un saldo migratorio complessivo di circa 720 mila. Grazie alle migrazioni, nonostante un saldo naturale negativo di 270 mila unità, la popolazione residente in Emilia Romagna è cresciuta di 450 mila residenti, pari ad tasso medio annuo del 6,4 per mille.

I cruscotti della mobilità
Meritevole di un approfondimento è anche la propensione ad emigrare da parte degli emiliano-romagnoli. Tradizionalmente questa è misurata dal TMT, il Tasso di migratorietà totale, che esprime il numero di migrazioni cui sarebbe sottoposta nell’arco della vita una coorte fittizia di mille unità in assenza di mortalità: un indicatore molto efficace per effettuare confronti spazio-temporali, ma allo stesso tempo scarsamente conosciuto dai non specialisti in campo demografico. Può quindi essere utile introdurre una nuova modalità di rappresentazione grafica della dinamica nello spazio e nel tempo del TMT attraverso i cruscotti migratori. Pensati per i non esperti, i cruscotti consentono un’immediata comprensione del fenomeno migratorio in termini comparativi rispetto al sistema migratorio di riferimento (approccio sincronico) o rispetto all’intervallo temporale di analisi (approccio diacronico).
Al fine di garantire la significatività statistica dei dati, nel calcolo dei TMT del presente articolo sono escluse le classi di età molto anziane (85 anni e oltre). .

La Figura 2 riporta i due tipi di cruscotti. Il primo cruscotto (a) esprime la collocazione del TMT regionale, pari 2.202 (trasferimenti di residenza, per mille persone “medie”) per il periodo 2009-’11, nei confronti dei valori assunti dall’indice nelle 20 regioni italiane, dal minimo di 1.130 per la Puglia al massimo di 3.423 per la Valle d’Aosta contro una media nazionale di 1.910. Il secondo cruscotto (b) evidenzia, per il TMT interregionale e con l’estero, il posizionamento della variazione percentuale relativa all’ultimo anno disponibile (2011, +1,0 %) nel range delle analoghe variazioni relative al periodo 1996-2011 (che varia da un minimo del -6,1% nel 2001 a un massimo del +14% nel 2002).

L’impatto delle caratteristiche individuali e geografiche
Il valore del TMT complessivo è influenzato dalle caratteristiche della popolazione e dei comuni di origine (Tab. 1). Se dai dati si evince che la propensione alla mobilità in uscita è senza dubbio condizionata da tutte le caratteristiche considerate, sia di natura individuale (sesso, cittadinanza e stato civile) sia legate alle specificità demografiche e geografiche dei comuni (classi di ampiezza, altitudine, ecc.), l’incidenza di ogni variabile è senza dubbio molto diversa. L’effetto differenziale più rilevante è quello relativo alla cittadinanza. Infatti, nel periodo 2009-’11 l’indicatore per gli stranieri (che rappresentano il 10,9% della popolazione regionale) è più del doppio (4.485) rispetto a quello relativo agli italiani (1.962). Un’altra caratteristica individuale, poco indagata ma che incide in fortemente sulla mobilità, è lo stato civile:   considerando le sole età da 30 a 84 anni, la propensione a emigrare dal comune è bassa per i coniugati (930) ma più alta, circa il doppio, per i non coniugati (1.641 per i celibi/nubili; 1.666 per i vedovi/divorziati). Per quanto riguarda gli attributi dei comuni di origine, si nota una relazione inversa tra il TMT e la dimensione demografica: la propensione ad emigrare cresce al diminuire della popolazione salendo da 1.785 per i comuni con oltre 50 mila abitanti a 2.719 per quelli di piccola dimensione (9,6% del numero totale di residenti). In maniera analoga, spostandosi dai comuni capoluogo di provincia a quelli via via più esterni di prima e seconda corona il valore del TMT aumenta sensibilmente.

Per quanto riguarda inoltre la localizzazione geografica dei comuni, la probabilità di emigrare è più bassa nelle aree non montane, e in particolare in quelle di pianura (2.039). L’indicatore tocca il minimo (1.718) per quel 12% della popolazione che vive nei comuni che si affacciano sul mare.

Ulteriori approfondimenti sui temi trattati sono reperibili su un volume Istat, curato dagli autori, dal titolo “La dinamica attuale delle migrazioni interne in Emilia-Romagna”  recentemente diffuso nella linea  degli  ebook statistici.

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