Questione meridionale e migrazioni sud-nord
I giovani meridionali e il centro-nord
Non sarebbe male che il dibattito riprendesse, magari con approfondimenti che per ora mancano. Recentemente la Svimez, nel suo rapporto annuale, ha ricordato che l’emigrazione interna sud-nord (iscritti nelle anagrafi del centro-nord provenienti dal sud-isole al netto degli iscritti nelle anagrafi del sud-isole provenienti dal centro-nord) ha ripreso a salire: era scesa a un minimo storico alla metà degli anni ’80 (una perdita netta di poco più di 20.000 persone all’anno tra il 1982 e il 1986), per risalire negli anni ’90 (60.000 in media nel 1996-98 e 80.000 nel 1999-2000). La Svimez ha anche notato che, ai trasferimenti di residenza verso il nord, si potrebbero sommare coloro che vanno a lavorare fuori regione (una sorta di pendolarismo di lunga percorrenza), per cui si può dire che “nel complesso…si sono spostate dal Sud verso il Nord circa 270 mila persone, un dato certamente rilevante se si pensa che nel triennio 1961-63 di massima intensità migratoria si trasferirono dal Sud circa 295 mila persone all’anno” (p. 34). Questa affermazione, decontestualizzata, è stata ripresa dai media, e si è diffusa l’opinione che l’emigrazione sud-nord è tornata ai livelli degli anni del boom. Questa opinione è falsa e rischia di stravolgere il dibattito. Vediamo perché.
Si attenua il saldo migratorio sud-nord
Negli anni del boom, la perdita netta del Mezzogiorno per trasferimenti di residenza fu di circa 150 mila persone all’anno, e nel triennio di punta 1961-63 oltre 220.000 all’anno. Rispetto a quel picco storico, il picco relativo recente (1999-2000) è pari ad appena un terzo; inoltre, negli ultimi anni, la perdita netta del mezzogiorno ha cominciato a scendere regolarmente: da 83.000 nel 1999 a 48.000 nel 2006 (figura 1). Da sondaggi preliminari, la tendenza non sembrerebbe interrotta nel 2007; il rallentamento riguarda – più o meno – tutte le singole regioni del sud e delle isole. E anche il volume complessivo degli spostamenti verso il centro-nord (senza quindi considerare i rientri) è in forte diminuzione: furono 300.000 all’anno nel picco degli anni ’60, ridotti a 140.000 circa nel picco secondario del 1999-2000, dal quale inizia una nuova discesa.
Considerazioni da approfondire Le cifre citate permettono di fare qualche considerazione. La prima è che non siamo di fronte ad un nuovo boom della migrazione interna che appare, al contrario di quanto si dice, in sostenuto declino. La seconda è che la migrazione sud-nord – il sintomo secolare del ritardo meridionale – è pur sempre un rimedio, con aspetti sia negativi che positivi, per un’area che ha ancora tassi di disoccupazione giovanile tripli del resto del paese. La terza osservazione è che, per il più recente declino della natalità, i giovani sono in maggior proporzione a sud che a nord (tra i 20 e i 30 anni c’è il 13,6% della popolazione dell’Italia meridionale ed appena il 9,4% di quella nordoccidentale), e anche questo dislivello – che pur si attenua rapidamente – conta nel determinare il numero dei migranti.
Per saperne di più
SVIMEZ, Rapporto Svimez 2007 sull’economia del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 2007