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Migranti internazionali: due numeri per capire

Le Nazioni Unite hanno da poco pubblicato l’International Migration Report 2006, che riprende i dati già resi disponibili, fin dal 2006, nel World Migration Stock. The 2005 Revision, che, a loro volta, erano già stati commentati su Neodemos (v. Massimo Livi Bacci, Per un governo mondiale delle migrazioni). Nulla di nuovo, quindi, e, per giunta, i dati, fermi al 2005, non sono più freschissimi. Ma il quadro generale comparativo che ne emerge è comunque interessante.

191 milioni di migranti internazionali: 3% del totale
Il 3% della popolazione mondiale vive in un paese diverso da quello di nascita o di cui non ha la nazionalità[1] (tab. 1). Ciò perché la definizione di migrante non è univoca nel mondo, e le Nazioni Unite utilizzano di solito la convenzione di considerare straniero chi vive in un paese diverso da quello di nascita. Ma questo criterio non sempre è applicabile. In Italia, ad esempio, i dati correnti si riferiscono agli stranieri: il risultato è che il figlio di due stranieri, pur se nato in Italia, è (malauguratamente) considerato straniero, e rimane tale fino almeno al 18° compleanno. Solo allora può chiedere di diventare cittadino italiano. Invece, il figlio di due italiani (o anche di una coppia mista, ma con almeno un genitore italiano) è italiano, pur se nasce all’estero. Insomma, i dati delle Nazioni Unite presentano alcune incongruenze. Però forniscono un utile ordine di grandezza del fenomeno delle  migrazioni internazionali.

Tab. 1 – Numero stimato di migranti internazionali per area geografica (1990 e 2005)

Area Geografica Migranti internazionali (milioni) Incremento (milioni) Distribuzione % Peso su totale della popolazione %
1990 2005 1990-2005 1990 2005 1990 2005
Mondo 154,8 190,6 35,8 100 100 2,9 3,0
– Paesi sviluppati 82,4 115,4 33,0 53,2 60,5 7,2 9,5
– Paesi in via di sviluppo 72,5 75,2 2,8 46,8 39,5 1,8 1,4
  (di cui: meno sviluppati) 11 10,5 -0,5 7,1 5,5 2,1 1,4
Africa 16,4 17,1 0,7 10,6 9,0 2,6 1,9
Asia 49,8 53,3 3,5 32,2 28,0 1,6 1,4
America Latina e Caribe 7 6,6 -0,3 4,5 3,5 1,6 1,2
America del Nord 27,6 44,5 16,9 17,8 23,3 9,7 13,5
Europa 49,4 64,1 14,7 31,9 33,6 6,9 8,8
Oceania 4,8 5 0,3 3,1 2,6 17,8 15,2

Fonte: UN (2009) International Migration Report 2006: A Global Assessment, New York
(http://www.un.org/esa/population/publications/2006_MigrationRep/report.htm)

Bene, con queste cautele in mente, torniamo ai dati contenuti nel rapporto delle Nazioni Unite. Tra il 1990 e il 2005 il numero assoluto di emigrati internazionali è cresciuto da 155 a 191 milioni, sostanzialmente in linea con la popolazione mondiale. Quello che però è cambiato, e non di poco, è la distribuzione geografica delle destinazioni. Il peso dei paesi sviluppati è infatti cresciuto, dal 53 al 61% del totale, e a fare la parte del leone sono, non sorprendentemente, gli Stati Uniti d’America (20%), seguiti a grande distanza dagli altri paesi, prevalentemente europei (tab. 2). Globalmente, però, l’Europa fa più dell’America del Nord: loro accolgono circa il 23% dei migranti internazionali, noi il 34%. C’è un trucco, ovviamente, legato alla diversa estensione dei territori: un americano che dall’Illinois si sposta a Washington D.C. (magari dopo essere stato eletto Presidente), fa oltre mille chilometri, ma non è considerato un migrante. Invece un praghese che va a vivere a Bruxelles (magari perché Presidente del Consiglio dell’Unione Europea) fa “soli” 900 chilometri, ma è un migrante internazionale – e deve pure attraversare un terzo stato (la Germania) per arrivare a destinazione.

E l’Italia? Piccola, ma in crescita
 
In tempi recenti, anche in Italia, come si sa, l’immigrazione è stata forte. Il dato UN, fermo al 2005, parla ancora soltanto di 2,5 milioni di stranieri, ma, al 1° gennaio 2008, il sito demo.istat.it già ne segnalava oltre 3,4 milioni, pari quasi al 6% del totale (fig. 1). Il dato è molto elevato, rispetto al nostro recente passato, ma ancora contenuto rispetto a quel che si osserva mediamente in Europa (9%) o nei paesi sviluppati (10%).

Anche solo per analogia con il resto d’Europa è quindi ragionevole prevedere che il fenomeno dell’immigrazione straniera in Italia continuerà ancora a lungo, anche perché (pur essendo noi, da tempo, in fase di ristagno) i divari economici con i paesi in via di sviluppo restano enormi, e lo squilibrio demografico rimane elevato: nei paesi poveri la popolazione in età da lavoro cresce in fretta, mentre da noi si sta riducendo.
A noi il compito di adattarci al meglio alla mutata realtà, economica e demografica, dell’Italia e del mondo.


[1] Il criterio del paese di nascita è utilizzato per 165 paesi quello della cittadinanza in 50.
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