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Cronaca di ordinaria “regolarizzazione”

Giovedì 11 marzo 2010, ore 14: la sig.ra Luigina è convocata nella sede della Prefettura di Brescia, per la pratica di regolarizzazione della signora Maria, sua fidata “badante”.

Luigina ha quasi 93 anni, invalidità al 100% ma un coraggio e una voglia di vivere da vendere.

Padiglione C nel cortile dell’ex caserma Randaccio. Transenne e un cartello con la scritta  “attendete il vostro turno”.  Attendiamo: per fortuna qualcuno ci fa segno di entrare e di  esibire la lettera ad un addetto.

La stanza è affollata: 4 sportelli con gentili impiegate che domandano tutte le stesse cose: “mangia e dorme nella stessa abitazione?” , “da quale paese è entrata in Italia?”,  “ha portato la marca da bollo” “ha la fotocopia del contratto di affitto?” “ il datore di lavoro firma qui davanti nella prima pagina e lei nella terza”. …

Poche sedie, caloriferi spenti, nessuna bacheca informativa: locali dismessi dalla caserma  che assomigliano a sale d’attesa di certe stazioni di periferia. Ora:  uffici per la regolarizzazione dei flussi. Allo sportello si sta in piedi; quando è il proprio turno un nugolo di persone si presenta davanti all’impiegata. Si,  perché  per le pratiche della nonna o del nonno  vi hanno lavorato in tanti: la persona anziana, (che nell’attesa è rimasta  parcheggiata al caldo in macchina o sta scomodamente su una sedia da  vecchio ambulatorio medico), la badante straniera, il familiare, per lo più figlie, qualche figlio, persino dei nipoti. Non si sa mai che l’occhio di un giovane capisca qualcosa di più!.

Il  clima è di generale apprensione: tutti teniamo in mano una cartella, piena di documenti che ha sfibrato ogni componente della famiglia. Fino all’ultima domanda dell’addetta,  non sapremo se la  marca da bollo o la misura dell’altezza della stanza da letto della badante sono conformi alle richieste. Sembra un esame scolastico: nessuno si sente in fondo tranquillo anche se preparato, perché l’esaminatore deve applicare regole implacabili e imprevedibili. 

Convocate per le ore 14, il cognome della signora Luigina viene chiamato alle 16 e 20. Luigina ha i piedi gelati: il sole non c’è più, i caloriferi ancora spenti e l’attesa ha sfibrato anche la tenacia dell’anziana. Ci avviciniamo, persino Luigina con il bastone cerca di rimanere in piedi davanti allo sportello: ha tanto atteso, i piedi sono freddi e un po’ gonfi,  ma  ora vuole godersi la soddisfazione di aver fatto tutto per  bene, per lei e per la sua amata Maria. 

L’impiegata dello sportello 3 ci stoppa dopo pochi secondi: consegnato il documento di identità del datore di lavoro scopre che sul modulo il mese di giugno è diventato gennaio. Un errore del patronato che ha avviato la pratica: ma Luigina è qui, la carta di identità riporta correttamente la sua data di nascita: pensiamo sia sufficiente  fotocopiare il documento. 

No, mi dispiace, la pratica va inviata a Roma e dovrete essere riconvocate un’altra volta, tra quanto non sappiamo: non dipende da noi”. Sbigottite: “ma come, la vuole vedere  il ministro Maroni di persona?! Non avete un fax, un computer da cui inviare via e.mail, via intranet i dati corretti?  Non è sufficiente allegare il documento? Abbiamo preparato 74 pagine di documenti, speso oltre ai 500 euro una tantum, altri  200 tra certificati, dichiarazioni,  marche da bollo, fotocopie, che pesano sul bilancio della pensione, atteso 6 mesi e intanto Maria è clandestina. Ma come potete trattarci così!

La fermezza di Luigina si tramuta in pianto, di rabbia e di  amarezza: ci sentiamo impotenti e sgomente. Neppure i suoi solidi 93 anni reggono la insensatezza delle procedure.

Per ogni  donna  straniera  che assiste i nostri cari, ci sta una persona anziana: se curata da una badante è perché è fragile e non più autonoma. Ma il decreto di regolarizzazione dei flussi non sa che farsene di questa evidenza.  Qui, in questi locali si maneggiano le questioni degli immigrati: non c’è odore di diritti, anche il sorriso delle impiegate non supplisce la mancanza di qualità dell’attesa, l’assenza di spazi accessibili e riservati, la carenza di informazioni per documenti incomprensibili.

Mi avviliscono le lacrime di Luigina, perché in lei vedo il segno delle generazioni che hanno tenacemente contribuito  a rendere il nostro paese un luogo civile, moderno, che hanno lavorato sodo per comporre quel tessuto di corrette regole di comportamento, cui non abdicare nemmeno nella fragilità della condizione, e che invece una burocrazia sorda e ostile dileggia e mortifica.