Fuori dalla “trappola malthusiana”? Il caso del Ruanda
Nella memoria collettiva, il piccolo Stato africano del Ruanda (circa 26.000 chilometri quadrati, poco più della Sicilia) evoca il genocidio che, nella primavera del 1994, costò la vita a oltre mezzo milione di persone appartenenti al gruppo “etnico” tutsi (su un totale compreso tra 600.000 e 900.000). Negli anni successivi, al fine di comprendere le cause e il contesto di questo tremendo massacro, si sono indagati numerosi ambiti delle scienze sociali, compresa la demografia: il Ruanda all’inizio degli ‘90 presentava infatti una densità di popolazione tra le più alte al mondo (circa 270 ab/kmq; la più elevata in Africa continentale) e si trovava in una paradigmatica situazione di “trappola malthusiana”.
In trappola
Economisti e demografi hanno definito “trappola malthusiana” il fenomeno di stagnazione del reddito pro capite nel medio-lungo periodo a causa della crescita della popolazione: in una società agricola a basso progresso tecnologico, dove la terra è il principale fattore di produzione, un qualsiasi aumento del reddito causato, ad esempio, dall’espansione delle aree coltivabili, dal maggiore sfruttamento dei terreni o da fattori contingenti (stabilità politica, anni di raccolti favorevoli) ha come risultato un aumento della natalità, e forse anche una diminuzione della mortalità. La conseguente crescita della popolazione entro poco tempo bilancia quella delle risorse alimentari – legate alla terra, ovvero un fattore produttivo soggetto a rendimenti marginali decrescenti – e il surplus di popolazione “diluisce” l’incremento del Pil pro capite, facendolo tornare al punto di partenza. Se poi la crescita demografica diventa insostenibile rispetto alle risorse disponibili, intervengono dei freni volti a riequilibrarla, diminuendo la natalità o aumentando la mortalità e le emigrazioni; questi freni possono essere “volontari”, riconducibili a scelte dei singoli abitanti che decidono di avere meno figli, oppure cruenti, come ad esempio carestie o epidemie.
Tabella 1: Indicatori demografici ruandesi, serie storica.
*TFT medio durante il periodo 2005-2010.
Fonte: per i dati in grassetto censimenti o indagini demografiche effettuati dalla Repubblica del Ruanda; per tutti gli altri dati, United Nations Population Division (valori medi nell’intervallo di tempo considerato).
A partire dal 1987 lo sviluppo economico del Ruanda si arrestò a causa del crollo sul mercato internazionale dei prezzi di caffè e tè, i due prodotti dai quali dipendeva oltre il 90% delle esportazioni nazionali. Da questa data, e salvo momentanee riprese, l’economia entrò in recessione e all’inizio del 1994 il Pil era inferiore a quello pre-crisi. Nei decenni precedenti, i proventi delle esportazioni di caffè e tè erano serviti a finanziarie l’apparato statale e il settore dei servizi, in buona parte dipendente dal potere centrale; allo stesso tempo – come testimoniato dalla “natura” dei due prodotti – il Ruanda era rimasto un paese agricolo, nel quale oltre il 90% della forza lavoro era impiegata nel settore primario, e le famiglie contadine vivevano nel proprio ridotto appezzamento di terra, conducendo un’esistenza ai limiti della sussistenza basata su poche colture, su metodi agricoli tradizionali privi di input tecnologici e sulla vendita alle aziende statali dei prodotti da esportare. Dalla metà degli anni ‘80 questo modello di sviluppo, legato essenzialmente alla continua ricerca di nuove terre da coltivare e alla riduzione dei terreni o degli intervalli di tempo dedicati al maggese, aveva iniziato a segnare il passo: l’altissima crescita demografica, costantemente superiore al 3% annuo dall’indipendenza del luglio 1962, unita a un generale calo della produttività dei terreni, causò una continua riduzione del reddito pro capite. Già dal 1984 la crescita del Pil non fu in grado di compensare quella della popolazione e la successiva crisi economica fece sì che il reddito, alla vigilia del genocidio, fosse tornato ai livelli di inizio anni Sessanta.
Il modello di “trappola malthusiana” si applica teoricamente a popolazioni pre-transizione demografica, ma quella del Ruanda appare come una transizione fallita a causa di un modello demo-economico di sviluppo non sostenibile. A partire dal 1990-1991 si erano registrati i primi esempi di freni “volontari” alla crescita della popolazione, come il ritardo dei matrimoni e una maggiore incidenza dei metodi contraccettivi, ma il ritmo di crescita della popolazione restava elevato, e già si erano segnalate alcune carestie. Insomma, la pressione demografica sulle risorse era molto forte, e, secondo alcuni autori, sarebbe da annoverare tra le cause del genocidio del 1994.
In fuga?
Dopo il genocidio il Ruanda ha sperimentato un vero e proprio decollo economico: pacificazione, stabilità politica (pur in assenza di democrazia), incentivi al settore dei servizi e del commercio, razionalizzazione dell’agricoltura, favorevole congiuntura internazionale, e forse anche ridotta pressione demografica sulle risorse sono tra le cause principali della ripresa. Nel 2010 il Pil era doppio rispetto al precedente picco raggiunto nel 1993, e anche il Pil pro capite – nonostante una crescita della popolazione elevata, ma minore rispetto a quella “storica” – è cresciuto, lentamente ma senza interruzioni, e nel 2010 era superiore del 25% al precedente livello massimo del 1984. Le prospettive future sembrano inoltre buone e la crescita economica dello Stato africano è prevista tra il 6 e il 7% anche nel 2012 e nel 2013.
Osservando la Figura 2 sembra che il Ruanda stia riuscendo a sfuggire alla “trappola malthusiana”; in realtà permangono alcuni interrogativi legati all’ancora elevato impiego nel settore primario (circa l’80% della forza lavoro), alla permanente dipendenza da caffè e tè, all’erosione dei terreni e soprattutto a una crescita demografica che, nonostante la transizione in atto e la crescente consapevolezza della popolazione, è prevista superiore al 2% ancora per tutto il prossimo decennio.
Per saperne di più:
Catherine André, Jean-Philippe Platteau, Land Relations Under Unbearable Stress. Rwanda Caught in the Malthusian Trap, Centre de Recherche en Economie du Développement (CRED), Université de Namur, Namur, 1998.
Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere. Titolo originale: Collapse. How Societies Choose to Fail or Succeed, Einaudi, Torino, 2007.
Gérard Prunier, The Rwanda Crisis 1959 – 1994. History of a Genocide, Hurst & Company, London, 1995.