La questione immigrazione raramente è considerata con il giusto equilibrio. Tra chi teme l’invasione dei barbari e chi aspetta il salvifico arrivo di lavoratori stranieri, che badino ai nostri vecchi e paghino anche le nostre pensioni, si tende a perdere di vista il fatto che, come spesso avviene, la verità sta probabilmente nel mezzo: un po’ di immigrazione ci è certo di aiuto nel breve periodo, ma è quasi neutra nel più lungo termine, e comunque non ci esime dal trovare una (diversa) soluzione strutturale ai nostri problemi di struttura per età.
Struttura per età: qual è il problema?
La popolazione italiana è già oggi molto invecchiata, e ancor più lo sarà in futuro. Ci sono molti modi per evidenziarlo: uno tra questi è calcolare l’aliquota contributiva implicita c, necessaria per tenere in equilibrio il sistema dei trasferimenti tra chi produce (per semplicità, gli adulti di 20-64 anni) e chi no (giovani e vecchi), tenendo però presente che tutti e tre i gruppi consumano, e che questo è un gioco a somma zero: non c’è creazione di reddito, e le entrate devono pareggiare esattamente le uscite. Con alcune ipotesi sul costo che si potrebbe pensare di imputare, in media, alle tre tipologie di individui[1], si può pervenire alla determinazione del livello dell’aliquota c, sia nel presente sia in una serie di scenari futuri. Ovviamente, più c sale, peggio è: la distorsione della struttura per età (=invecchiamento, nel caso italiano) si traduce in un carico crescente di costi, soprattutto per pensioni e sanità.
Ma quali scenari? Se ne possono costruire molti, immaginando varianti di fecondità e di sopravvivenza, con immigrazioni più o meno forti, e variamente distribuite nel tempo: lo hanno già fatto in tanti. Ma anche in un contesto così abusato, si può pensare di introdurre qualche novità, oltre al calcolo di c (aliquota contributiva di equilibrio), e precisamente:
· calcolare anche c*, che è l’aliquota contributiva di equilibrio di lungo periodo, verso la quale, in condizioni normali, tende l’aliquota contributiva effettiva c. Il vantaggio di c* è che ci dice, già oggi, se la tendenza del prossimo futuro sarà verso un miglioramento o un peggioramento rispetto al quadro attuale, e di quanto;
· scegliere esplicitamente le età soglia, e decidere se le vogliamo fisse o invece variabili. A che età si cessa di essere giovane e si diventa adulto? E a che età si cessa di essere adulto e si diventa vecchi? A queste domande non esiste risposta oggettiva: esistono solo risposte convenzionali, peraltro molto variabili nel tempo e nello spazio, e anche i 20 e i 65 anni qui utilizzati alla partenza sono solo uno degli infiniti possibili esempi. Questo, tuttavia, non è molto importante: quello che invece importa, e molto, è distinguere tra il caso “soglie fisse” (resteranno sempre 20 e 65 anni, anche in futuro) e il caso “soglie variabili”, in cui invece le soglie si adattano al crescere della durata media della vita;
· considerare il problema della “trasformazione” degli stranieri in italiani. Se gli stranieri fossero perfettamente identici agli italiani, non ci sarebbe niente di male a avere poche nascite, perché le potremmo compensare con immigrazioni. Queste, anzi, sarebbero persino più vantaggiose: gli stranieri tipicamente arrivano quando ormai sono giovani adulti (diciamo: intorno ai 20 anni) e ci risparmiano quindi qui i costi dell’allevamento e dell’istruzione dei figli, che altri hanno sostenuto per noi. Ma, si dice, questo scambio (meno nascite, più immigrati), ha uno svantaggio: fa aumentare la presenza straniera in Italia. Vero, se lo straniero resta tale per sempre. Falso, se lo straniero si trasforma rapidamente in italiano, sia nella sostanza (ad esempio, impara a storpiare la lingua e a violare le leggi come solo noi crediamo di saper fare) sia nella forma (perché rendiamo più facile l’acquisizione della cittadinanza).
Qualche scenario e qualche risultato
Seleziono solo due figure, tra le tante che si potrebbero generare, per mettere in luce l’essenza di quel che cerco di dire. Nella figura 1 immagino che l’immigrazione vada immediatamente a 0, e che la fecondità lentamente risalga dai bassi valori attuali (1.4 figli per donna) al valore necessario per il rimpiazzo delle generazioni (circa 2 figli per donna). Nella figura 2, invece, la fecondità resta bassa, ma le immigrazione sono e restano forti, per tutti i 300 anni della simulazione. Cosa cambia?
Non tanto, in fondo: in entrambi i casi la popolazione declina fortemente (parte a delle figure), prima di fermarsi a 35-40 milioni, dai 60 attuali. In entrambi i casi si invecchia fortemente: la quota degli anziani sale (fino al 30% circa) e quella dei giovani scende al 15% circa (parte b delle figure). L’aliquota contributiva di equilibrio sale: ha un picco tra circa 40 anni (arrivando al 30% circa, dal 23% attuale), poi scende, ma poi inesorabilmente sale ancora, puntando di nuovo verso il 30% (parte c delle figure). La vera grossa differenza tra i due scenari è quindi solo nella presenza straniera: dal 7% attuale, tale quota sparisce nello scenario senza migrazioni (ma no?), ma “esplode” invece in quello con forti immigrazioni: si arriverebbe fino al 20% circa di stranieri con un altro 33% di persone di origine straniera.
E quindi?
E quindi cambia poco: con o senza stranieri è alle viste un forte declino numerico per il nostro paese, accompagnato da un invecchiamento, rapidissimo nei prossimi 40 anni e più graduale, ma costante, e non meno insidioso in seguito. Certo, potrebbero immigrare ancora più persone, soprattutto all’inizio, per contrastare entrambi i processi, ma allora la quota di stranieri, già così in rapida crescita, aumenterebbe ancora …
In realtà, un sapiente mix di scelte può addolcire la pillola amara che ci attende: tenere alta l’immigrazione almeno per i prossimi anni, stimolare la fecondità (con opportune politiche, se serve), adattare le età soglie (sì: significa andare in pensione più tardi, visto che si vive anche più a lungo che in passato, e in migliori condizioni di salute), e facilitare l’acquisizione della cittadinanza per gli stranieri che vengono da noi, a cominciare da coloro che nascono in Italia. Ebbene, agendo lungo tutti questi fronti le cose migliorano in tutti e quattro i riquadri delle figure che vi ho presentato, e nel caso più favorevole migliorano anche sensibilmente.
Attenzione: migliorano, ma non si trasformano in un Eden perché, almeno per i prossimi 40 anni, l’invecchiamento è, per l’Italia, un destino ormai ineluttabile, determinato da quel che è successo nel recente passato, e soprattutto dall’evoluzione delle nascite, con il boom fino al 1964 (con oltre un milione di nati), e il forte declino poi, fino al circa mezzo milione di nati oggi. La strada è dunque in salita, in tutti gli scenari: ma, impegnandoci a fondo, e sfruttando anche le immigrazioni, possiamo rendere la salita un po’ meno ripida.
Per saperne di più
De Santis G. (2011) “Can immigration solve the aging problem in Italy? Not really …”, Genus, LXVII(3): 37-64.