Popolazione mondiale:

Popolazione italiana:

Giovani (0-19 anni):

Anziani (64+ anni)

Più figli a parole che nei fatti (*)

Sul problema delle culle vuote si sono alzate recentemente autorevoli voci, quali quella del Capo dello Stato e del nuovo presidente della Confindustria. Possiamo, del resto, pensare alle famiglie come le imprese più importanti per lo sviluppo di un paese, quelle che producono il bene primario per la continuità sociale: i membri delle nuove generazioni. Senza tale bene nessuna società può funzionare. Negli ultimi decenni questo settore produttivo è però entrato in profonda crisi. Se a metà degli anni sessanta nascevano nel nostro paese un milione di bambini l’anno, ora ne facciamo circa la metà (si arriva a superare le 550 mila solo aggiungendo le nascite straniere).

Ma quello delle culle vuote è davvero un problema del quale ci dobbiamo tutti preoccupare? Cerchiamo di rispondere a tale quesito elencando tre motivi che portano a considerare troppo bassa la fecondità italiana e quindi necessarie (e urgenti) misure pubbliche per uscire dal lungo tunnel della denatalità nel quale ci troviamo oramai da qualche decennio.

 

Buoni motivi per preoccuparsi delle culle vuote

Il primo motivo, quello più banale, si basa sul confronto con gli altri paesi occidentali. Negli Stati Uniti e in Francia il numero medio di figli per donna è attorno a due, in Inghilterra e nei paesi scandinavi è di poco sotto. La media europea è di un figlio e mezzo. Noi ne facciamo uno ed un terzo. Una ragione per ritenere la fecondità italiana bassa è quindi il semplice fatto che facciamo meno figli rispetto agli altri.

Questo argomento non è però di per sé sufficiente per farci preoccupare della nostra scarsa natalità. Se esistesse in Italia una minor domanda di figli, sarebbe del tutto sensato avere anche una produzione più contenuta. Ma non è così. Tutte le indagini sul tema documentano come il numero desiderato di figli continui ad essere superiore a due. Riguardo quindi a questo bene esiste un ampio divario tra domanda ed offerta: se i figli fossero una merce che si può comperare sugli scaffali dei supermercati, quello che accade è che le coppie entrano con l’intenzione di comperarne due, ma poi all’uscita, per vari motivi, nel carrello se ne ritrovano uno solo. Il secondo motivo quindi per considerare bassa la fecondità italiana è che le coppie italiane hanno meno bambini rispetto a quanti ne vorrebbero.

Certo, ma se gli italiani desiderassero due televisori al plasma e poi potessero permettersene solo uno, dovremmo davvero preoccuparcene? Ecco allora il terzo motivo. Il fatto è che non solo facciamo meno bambini rispetto agli altri paesi e rispetto a quanto desiderato dalle stesse coppie italiane, ma anche rispetto a quanto sarebbe utile farne per un adeguato sviluppo sociale ed economico del paese. Alla fecondità più bassa rispetto agli altri paesi corrisponde infatti un processo di invecchiamento della popolazione italiana (e di squilibrio tra generazioni) più accentuato, con conseguenti maggiori costi da affrontare per fronteggiarlo. Costi che si sarebbero potuti evitare se gli italiani avessero semplicemente fatto il numero di figli che volevano.

E perché allora ci troviamo in questa situazione che non risponde ai nostri desideri e ci penalizza in termini di sviluppo?

 

Buoni motivi per lasciare vuote le culle

Al netto di qualsiasi considerazione di ordine culturale, una coppia che desidera realizzare i propri obiettivi riproduttivi si è trovata in Italia di fronte a difficoltà oggettive maggiori rispetto alle coppie degli altri paesi occidentali.

E’ un dato di fatto che lo Stato italiano aiuta poco chi fa figli, sia in termini di trasferimenti monetari e sgravi fiscali che di erogazione di servizi. Alla voce “famiglia” della spesa sociale il nostro paese destina l’1,1% del Pil, la metà di quanto si fa in media negli altri stati dell’Ue-25 (Eurostat, Statistics in Focus, 99/2007 – http://www.dobroedelo.ru/text/protectionEU.pdf). Non a caso è da noi anche sensibilmente più alto, sempre secondo i dati Eurostat[1], il rischio di povertà delle coppie con più di due figli. Ma non è tutto. Oltre all’aspetto fiscale, a mettere in maggiori difficoltà le coppie con figli italiane è anche la minor presenza di misure di conciliazione tra lavoro e famiglia. In particolare, la copertura di asili nido è molto più bassa rispetto al resto dell’Europa occidentale (ma andrebbe anche incentivato il part-time, reso più flessibile l’orario di lavoro, potenziati i congedi parentali). Ciò significa che, rispetto agli altri paesi, le donne italiane che lavorano più difficilmente hanno figli, e chi ha figli più difficilmente lavora.

E ci sono infine la difficoltà dei giovani a diventare autonomi e a formare una propria famiglia. Non vengono aiutati in questo dai più bassi livelli di occupazione e dai più bassi salari di ingresso rispetto ai coetanei degli altri paesi. Anche qui mancano poi adeguate misure di protezione sociale che arginino il rischio di precarietà. Se si mette assieme quanto lo Stato italiano spende per disoccupazione, casa e protezione contro l’esclusione sociale, si riesce a racimolare un misero 0,6% del Pil, contro una media europea pari al 2,6%. Pesa poi, di nuovo, la bassa occupazione femminile. Per formare una propria famiglia è sempre più necessario poter contare su un doppio stipendio, o almeno, su uno stipendio stabile. Obiettivi che si riesce a raggiungere ad un’età molto più tardiva rispetto agli altri paesi.

Se ci sono buoni motivi per preoccuparsi delle culle vuote, ci sono quindi anche motivi oggettivi che disincentivano le coppie a riempirle quanto e come negli altri paesi. Per uscire dal tunnel della denatalità, nel quale ci siamo infilati da soli, non basta ora un bonus bebè. Servono misure incisive e durature, che diano il segnale inequivocabile che chi fa figli in Italia fa qualcosa di cruciale per la crescita e lo sviluppo del paese. La parola (anzi i fatti) alla prossima Finanziaria.

 


[1] Ma anche secondo i dati Istat: v. ad esempio Gustavo De Santis “Il grande freddo“.

(*) Articolo presente anche su www.nelmerito.com

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