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Identità, diritti e sviluppo: la scommessa dell’India

Nel 2020 l’India potrebbe raggiungere un traguardo che – ad occhi europei – appare modesto e scontato, ma che è di primaria importanza in una società vasta, complessa ed in ebollizione come quella indiana. Se il progetto Aadhaar ("fondazione") proseguirà con l’efficienza con cui è iniziato, nel 2020 tutti gli indiani – per allora avranno superato 1,3 miliardi – avranno un’identità sicura e incontrovertibile, provata da un numero di 12 cifre e dalla registrazione di iride e impronte digitali. Un’identità che comprova l’esistenza e la titolarità dei diritti civili, sociali e politici degli abitanti della "più grande democrazia del mondo" (che attorno al 2025 sarà anche il paese più popoloso del mondo) e spesso reclusi in caste senza voce, confinati di fatto in villaggi rurali o dispersi nelle megalopoli, invisibili ed ignorati.
Un’identità che certifica il "diritto ad esistere".

            E’ comune opinione che l’altissimo grado di burocratizzazione della società indiana sia una causa primaria di inefficienza, di corruzione e di disuguaglianza. I numerosi documenti di identificazione – carte d’identità di vario tipo, passaporti, permessi d’ogni genere – sono poco sicuri, falsificabili, a volte intestati a defunti o a persone inesistenti, ed escludono larghi settori della popolazione. I più poveri dipendono da sistemi di identificazione locali, di villaggio, che rendono difficile lo spostamento e la migrazione. E’ inoltre tra i più poveri che è più alta la proporzione di coloro che sono privi di documenti di riconoscimento, e quindi "non persone" per lo stato. Il nuovo sistema Aadhaar, messo in piedi dall’agenzia pubblica UIDAI (Unique Identification for India) è costituito da un numero di 12 cifre (analogo al nostro codice fiscale) che contiene informazione di base sulla persona, ma che esclude ogni informazione sulla religione, la casta, l’ubicazione geografica. Questo numero è istantaneamente verificabile, in ogni parte dell’India, attraverso un controllo online o telefonico. Viene assegnato a tutta la popolazione, bambini inclusi, e dura a vita.

L’anima dell’iniziativa è Nandan Nilekani, un imprenditore di grande successo nel settore IT, fondatore di Infosys nel 1981, un’impresa che oggi conta 130.000 dipendenti in tutto il mondo ed ha un fatturato di 30 miliardi. Nilekani, che ha rango di Ministro, ha lasciato la sua azienda per prestare al progetto tutte le sue energie.

UIDAI ha una struttura agile, e vi convergono esperti di alto livello nei settori della pubblica amministrazione, del management e dell’informatica, ed è il cuore dell’iniziativa, che si avvale di una molteplice rete di imprese private per la "registrazione" sul campo e delle agenzie pubbliche sparse sul territorio. La registrazione, gratuita per gli individui, ma costosa per l’erario circa $ 3 a testaè iniziata nel Settembre del 2010. Alla fine dello scorso Giugno erano state registrate 10 milioni di persone, ma poi le operazioni sono state accelerate: in Ottobre il ritmo delle registrazioni è stato dell’ordine di 1 milione al giorno, e si punta a coprire 600 milioni di indiani entro il 2014.
Uno strumento di politica sociale

            In quale modo una sicura ed universale identificazione può diventare un potente strumento di politica sociale? Un recente reportage sul New York Times1 sintetizza così: "Il dispendioso sistema pubblico di welfare è così inefficiente che i magazzini sono strapieni di cereali destinati a marcire, nonostante che i livelli di malnutrizione infantile siano simili a quelli dell’Africa sub-sahariana, e gran parte di questi siano risucchiati dal mercato privato prima che raggiungano le bocche affamate. Il Governo costruisce buone scuole ma non punisce gli insegnanti regolarmente pagati ed assenteisti. Questi sistemi sono incapaci di mettere in comunicazione i bisogni basilari della popolazione con quegli aiuti che sarebbero prontamente disponibili a mezzo della mano pubblica o dei mercati".

            Un esempio macroscopico dell’inefficienza del sistema è il cosiddetto PDS, o Sistema di Distribuzione Pubblico. E’ composto di quasi mezzo milione di piccoli negozi, sparsi in tutto il paese, la cui missione è quella di calmierare i prezzi di mercato e – soprattutto – di rendere disponibili, per i settori più vulnerabili della popolazione ed a prezzi sussidiati, cereali ed altre merci indispensabili per la sussistenza. Una Commissione pubblica d’inchiesta, qualche anno fa, ha concluso che per ogni 4 Rs (rupie) spese dal sistema pubblico nel PDS, solo 1 Rs raggiunge il vero destinatario (il povero), e che il 57% dei cereali che passano per la rete dei negozi PDS, non raggiunge le persone cui è destinato2. Poiché il numero dei poveri vulnerabili è stimato in 400 milioni di persone, si ha un’idea delle dimensioni gigantesche delle risorse impegnate, delle frodi e delle inefficienze. Fornire un’identità certa e verificabile ai titolari degli aiuti eliminerebbe buona parte delle distorsioni del sistema e restringerebbe il campo della corruzione.
Una condizione dello sviluppo

            Il governo indiano è convinto che Aadhaar diventi anche uno strumento di sviluppo, oltre che una condizione per aumentare l’efficienza delle politiche di contrasto alla povertà. L’identità certa e istantaneamente verificabile potrà, da un lato, semplificare la vita del comune cittadino, oggi costretto a innumerevoli passaggi burocratici e ad una costosa documentazione, per ottenere un passaporto, acquistare un cellulare o una macchina, accedere ai servizi, aprire un conto in banca. D’altro lato potrà sveltire la pesantissima burocrazia indiana, rendendola più efficiente, economizzando risorse e diminuendo le distanze tra le persone e lo stato. Infine, si pensa che Aadhaar sia di sostegno ai migranti, una quota crescente della popolazione, e un veicolo di mobilità, essenziale in un paese che continua a crescere a ritmi impressionanti.

 Nonostante qualche limitata opposizione – nel nome della tutela della privacy – il progetto procede speditamente. Chi avrebbe mai detto che la nostra umile carta d’identità, in un contesto come quello indiano, avrebbe potuto acquistare tanti meriti? Infine, una postilla. Nel 2000, con squilli di trombe e rulli di tamburi, fu introdotta la carta d’identità elettronica nel nostro paese, con un chip dalle multiformi potenzialità. Sono passati 11 anni, ma la preziosa card è posseduta da una piccola minoranza degli italiani, come dimostra la sorpresa, la curiosità, e a volte la diffidenza, di chi esamina quella dell’autore di queste righe che ne uno dei pochi fortunati possessori.
Per saperne di più

1 – Lydia Polgreen, "Quietly, India builds hope with identity "foundation"", New York Times, 2 settembre 2011

2 – UID and PDS system, [http://uidai.gov.in/images/FrontPageUpdates/uid_and_pds.pdf], accesso del 17 ottobre 2011

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