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L’Europa si allarga, l’Europa si muove

Un po’ in sordina, il 22 gennaio 2012 i cittadini croati hanno votato in larga maggioranza ‘sì’ al referendum per l’adesione del loro paese all’Unione Europea. Dal 2013, dunque, l’UE avrà 28 stati membri – quasi il doppio di quanti ne avesse appena dieci anni prima. L’allargamento ad Est rappresenta forse il tornante storico più importante nel processo di integrazione europea. E il robusto incremento delle migrazioni all’interno dell’Unione la sua conseguenza più visibile.
L’UE si allarga: più Stati, più cittadini, più migranti
Come era prevedibile, date le differenze di reddito ancora cospicue tra “vecchia” e “nuova” Europa, il processo di integrazione europea ha alimentato flussi migratori senza precedenti in ambito continentale – almeno dagli anni Settanta del Novecento in poi. Dopo tutto, il salario medio in Polonia è ancora circa un quarto e in Romania e Bulgaria un decimo della media nella UE-15 (Commissione Europea 2008, 127). Malgrado le misure transitorie di restrizione dell’accesso al lavoro dipendente in alcuni paesi, nel 2010 gli europei mobili provenienti dai nuovi stati membri hanno raggiunto i cinque milioni. Fino al 2004, il numero assoluto e la quota relativa di cittadini europei residenti in un paese dell’Unione diverso da quello di origine era andato via via crescendo, anche se a un ritmo non spettacolare – assai minore di quello a cui era contemporaneamente cresciuta la presenza di immigrati da paesi terzi. Lo stock di “cittadini europei mobili” era aumentato costantemente da 5,2 a 6,20 milioni di persone nel periodo 1987-2004, per poi “esplodere” a oltre dieci milioni nel 2007, per effetto del primo allargamento del 2004, e a 12,3 milioni nel 2010, allorché la popolazione mobile è venuta a comprendere anche romeni e bulgari, che hanno potuto godere del diritto di libera circolazione e soggiorno dal 2007 (fig. 1). Per la sorpresa di alcuni, la crisi economica ha smorzato ma non rovesciato la tendenza.
Eppur si muovono: gli europei occidentali mobili e la teoria economica delle migrazioni
Ma c’è un’altra sorpresa nei dati: anche il numero di europei occidentali che si sono spostati a vivere in un altro stato dell’Unione ha continuato la sua lenta crescita, al punto che nel 2010 se ne contavano 7,3 milioni, cioè il 37,3% in più di quanti non fossero venti anni prima (in larghissima maggioranza residenti in un altro paese della “vecchia” Europa). La teoria economica delle migrazioni avrebbe invece portato a prevedere una sensibile contrazione del loro numero, visto che – secondo la teoria – le persone migrano perché e solo se esiste un divario significativo nei redditi nazionali. Mentre invece la figura 2 mostra chiaramente che dalla metà degli anni Ottanta del Novecento i differenziali di reddito tra i paesi dell’UE-15 (linea unita) sono andati via via declinando. Per contro, il volume di migranti intra-comunitari (linea tratteggiata) è – come si è detto – aumentato progressivamente. Ciò non smonta la teoria economica delle migrazioni, ma ne mette in luce due lacune. Da un lato, la mancata considerazione della dimensione non economica delle scelte sociali; nel campo delle migrazioni, ad esempio, l’importanza della dimensione affettiva. La più vasta ricerca finora condotta sugli europei mobili rivela che è questa la ragione prevalente degli spostamenti all’interno dell’UE-15 (Recchi e Favell 2009). Dall’altro, la sottovalutazione degli effetti delle politiche pubbliche; in questo caso, delle misure comunitarie di sostegno alla mobilità intra-europea. Dal 1968, quando venne introdotto il diritto di libera circolazione dei lavoratori comunitari, al 1993, quando il Trattato di Maastricht ne fece il caposaldo della cittadinanza europea, a Schengen, Erasmus e tutta una miriade di iniziative volte a ridurre i costi e incentivare le relazioni sociali ed economiche a cavallo dei confini nazionali, le istituzioni comunitarie si sono impegnate strenuamente per fare dell’UE uno spazio senza frontiere. Un unicum nel panorama mondiale, in cui al contrario si è assistito ad un progressivo irrigidimento dei requisiti di ammissione degli stranieri (anche in Europa, salvo la vistosa eccezione di cui stiamo parlando). L’ampia batteria di pro-mobility policies dispiegate negli ultimi decenni ha sortito l’effetto di bilanciare il disincentivo alla mobilità spaziale causato dalla convergenza economica tra gli stati membri. Le conclusioni di tutto questo ragionamento? Per chi studia le migrazioni, una sollecitazione – non nuova certo, ma rafforzata dall’analisi di questo caso – a tenere presente le politiche pubbliche e le dinamiche sociali che vi si associano. Per chi studia o è interessato all’Europa, un invito a non cadere nel luogo comune – che ha a lungo echeggiato nei corridoi di Bruxelles – secondo il quale “gli europei occidentali si muovono poco” (ad esempio, Janiak e Wasmer 2008, 21). Anche senza contare i migranti temporanei (come gli studenti Erasmus), i molti che non si registrano (proprio in virtù della cittadinanza comunitaria) e i moltissimi che si spostano per periodi brevi (nella zona grigia tra turismo e migrazione), i numeri raccontano un’altra storia. La mobilità intraeuropea non cura certo i mali dell’Unione, ma di questi tempi è un segnale che l’integrazione difficilmente può fare marcia indietro.


Per saperne di più
Commissione Europea (2008) Employment in Europe 2008, Office for Official Publications of the European Communities, Lussemburgo.
Janiak, A. e Wasmer, E. (2008) Mobility in Europe – Why It Is Low, the Bottlenecks and the Policy Solutions, Economic Papers 340, European Commission, Directorate-General for Economic and Financial Affairs, Brussels.
Recchi, E. e Favell, A. (a cura di) (2009) Pioneers of European Integration: Citizenship and Mobility in the EU, Elgar, Cheltenham.  
Banca Mondiale (per dati 2010)

Groningen Growth and Development Centre   
Eurostat database online
  

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