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Piccole patrie, grandi problemi

La questione balcanica: un problema ancora attuale

La dichiarazione di indipendenza del Kosovo del febbraio 2008 ha drammaticamente riportato all’attenzione della pubblica opinione internazionale i Balcani, ricordando ai molti distratti che la questione balcanica è tutt’altro che risolta. Purtroppo, una buona parte di questo pezzo d’Europa, posto a poche ore di navigazione dalle nostre coste adriatiche, è ancora lontana dall’aver raggiunto un assetto stabile e duraturo, nonostante gli interventi militari e il rilevante impegno anche economico della comunità internazionale.

Se la causa più immediata dei problemi che ancora oggi assillano la regione va ricercata nella dissoluzione della Yugoslavia socialista, quella più profonda è da ricondurre a processi di ben più lungo periodo, frutto di una storia particolarmente tormentata. I Balcani, per una serie di ben note ragioni geografiche e storiche, sono da almeno due millenni un vero e proprio crocevia di popolazioni: migrazioni, conflitti e pulizie etniche ne hanno fatto la storia, dando vita a un mosaico di popoli, lingue e religioni che trova pochi riscontri non solo in Europa ma anche nel resto del mondo.

Un puzzle che, tutto sommato, l’impero ottomano seppe amministrare con saggezza, favorendo e permettendo la convivenza fianco a fianco di culture diverse. E’ quel mondo che Elias Canetti ci ha descritto nella Lingua salvata. Nella città bulgara di Rustschuk, dove lo scrittore trascorse la sua infanzia e che ricorda come meravigliosa, nello stesso giorno si potevano sentire sette o otto lingue e vivevano persone di origine diversissima: bulgari, turchi, ebrei spagnoli, greci, albanesi, armeni, zingari e rumeni, oltre a russi e circassi.

Questo mondo inizia ad entrare in crisi nella seconda metà dell’800 con l’affermarsi degli ideali nazionali, prima in Grecia e poi nel resto della regione. L’irredentismo dei popoli balcanici travolse l’impero ottomano e i suoi equilibri, ma, in un contesto così complesso, l’applicazione della formula “uno stato una nazione” ebbe effetti devastanti, con conseguenze purtroppo ancora oggi drammaticamente attuali. E se “balcanizzazione” è ormai diventato il termine che indica una endemica instabilità e frammentazione politica, le pulizie etniche sono state lo strumento politico preferito per raggiungere una omogenea distribuzione della popolazione sul territorio.


Una demografia complessa e politicamente sensibile

In effetti, le pulizie etniche appaiono un vero e proprio elemento di continuità nella storia dei Balcani, la soluzione ideale (anche se tragica e sciagurata) da mettere in campo ogni volta che la politica non è in grado di trovare una soluzione condivisa e pacifica ai conflitti. Quanto sia illusorio questo modo di procedere lo dimostra anche la storia recente. In Bosnia l’assetto istituzionale è ancora tutto da individuare e definire; e se in Kosovo, fino all’intervento della Nato, era oppressa la maggioranza albanese oggi non pare certo possibile considerare normali le condizioni di vita delle minoranze serbe e rom.

La stessa demografia dei Balcani avrebbe dovuto suggerire soluzioni diverse. Ad esempio, in Bosnia Erzegovina al censimento del 1991, effettuato a crisi già avviata, il 43,7% della popolazione dichiarava di appartenere al gruppo etnico musulmano, il 31,4% a quello serbo e il 17,3% a quello croato: una distribuzione di questo tipo, con tre collettività di consistenza così elevata, non si riscontra frequentemente. E anche nelle repubbliche e nelle regioni dove vi erano maggioranze più nette, le minoranze rappresentavano quote importanti della popolazione. Sempre nel 1991, i serbi erano il 12% della popolazione della Croazia. In Montenegro, accanto al 62% di montenegrini vi era un 14,6% di musulmani, un 9,3% di serbi e un 6,6% di albanesi. La popolazione della Vojvodina era per il 57% serba, per il 17% ungherese e poi croata, slovacca, montenegrina, rumena e rom. In Macedonia, i macedoni rappresentavano il 65% degli abitanti e gli albanesi il 22%. E la situazione era ancora più frammentata scendendo a livelli territoriali e amministrativi più minuti.

Un quadro così complesso ha reso il fattore demografico centrale nella discussione politica che ha accompagnato i conflitti, di ieri e di oggi. Così, di volta in volta, sono state la distribuzione delle diverse collettività sul territorio, i criteri di individuazione dei gruppi etnici, i differenti ritmi di accrescimento o la diversa mobilità a focalizzare le tensioni e ad essere usate strumentalmente come elemento di divisione. Da qui le difficoltà a condurre anche le operazioni statistiche più usuali. Il censimento è, ad esempio, inevitabilmente destinato a fare da parafulmine a tutte le tensioni esistenti, diventando una operazione politicamente difficilissima. Nel 1991 gli albanesi del Kosovo boicottarono la rilevazione, più recentemente grosse difficoltà ha comportato la realizzazione del censimento in Macedonia e tutt’altro che semplice si prospetta l’effettuazione dell’operazione censuaria in Kosovo (si veda l’articolo di Zindato).

Il risultato è che della demografia della regione sappiamo molto meno di quanto sarebbe utile sapere

 

[1]. Le esigenze conoscitive sono costrette a piegarsi alla propaganda e agli interessi delle parti in campo. Questo nodo si potrà sciogliere solo quando la politica, al di là delle rituali affermazioni di principio, sarà in grado di creare una soluzione che permetta veramente di assicurare la convivenza pacifica delle tante piccole patrie che vivono nei Balcani. Perché la “balcanizzazione” dei Balcani può continuare ancora a lungo e questo, per l’Italia e l’Europa, è sicuramente il peggiore dei futuri possibili.


[1] Sulla demografia dei Balcani si rimanda al sito di Demobalk (http://www.demobalk.org/), organizzazione che ha proprio lo scopo di migliorare e diffondere la conoscenza su questi temi. In italiano si segnalano i due volumi curati da C. Bonifazi: Le scienze sociali e la nuova crisi Balcanica. Materiali del progetto di fattibilità, Irp-Cnr, Roma, 2001 (http://www.irpps.cnr.it/sito/download/balcani.pdf) e Popolazione, ambiente e conflitti nei Balcani degli anni novanta, Franco Angeli, Milano, 2002.