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L’obesità degli adulti in Italia e nei paesi sviluppati

Background
L’obesità è considerata una grave epidemia dei nostri giorni. La percentuale di persone in sovrappeso o obese[1] è infatti aumentata rapidamente a partire dagli anni ‘80 nei paesi sviluppati, in modo particolare fra i bambini. L’obesità è un fattore di grave rischio per la salute, limita le opportunità economiche e la qualità della vita delle persone interessate, anche a causa della disapprovazione sociale di cui sono oggetto gli obesi. In termini di anni di speranza di vita perduti, si è stimato che essere obesi a 40 anni riduce la speranza di vita di 7 anni per le donne e 6 per gli uomini. L’obesità ha infine un’influenza negativa sull’economia attraverso l’aumento della spesa sanitaria, la perdita di reddito e di produttività (Branca et al. 2007).


Un’epidemia da ricchi


Nei paesi europei, la percentuale di obesi varia dal 5 al 23% fra gli uomini e fra il 7 e 36% fra le donne, mentre la percentuale di pre-obesi varia fra 32 e 79% per gli uomini contro una variazione tra il 28 e il 78% per le donne  (Branca et al. 2007).
Nei paesi sviluppati è stata accertata una forte relazione inversa fra obesità e condizione socio-economica, specialmente fra le donne: le classi sociali più elevate riescono a compensare la sedentarietà, grazie a maggiore informazione, autocontrollo e possibilità di praticare sport (Sobal e Stunkard 1989) .. Nei paesi meno sviluppati – orientativamente fino a un PIL intorno ai 2500$ pro-capite – prevale invece una relazione diretta, e un peso eccessivo si osserva più frequentemente tra le classi sociali più elevate (Monteiro et al. 2004). Molte ricerche hanno analizzato le relazioni fra obesità e fattori psicologici. Risulta una associazione fra obesità e disturbi come la depressione, la mancanza di autostima e la schizofrenia, in quanto sia obesità che disturbi psicologici sono favoriti dalla povertà, ma a loro volta i disturbi psicologici favoriscono l’obesità, anche per il fatto che l’obesità viene disapprovata socialmente e gli obesi vengono svantaggiati, sia a scuola che nei luoghi di lavoro (DeJong 1980; Crosnoe e Muller 2004)

Cibo grasso e poco movimento

L’epidemia di obesità in atto è causata in larga misura da fattori ambientali: l’alimentazione, con la transizione verso il consumo di alimenti raffinati e ricchi di grassi e la crescente produzione di cibi energetici a basso costo, la motorizzazione, la meccanizzazione del lavoro e la diffusione di stili di vita sedentari. E’ anche cambiato “l’ambiente” del cibo: la dimensione delle porzioni e il modo in cui il cibo viene presentato, la pubblicità, sono aspetti che incoraggiano a mangiare più di quanto è necessario e dovrebbero essere controllati almeno quanto i comportamenti individuali. A causa di questi cambiamenti, il controllo del peso corporeo è diventato un’azione che richiede uno sforzo cognitivo importante, mentre prima era un processo inconscio in cui era l’attività fisica a causare l’appetito e il cibo era semplicemente il carburante necessario. Inoltre, nel corso della vita si scontano i danni dell’eredità -anche genetica- dell’ambiente familiare e dell’alimentazione avuta fin dalla nascita: l’obesità è assai più frequente quando la madre era obesa e quando si è stati allattati artificialmente (Rosengren e Lissner 2008; Lakdawalla et al 2005).

E in Italia?

I dati della recentissima indagine su “Aspetti della vita quotidiana” condotta dall’Istat nel 2007 e da noi elaborati mostrano che in Italia più di metà degli uomini e poco più di un terzo delle donne sono in soprappeso o obese. La frequenza dell’obesità è pari al 10,8% per i maschi e al 9,6% per le femmine;sia nel 1999 che nel 1994, da indagini analoghe, risultava una percentuale di obesi pari al 9,1% per entrambi i sessi, il che mostra che l’aumento è iniziato recentemente.

La frequenza dell’obesità aumenta con l’età e raggiunge la massima frequenza per la popolazione di 55-64 anni (15,8%), cresce da Nord a Sud, è maggiore per i coniugati e i vedovi ed è minima per i single, aumenta in corrispondenza di bassi livelli di istruzione e di condizioni economiche inadeguate.

Non sono molte le persone che fanno sport abitualmente (16,3%), e le persone che non fanno attività fisica sono più frequentemente obese (13% contro 5%). Lo stesso avviene per la minoranza delle persone che hanno pochi rapporti sociali e partecipano poco ad attività culturali e per gli ex-fumatori, e infine per coloro che non controllano mai il proprio peso, quasi la metà degli intervistati. Per quanto riguarda le abitudini alimentari, le differenze fra obesi e “non” sono concentrate piuttosto sulla quantità che sull’assortimento degli alimenti. Una cosa che si può notare è però che più spesso gli obesi non fanno una colazione adeguata. E infine, gli obesi non stanno bene. La percezione di essere in cattive condizioni di salute è per loro frequente (15,8% contro 6,6% per le persone di peso normale)  e le malattie dichiarate confermano le peggiori condizioni di salute percepite: con frequenza quasi doppia rispetto agli altri soffrono di malattie croniche e di qualsiasi tipo di malattia, ipertensione arteriosa, infarto del miocardio, angina pectoris e altre malattie del cuore, malattie del sistema respiratorio, tumori, ulcera gastrica e duodenale, calcolosi del fegato, delle vie biliari e dei reni, artrite, artrosi e osteoporosi e disturbi nervosi.

In conclusione, l’obesità non può essere considerata solo un problema dei diretti interessati, ma è un problema di sanità pubblica, e non si risolve solo in ambito sanitario. Occorre informazione sull’alimentazione corretta, sull’importanza di fare regolarmente un’attività sportiva (il che rinvia da un lato alla disponibilità di spazi non onerosi utilizzabili a questo scopo, dall’altro a una diversa educazione allo sport, da vivere attivamente e non solo visto passivamente allo stadio o in TV), più controllo su”l’ambiente del cibo”, più attenzione all’aspetto psicologico e relazionale.


[1] Per misurare il sovrappeso  e l’obesità si calcola il Body Mass Index, o Indice di Massa Corporea, dato dal rapporto fra il peso (in kg) e il quadrato dell’altezza (in metri). Un BMI  compreso fra 25 e 30 indica sovrappeso; un BMI maggiore di  30 indica obesità.

 


Riferimenti bibliografici
Branca F., Nikogosian H., Lobstein T. (2007) The challenge of obesity in the European region and the strategies for response, Who, Copenhagen.

Crosnoe R., Muller C. (2004) “Body mass index, academic achievement, and school context: examining the educational experiences of adolescent at risk of obesity“, Journal of health and social behavior, vol.45, 393-407.

DeJong W. (1980) “The stigma of obesity: the consequences of naïve assumptions concerning the causes of physical deviance“, Journal of health and social behavior, vol.21:75-87.

Lakdawalla D., Philipson T., Bhattacharya J. (2005), “Welfare-enhancing technological change and the growth of obesity“, The American economic review, May, 253-7.

Monteiro C.A., Moura E.C., Conde W.L., Popkin B.M. (2004) “Socioeconomic status and obesity in adult populations of developing countries: a review“, Bulletin of Who, 82(12): 940-6.

Rosengren A. e Lissner L. (2008)  “The sociology of obesity“, Frontiers of hormone research, 36:260-70.

Sobal J., Stunkard A.J. (1989) “Socio-economic status and obesity: a review of the literature“, Psychological bulletin, 105, 260-275.

 

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