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Matrimonio e dinamiche sociali in cambiamento

L’analisi della trasformazione dei modelli di formazione delle unioni familiari è un filtro di lettura essenziale dei cambiamenti dei comportamenti sociali in atto.Dal 1995 – anno simbolico nel nostro Paese per aver coinciso con il minimo storico della fecondità di periodo – al 2007, mentre il numero medio di figli per donna ha iniziato lentamente a risalire – da 1,19 fino a 1,37 – il numero di matrimoni è diminuito del 13,7%, riducendosi da 290 a 250mila (fig. 1).
Parallelamente, la quota di nascite fuori dal matrimonio è salita dall’8 a quasi il 21%, oltre un nato su cinque, oltre la metà dei quali, il 12% del totale, da genitori entrambi mai sposati. Il forte aumento delle nascite fuori dal matrimonio è il segnale più evidente dell’affievolirsi del legame nuzialità-fecondità, anche se, dai risultati dell’indagine campionaria sulle nascite, condotta in due occasioni dall’Istat, sembra delinearsi una nuova tendenza al matrimonio dopo la nascita del figlio, quasi a suggello del successo di un’unione.

Matrimoni in diminuzione e in trasformazione

Ma al di là dell’indebolimento della relazione tra nuzialità e fecondità – e senza prendere in considerazione nemmeno le forme alternative di unione familiare né gli scioglimenti delle unioni (separazioni e divorzi) – i cambiamenti strutturali appaiono molto profondi anche considerando esclusivamente la nuzialità e le forti variazioni temporali delle sue caratteristiche. Senza andare tanto indietro nel tempo (nel 1972 furono celebrati quasi 420mila matrimoni, il 7,7 per mille rispetto alla popolazione), i matrimoni nel 2007 si sono ridotti a 250mila (4,2 per mille), dai 290mila (5,1 per mille) che erano nel 1995 (-13,7%). Ma questo andamento decrescente è il frutto di dinamiche che agiscono in direzione opposta e con intensità molto diversa nello stesso periodo 1995-2007, considerato in questa sede.

Per quanto riguarda l’ordine del matrimonio, i primi matrimoni (quelli cioè tra coniugi entrambi alla prima esperienza nuziale) sono scesi da 266 a 218mila (-18,3 %) mentre i matrimoni successivi (per almeno uno dei due coniugi) sono saliti da 24 a 33mila (+37%). Questo andamento si riflette sugli indici sintetici di primo-nuzialità di genere: quella maschile è scesa molto più intensamente (da 592 a 524 per mille), di quella femminile (da 622 a 590). L’età media al primo matrimonio invece aumenta in modo più o meno intenso, circa tre anni, per entrambi i generi (da 29,6 a 32,8 per gli uomini, e da 26,9 a 29,7, per le donne). Cresce quindi la percentuale di sposi al secondo matrimonio, tanto per le donne quanto per gli uomini: ormai, su 100 matrimoni, 89 sono contratti da coniugi alle prime nozze, mentre, tra gli altri, alla seconda esperienza (o, raramente, anche oltre) si trovano 9 uomini e 8 donne.

Per quanto riguarda il rito, i matrimoni religiosi sono scesi di quasi il 30% (da 232 a 164mila), mentre quelli civili sono saliti di quasi il 50% (da 58 a 87mila). Di conseguenza ormai oltre un matrimonio su 3 (quasi il 35%) è celebrato con rito civile, contro uno su cinque nel 1995. Il forte spostamento da rito religioso a rito civile non è però prevalentemente attribuibile – come comunemente si tende a pensare – all’incremento della quota di secondi matrimoni (in oltre il 90% dei casi celebrati con rito civile), bensì al fortissimo aumento dei primi matrimoni (con entrambi gli sposi alla prima esperienza nuziale) celebrati con rito civile. Se si circoscrive infatti l’analisi per rito ai soli primi matrimoni (scesi del 18,3%), si evidenzia che quelli religiosi sono diminuiti del 30% (da 230mila a 161mila), mentre quelli celebrati con rito civile sono cresciuti del 56% (da 36mila a 56mila nel 2007). È importante rilevare che il contributo prevalente (quasi i due terzi) a questa crescita del rito civile è dovuto a primi matrimoni con almeno uno dei coniugi di cittadinanza straniera, pressoché triplicati in tredici anni, da meno di 7mila celebrati nel 1995 ai 20mila nel 2007.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle dell’Istat.