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Tendenze e livelli della fecondità? Mondiali!

Alla fine del 2011 è uscito il rapporto UN sulla fecondità (World Fertility Report 2009); un aggiornamento dell’analogo lavoro di due anni prima. Non contiene notizie rivoluzionarie, ma mette in luce i grandi cambiamenti in questo campo dal dopoguerra a oggi, e le forti differenze che ancora sussistono tra le diverse aree del mondo, distinte, com’è tradizione dei rapporti UN, tra MDC (More Developed Countries, o paesi sviluppati), LDC (Less Developed Countries, o paesi in via di sviluppo) e Least (Least Developed Countries, o paesi sottosviluppati). Rivediamo insieme i punti più importanti.
Fecondità troppo alta e troppo bassa al tempo stesso
Qual è il livello ideale della fecondità di un paese? Non c’è una risposta univoca a questa domanda, ma lo standard di riferimento è normalmente considerato il livello che garantisce esattamente il rimpiazzo generazionale, e cioè tale per cui la generazione successiva (quella dei figli) sarà numerosa tanto quanto quella precedente (dei genitori). Ovviamente, questo livello dipende dalla mortalità: con mortalità elevata, il che significa anche e soprattutto elevata mortalità infantile, occorrono più figli perché ciò avvenga, perché alcuni di questi moriranno prima di essere arrivati all’età riproduttiva. Con mortalità molto bassa invece, ne bastano appena poco più di due (figli per donna) perché ciò sia garantito.Il rapporto delle Nazioni Unite semplifica il problema e fissa per tutti la soglia del rimpiazzo a 2,1 per il TFT (o Tasso di Fecondità Totale = numero medio di figli per donna). Ebbene, la fecondità del mondo nel suo complesso è attualmente intorno a 2,5 figli per donna, con una differenza tra paesi più sviluppati (TFT=1,66) e meno sviluppati (2,68) che si è ormai ridotta a circa un figlio per donna, contro i tre del dopoguerra (figura 1).Sui quasi 190 paesi esaminati, 75 non raggiungono la fecondità di rimpiazzo, e tra questi ce ne sono anche molti considerati in via di sviluppo. Tra questi, poi, alcuni hanno avuto declini di fecondità spettacolari, in relativamente pochi anni: non solo la Cina (TFT da 6,1 a 1,6 nei 60 anni considerati), ma anche la Corea del Sud (da 5 a 1,3), la Tailandia (da 6,1 a 1,6), e molti altri. Più vicino a casa nostra abbiamo la Tunisia (da 7 a 2) e tutta l’Europa orientale, a cominciare dall’Albania (da 5,6 a 1,6).Insomma, a ben guardare, la media mondiale non è troppo elevata, e globalmente è coerente con l’ipotesi che la crescita demografica del globo sia vicina ad arrestarsi (nella seconda metà di questo secolo). Ma questa media mischia ancora casi estremi: alcuni paesi hanno fecondità molto, e forse troppo, bassa (tra 1,3 e 1,4 in tutta l’Europa orientale, ma anche in Giappone, in Germania, in Portogallo, in Italia, …); altri, invece, soprattutto nell’Africa subsahariana (ma anche in Afghanistan) sono ancora oltre i 6 figli per donna, con una punta di oltre 7 figli (ini media!) nel Niger.
La politica in camera da letto
L’intervento pubblico sulle scelte procreative delle coppie è, da sempre, guardato con sospetto, e in parte con ragione: dai regimi che hanno cercato di innalzare la fecondità (fascismo, nazismo, comunismo, ecc.) agli interventi coercitivi per cercare invece di ridurla (Cina, per un breve periodo l’India delle sterilizzazioni forzate, …), la storia è costellata di episodi poco edificanti. Ma è sbagliato anche sposare l’estremizzazione opposta: che le scelte individuali si possano prendere disinteressandosi del contesto, perché, anche in questo campo, come in molti altri per il vero, queste decisioni individuali hanno importanti ricadute collettive: troppi bambini possono rallentare la crescita e impedire il decollo economico e l’uscita dalla povertà; rendono difficile e costoso provvedere per tutti i ragazzi a buone cure mediche e a una buona istruzione (il famoso “capitale umano”), facilitare l’uscita delle donne dalle mura domestiche. Ma anche una fecondità troppo bassa può alla lunga, danneggiare la collettività: la popolazione invecchia e scricchiolano sia il sistema produttivo sia il welfare state (pensioni, sanità, cura degli anziani in genere). Come fare, allora, per indurre le coppie a fare il “giusto” numero di figli?La risposta è complicata – anche perché sempre più i figli nascono al di fuori del matrimonio: i paesi del mondo per cui si hanno i dati in serie storica non sono moltissimi, solo 62, ma in questi 62 casi la quota delle nascite “naturali” (un tempo si sarebbero chiamate illegittime) è salita dal 7% degli anni 70 al 34% oggi. Ciò è anche conseguenza del ritardo nel matrimonio; dal 1970-78 al 2000-08, nei paesi sviluppati l’età media al matrimonio delle donne è salita da 22 anni a quasi 30; nei PVS la crescita è stata minore (oggi è questa età media è pari a 23,5) ma è comunque sensibile. Il rapporto UN non parla poi dell’altro aspetto del problema: la minore stabilità dei matrimoni. Oggi, in molti paesi sviluppati, circa la metà dei matrimoni finisce con una separazione o un divorzio – e anche questo contribuisce a far crescere poi le nascite al di fuori del matrimonio.Certo, i figli continuano a nascere per un’azione di coppia, ma sempre più spesso avviene che crescano con un solo genitore, che spesso è la madre. E i governi, che un tempo si rivolgevano alle coppie “classiche”, devono forse imparare a cambiare interlocutore: le coppie di fatto o, forse, semplicemente le donne.
Un affare di donne
Ma parlare come? I governi che si dichiarano insoddisfatti dei livelli interni di fecondità sono in crescita: dalla metà circa dei paesi per cui si dispongono dati, negli anni 70, a due terzi oggi. Ma sono insoddisfatti per motivi diversi, perché la fecondità appare (e, in generale, effettivamente è) ora troppo alta, ora troppo bassa. Dove la fecondità è troppo alta, una delle cose che si può fare per ridurla è cercare di rendere disponibili, e “accessibili” (per prezzo, vicinanza, e accettabilità religiosa e culturale) i mezzi contraccettivi, soprattutto quelli moderni (v. anche Potosì, Neodemos, L’efficienza dei programmi di pianificazione familiare nel mondo ). Come si vede dalla tabella 1, questi sono molto diffusi nei paesi sviluppati (MDC), e in ottima crescita nei paesi in via di sviluppo (LDC), ma ancora rari nei paesi più poveri (Least).In quest’ultimo caso, in parte, il ritardo non si deve solo alla scarsa offerta di contraccettivi: spesso, sono le stesse donne che, intervistate in occasione di indagini internazionali, dichiarano di non volere far nulla per evitare o ritardare una prossima nascita. Un atteggiamento comprensibile in chi ha pochi o punti figli, ma forse meno condivisibile, dal nostro punto di vista (e, sempre più anche dal punto di vista dei governi) se espresso da chi ha già un’ampia discendenza.Per ridurre la fecondità in questi contesti occorre, quindi che si diffonda l’idea che la realizzazione delle donne e il riconoscimento del loro ruolo nella società dipenda non dal numero di figli che hanno messo al mondo, ma, per la parte riproduzione, dalla “qualità” di questi figli (se sono sani, istruiti, integrati nella società) e, per altro verso, dalla “qualità” delle donne stesse, il che poi significa cultura, istruzione, produttività sul lavoro (fuori dalle mura domestiche), partecipazione alla vita politica e sociale, ecc. E’ quello che è successo, in un passato ancora recente, nei paesi oggi sviluppati ed è quel che sta avvenendo oggi nei paesi in via di sviluppo. Ma non ancora in tutti, e non, in particolare, nei paesi sottosviluppati.

Per saperne di più
UN (2011) World Fertility Policies
UN (2011) World Fertility Report
UN (2011) World Population Prospects

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