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I motivi dell’assicurazione sociale

Il 13 ottobre 2009 il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha tenuto al Collegio Carlo Alberto a Moncalieri la Lezione Onorato Castellino, organizzata dal CERP. Se ne riportano alcuni passi significativi dedicati al tema della previdenza, selezionati da Gustavo De Santis.

Il testo completo è disponibile in rete all’indirizzohttp://cerp.unito.it/images/stories/moncalieri_13_10_09.pdf.

 

Le ragioni e i limiti dell’intervento pubblico [in materia previdenziale – NdR]

Il mantenimento di un adeguato livello di consumo anche negli anni della vecchiaia, in cui viene meno il reddito da lavoro, richiede che gli individui trasferiscano le risorse necessarie dagli anni in cui lavorano a quelli successivi.

Alcuni aspetti fondamentali del nostro futuro, quali l’evoluzione della carriera lavorativa, la stessa lunghezza di vita, sono incerti per loro natura. Non è perciò sicuro che le risorse accumulate con il risparmio individuale siano adeguate a coprire le esigenze della vecchiaia. L’adozione di un sistema assicurativo collettivo è quindi giustificata: ciò che è incerto per il singolo è più facilmente prevedibile per un gruppo di individui, tanto più ampio è il gruppo quanto più accurata sarà la previsione.

Carenze informative, fenomeni di azzardo morale[1] e di selezione avversa[2], incompletezza dei mercati finanziari inducono a ritenere che il mercato, da solo, non sia in grado di realizzare questo sistema di assicurazione. Vi è quindi un potenziale ruolo per l’intervento pubblico, tenuto conto anche del fatto che l’indigenza ha costi non solo individuali ma anche collettivi.

Il lavoratore può non essere in grado di compiere una corretta pianificazione finanziaria, per la presenza sia di costi di acquisizione delle informazioni sia di difficoltà a programmare su un orizzonte temporale ampio. Inoltre, indipendentemente dall’informazione disponibile, anche i cittadini più accorti e lungimiranti possono avere un incentivo a risparmiare troppo poco se si aspettano che parte dei costi derivanti dal loro sostentamento ricadrà comunque sulla collettività.

L’intervento pubblico può limitarsi a rendere obbligatorie forme di risparmio previdenziale; i problemi di pianificazione finanziaria e di selezione avversa risulterebbero attenuati. Lo Stato può inoltre agevolare la diffusione di informazioni che aiutino gli individui nelle scelte di risparmio, regolare le istituzioni private per accrescere trasparenza e concorrenza e predisporre interventi e infrastrutture che riducano i costi amministrativi e di gestione.

L’intervento pubblico può infine realizzarsi attraverso la gestione diretta di schemi previdenziali. Vari studi hanno sottolineato l’opportunità di disporre di un sistema misto, in cui un pilastro pubblico a ripartizione si affianca a un pilastro privato a capitalizzazione.

Anche a fronte di una domanda assicurativa corretta da parte degli individui, i mercati finanziari possono non fornire in misura appropriata o in modo efficiente gli strumenti necessari a un adeguato accumulo e al successivo decumulo della ricchezza pensionistica. Per l’accumulo, il mercato non offre titoli con un rendimento commisurato alla crescita della popolazione, della massa salariale o del PIL. Inoltre, solo uno schema gestito dallo Stato può realisticamente consentire che gli effetti di fluttuazioni ampie e inattese del tasso di rendimento del sistema siano distribuiti su più generazioni. Nella fase di decumulo, l’offerta privata di strumenti appropriati, quali le rendite vitalizie, è ostacolata da problemi di selezione avversa causati dall’incertezza relativa al momento della morte e dalla presenza di rischi non assicurabili, quali l’aumento inatteso della longevità a livello aggregato (difficilmente diversificabile se non attraverso la ripartizione del rischio tra generazioni).

I regimi a ripartizione risolvono i problemi dovuti all’incompletezza dei mercati finanziari e alla presenza di rischi sistemici e hanno bassi costi di amministrazione e di gestione.Tuttavia, essi producono anche effetti non desiderabili: la pressione contributiva su lavoratori e imprese tende a scoraggiare l’offerta di lavoro e incentiva l’uscita prematura dal mercato del lavoro; il risparmio privato può venire spiazzato, riducendo l’accumulazione di capitale e per questa via il potenziale di crescita dell’economia.

Soprattutto, se la popolazione invecchia la sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici a ripartizione può venire meno, imponendo ai lavoratori cambiamenti nelle regole di determinazione delle pensioni e nei requisiti per il pensionamento.Questo rischio è tanto maggiore quanto più elevate sono le prestazioni previdenziali promesse ai futuri pensionati.

Un sistema pensionistico ben disegnato può limitare questi problemi.Uno stretto legame tra prestazioni erogate, da un lato, e contributi versati e aspettative di vita residua al momento del pensionamento, dall’altro, riduce gli effetti di disincentivo sull’offerta di lavoro e contribuisce a garantire l’equilibrio finanziario di lungo periodo. Un sistema a più pilastri, che associ una componente a capitalizzazione a una a ripartizione, contribuisce a limitare l’impatto negativo sull’accumulazione di capitale e sull’offerta di lavoro, consentendo al tempo stesso una migliore diversificazione del rischio per il lavoratore.

È anche fondamentale la produzione e la diffusione di proiezioni accurate e trasparenti sull’andamento della spesa, che consentano di individuare per tempo eventuali squilibri e di introdurre aggiustamenti graduali, che non stravolgano le attese dei lavoratori. […]

 

L’assetto attuale in Italia: il primo pilastro

La riforma del 1995, pur mantenendo il metodo di finanziamento a ripartizione, ha introdotto per il calcolo dei benefici un sistema a “capitalizzazione virtuale”, in cui la pensione è commisurata ai contributi versati dal singolo lavoratore; questi ultimi sono capitalizzati, con un tasso legato all’andamento del PIL, in un conto “nozionale” a lui intestato; al momento del pensionamento, la conversione del montante contributivo in rendita vitalizia si effettua sulla base di coefficienti che tengono conto degli sviluppi demografici e macroeconomici attesi.

[…] il processo di riforma del nostro sistema pensionistico iniziato nel 1992 ha contribuito a correggere “tre gravissime anomalie”: l’elevato squilibrio finanziario implicito nel precedente sistema […]; i forti incentivi all’uscita precoce dal mondo del lavoro; le notevoli disparità di trattamento tra diverse categorie di lavoratori. […]

Rimangono alcuni aspetti problematici, connessi con il tasso di rendimento dei contributi versati nel conto nozionale del lavoratore, con il calcolo dei coefficienti di trasformazione, con la determinazione delle età in cui è possibile pensionarsi, con l’elevato livello delle aliquote contributive.La transizione al nuovo sistema è inoltre estremamente lenta.

È quindi opportuno continuare a riflettere sulle regole del sistema contributivo. Rafforzare gli automatismi che in questo sistema hanno il ruolo di mantenere la coerenza tra prestazioni erogate e sviluppi demografici e macroeconomici consentirebbe di ampliare i margini di flessibilità per i lavoratori nella scelta dell’età di pensionamento.La recente revisione del meccanismo di aggiornamento dei coefficienti di trasformazione va in questa direzione.

Il tasso di copertura assicurato dal pilastro pubblico ai futuri pensionati sarà più basso, a parità di età di pensionamento, di quello che il sistema ha garantito finora. Per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati è quindi indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento. Tale aumento potrà contribuire, se accompagnato da azioni che consentano di rendere più flessibili orari e salari dei lavoratori più anziani, a elevare il tasso di attività e a sostenere la crescita potenziale dell’economia. Il previsto collegamento dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita rappresenta un passo rilevante in questa direzione.

L’aumento dell’età di pensionamento è ostacolata dal fatto che molti lavoratori sovrastimano la generosità delle attuali regole pensionistiche.Nello scegliere quando andare in pensione essi, inoltre, tendono a confrontare la prima pensione con l’ultimo stipendio, senza tener conto che negli anni di pensionamento tale rapporto andrà riducendosi, poiché i trattamenti sono indicizzati solo ai prezzi e non ai salari. Sarebbero utili una migliore informazione ed eventualmente una revisione dei criteri di indicizzazione, in cui l’introduzione di un collegamento alla dinamica delle retribuzioni fosse compensato da una riduzione dei coefficienti di calcolo della prima rata di pensione.

Compatibilmente con l’equilibrio dei conti pubblici, si può anche valutare lo spostamento verso la previdenza complementare, su base volontaria, di una quota limitata della contribuzione destinata alla previdenza pubblica, che è pari a 33 punti percentuali del salario, il valore di gran lunga più alto tra i maggiori paesi europei. […]

Negli ultimi decenni la diffusione della povertà tra i pensionati (e i nuclei con capofamiglia pensionato) è scesa a livelli sostanzialmente simili a quelli riscontrati tra i non pensionati (e tra i nuclei con capofamiglia non pensionato).È questo un grande successo delle nostre politiche sociali. Restano tuttavia alcune categorie di nuclei familiari con capofamiglia pensionato in cui i tassi di povertà sono elevati: sono i nuclei in cui il capofamiglia è una donna o è molto anziano o ha familiari a carico. Questi dati suggeriscono che sono necessari interventi selettivi, da attuarsi con strumenti di natura assistenziale.

 


[1] [NdR] O “opportunismo post-contrattuale”: nel caso specifico delle pensioni, coloro cui viene assicurata una pensione a certe condizioni potrebbero adeguare opportunisticamente i loro comportamenti, per massimizzare i loro vantaggi a danno degli altri (la collettività): ad esempio, cercando di apparire poveri (anche se non lo sono), o rifiutando offerte di lavoro (per risultare disoccupati). [NdR]

[2] [NdR] Meccanismo per cui si attirano i “peggiori”, dal punto di vista del sistema. Nel caso specifico della previdenza, se al sistema partecipassero (pagando i contributi e poi percependo una pensione) solo coloro che sono destinati a vivere molto a lungo (e quindi a percepire la pensione per più anni della “media”), verrebbe meno l’equilibrio dei conti del sistema.