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Il Welfare Fai-da-te e i nonni

Tre stereotipi
Sulla panca del focolare, intrecciando un cesto di vimini, il vecchio nonno dell’iconografia contadina del secolo passato era dispensatore di ricordi e di saggezza. Fin quando le forze gli reggevano, non molto in là negli anni, era attivo nei campi. Il nonno del dopoguerra, già contadino e ora inurbato, si aggirava spaesato negli spazi ristretti e ostili delle città, privato delle sue tradizionali funzioni e senza risorse per costruirne di nuove. All’inizio del nostro secolo, i nonni, vissuti nell’Italia della crescita e della prosperità, ritirati dal lavoro abbastanza presto, hanno ritrovato una funzione importante: quella di dispensatori di modesto ma sicuro welfare per le nuove generazioni di figli e nipoti. Con pensioni generalmente modeste, sono proprietari di un’abitazione, hanno buona salute (compatibilmente con l’età), e dispongono di qualche risorsa in più, frutto di oculati risparmi. Questi tre ritratti stereotipati semplificano all’eccesso una realtà assai più variata e articolata, ma ci fanno riflettere sul mutamento dei ruoli delle generazioni al cambiare della società e dell’economia.

Nonni, anzi nonne, e nipoti

Nella condizione di nonno si trovano quasi 12 milioni di persone, soprattutto donne: circa tre ultrasessantacinquenni su quattro. Raramente i nonni convivono con i loro nipoti, ma sette su dieci hanno nipoti che vivono nello stesso comune e, di questi, uno su sei vive nello stesso caseggiato e uno su tre nel raggio di un chilometro. I legami sono stretti e i contatti frequenti; le indagini confermano che l’aiuto dato – soprattutto dalle nonne – nella cura dei bambini dei figli che lavorano è spesso essenziale all’equilibrio familiare, altrimenti difficile da raggiungere quando gli asili sono scarsi, la cadenza dei tempi di scuola e lavoro dissonanti, i bilanci familiari all’osso. Una madre lavoratrice su due affida il bambino di uno o due anni alla nonna e solo una su quattro ad un asilo. Il sostegno informale delle generazioni più anziane compensa in parte un sistema di welfare bislacco e avaro con le famiglie: vengono loro destinati solo quattro euro ogni cento che la mano pubblica trasferisce ai cittadini per finalità sociali (pensioni, sanità, assistenza), contro dodici in Francia e Scandinavia e quasi dieci nella media europea –. E’ una compensazione efficiente quando le famiglie hanno buone risorse affettive, umane, di salute ed economiche, ma quando le risorse sono scarse o mancano del tutto, le carenze della mano pubblica rendono la vita difficile. Ecco perché il welfare familiare tende a riprodurre – e spesso ad accentuare – le disparità e le disuguaglianze di partenza.

Aumentano le interazioni tra nonni e nipoti…

Fortemente influente sull’accresciuto ruolo delle terze generazioni (nonni) rispetto alle prime (nipoti) è il loro rapporto numerico, che si è alterato fortemente con l’allungarsi della longevità e l’abbassarsi della natalità. Così, se all’inizio del secolo scorso due dei quattro nonni non erano più in vita alla nascita di un bambino, oggi tutti e quattro i nonni sono (quasi sempre) vivi e nella maggior parte dei casi sopravvivono per tutta la loro minore età. Così le occasioni di interazione nonni-nipoti si sono straordinariamente moltiplicate diventando canali normali – e non eccezionali come in passato – di trasmissione di affetto, valori, cultura, e risorse.
Un semplice calcolo ci fornisce la prova dell’aumentata interazione tra nonni e nipoti. Si supponga che un bambino, alla nascita, abbia vivi i quattro nonni, paterni e materni, e che questi sopravvivano fino a quando egli compia 18 anni. Il numero degli anni di vita in comune nonni-nipote (per tutta la minore età di quest’ultimo) è pari a (4 x 18) 72 anni. Un’approssimazione degli “anni vissuti in comune” (AVC) si può ottenere sommando le probabilità, per ciascuno dei (potenziali) quattro nonni, di sopravvivere fino all’età di 60 anni (nell’ipotesi che questa sia la loro età alla nascita del nipote); il numero risultante è anche il numero medio di nonni alla nascita di un nipote. Questo era pari a 1,8 nel 1901, a 3 nel 1951 e a 3,7 nel 2003. Questo numero medio è poi moltiplicato per il numero medio di anni vissuti dai nonni tra i 60 e i 78 anni (quest’ultima è la loro età al raggiungimento della maggiore età del nipote): il risultato è il numero medio di “anni vissuti in comune” con un minore che sopravviva fino a 18 anni. Quest’ultima quantità, moltiplicata per la sopravvivenza tra 0 e 18 anni, fornisce il valore AVC. I risultati del calcolo per tre date, e tre epoche, è riportato nella tabella 1; tra il 1901 e il 2003 gli “anni vissuti in comune” si sono moltiplicati per 4. La sopravvivenza è talmente aumentata che, nel 2003, gli AVC sono, nel 2003, pari a 59,3 su 72, e cioè l’82% del massimo teorico.

Tabella 1 – Anni vissuti in comune (AVC) con i nonni da una neonata o un neonato fino a 18 anni

Anni AVC Massimo teorico di AVC AVC in % del massimo teorico
1901 16.3 72 22.6
1951 37.4 72 51.9
2003 59.3 72 82.4

Fonte: elaborazioni su dati Istat (censimento e, per il 2003, anagrafe)


…e dopo il 2020 ci saranno due nonni per ogni nipote

L’accresciuta interazione tra nonni e nipoti viene ulteriormente rafforzata dall’abbassamento della natalità, cosicché oggi la maggiore presenza dei nonni non si diluisce più, come in passato, su tanti nipoti, ma si concentra su pochi. Una semplice prova numerica da conto dell’enorme rivoluzione avvenuta. Ammettendo che intercorrano trent’anni tra una generazione e la seguente, possiamo definire come rappresentativa dei nonni la popolazione tra i 60 e i 65 anni e come rappresentativa dei nipoti quella sotto i 5 anni. Ebbene, nel 1950 c’erano 43 nonni ogni 100 nipoti; i primi superavano in numero i secondi negli anni ’80 e crescevano gradualmente a 140 ogni 100 nel 2008. Il rapporto tra nonni e nipoti continuerà ad aumentare fino a raggiungere un massimo tra il 2020 e il 2030 quando, mediamente, oltre due nonni saranno a “disposizione” di ogni bambino (figura 1). Dopo il 2030 il rapporto inizierà a scendere gradualmente fino a normalizzarsi nei decenni successivi grazie al riassorbirsi di quel divario numerico tra generazioni che ha segnato la demografia dei decenni a cavallo del millennio.

Limiti e disuguaglianze del welfare fai-da-te

La lunga sovrapposizione tra generazioni (e si affaccia anche la quarta, quella dei bisnonni) è uno degli aspetti positivi della longevità delle società moderne. Tuttavia, un’altra considerazione si impone se riflettiamo sulla direzione di marcia della società. Negli ultimi decenni, la congiuntura demografica (essenzialmente, il lungo calo delle nascite) si è avviticchiata con quella economica (un lungo ristagno). Le scarse risorse poste a disposizione del sistema famiglie hanno alimentato la bassa natalità, stringendo le coppie nella morsa lavoro-famiglia. Le terze generazioni – i nonni – hanno funzionato da ammortizzatore generale, e questa funzione ha motivato il ritiro dal lavoro di molti adulti-anziani. L’ulteriore aumento del rapporto nonni-nipoti nei prossimi vent’anni rischia di accentuare il fenomeno, ritardando la riforma del sistema di welfare, mantenendo bassa l’occupazione delle terze generazioni (la più bassa in Europa) e accentuando le disuguaglianze tra chi riceve sostegno da robuste catene familiari e chi, invece, ne è privo.

Già pubblicato su La Repubblica 13 aprile 2008

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