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I nuovi ragazzi di Barbiana

La prima ricerca nazionale sulle "Seconde Generazioni"
Gli studenti stranieri nelle scuole italiane sono circa 500 mila e in rapida crescita: nell’anno scolastico 2005-06, ad esempio, sono aumentati di circa 70 mila unità rispetto a 12 mesi prima. Su di loro sappiamo ancora poco, ma la Prima Ricerca Nazionale sulle Seconde Generazioni, presentata a Padova lo scorso 3 marzo, promette di dare un importante contributo conoscitivo. L’indagine – statisticamente rappresentativa – ha coinvolto 50 province italiane (dal Veneto alla Sicilia), è stata coordinata dal Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Padova, e, per il Veneto, è stata finanziata dal Centro Servizio per il Volontariato della provincia di Padova [1].
Sono stati intervistati 10 mila ragazzi figli di italiani e 10 mila figli di stranieri, alunni delle scuole medie inferiori. Lo scopo principale dello studio è individuare le condizioni che possono favorire l’integrazione dei ragazzi stranieri, anche al fine di dare indicazioni a chi è responsabile dell’educazione di questi giovani: alla scuola, alla società (gruppi sportivi, parrocchie, enti locali …) e naturalmente ai loro genitori.
I risultati rivelano luci e ombre del processo di integrazione. Ci sono innanzitutto due aspetti positivi. Il primo è la velocità dell’integrazione economica e familiare. Gli stranieri – almeno quelli che mettono su famiglia in Italia – diventano molto presto proprietari di una casa e costruiscono rapidamente in loco una fitta rete di parentela. Il secondo è la grande somiglianza dei sogni e delle aspettative fra ragazzi italiani e stranieri, sia per il lavoro che per la vita familiare.
Anche gli aspetti negativi sono due. Da un lato, i risultati scolastici degli stranieri sono assai meno positivi rispetto a quelli degli italiani. Questo getta ombre sulle possibilità, per i ragazzi stranieri, di realizzare effettivamente i loro sogni di miglioramento sociale. In secondo luogo, molti giovani italiani e stranieri sentono di essere fra loro diversi. Questo sentimento è particolarmente diffuso in due sottogruppi di giovani: fra gli stranieri giunti da poco in Italia e fra gli italiani che in famiglia parlano dialetto. Un risultato non certo rassicurante, considerando che proprio gli italiani delle classi popolari potranno trovarsi in concorrenza con gli stranieri: per il lavoro, ma anche per l’accesso ai servizi sociali.

Parliamo la stessa lingua?

Anche se i segnali positivi non mancano, la strada per la piena integrazione è ancora lunga, gli spazi di intervento a favore dei giovani stranieri sono ampi e variegati, sia per la scuola che per l’intera società. Una delle cose più importanti, a questo fine, è favorire un rapido e approfondito apprendimento dell’italiano, perché senza un’adeguata competenza linguistica l’accesso a carriere e lavori ben remunerati può risultare precluso. Ancora una volta, è la lingua che ci fa uguali, come scrivevano i ragazzi di Barbiana nella “Lettera a una professoressa”.
Purtroppo, su questo versante, la scuola italiana non sembra ancora aver colto la misura della sfida cui è chiamata a rispondere. Troppe persone vivono nell’illusione che i giovani stranieri imparino facilmente e “automaticamente” l’italiano: è quanto hanno detto, ripetutamente molti docenti, nel corso della trasmissione televisiva “L’infedele” del 7 marzo, dedicata proprio al tema del rapporto fra la scuola italiana e i figli degli immigrati. In realtà, approfonditi studi longitudinali svolti in altri paesi (specialmente negli Stati Uniti) dimostrano che il buono e veloce apprendimento della nuova lingua non è affatto automatico. Esso dipende da almeno quattro fattori: l’età di arrivo (il più importante), l’affinità fra le lingue del paese di partenza e di arrivo, il contesto familiare del ragazzo e le metodologie di insegnamento della nuova lingua [2]. In particolare, per i ragazzi che arrivano nel nuovo paese durante la pre-adolescenza o l’adolescenza, può accadere che l’apprendimento della lingua si riveli difficoltoso, non giungendo mai a un livello tale da rendere possibile l’accesso a professioni ben remunerate.
Poiché negli ultimi anni in Italia sono stati molto numerosi proprio gli arrivi di giovani stranieri pre-adolescenti e adolescenti, una cura particolare dovrebbe essere posta nell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua. Eppure, le scuole sono lasciate a se stesse. Anche se vi sono numerose e lodevoli iniziative locali, mancano chiare direttive nazionali, e mancano – soprattutto – risorse economiche e organizzative a questo specificatamente dedicate. Ad esempio, i “distacchi” di insegnanti per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua vengono concessi troppo raramente.

Un’esperienza personale

Durante lo svolgimento dell’indagine in un paesino del Vicentino ci ha particolarmente colpito la presenza, in una terza media, di tre ragazzi con la pelle scura, seduti composti e silenziosi in prima fila. La professoressa di italiano ci ha spiegato che avevano 15 e 16 anni, e che erano arrivati un mese prima dal Bangladesh. La scuola non aveva modo di accelerare la loro preparazione di italiano. Passavano le mattinate silenziosi, in classe, senza capire nulla. È questa l’integrazione che vogliamo?


[1] Per una presentazione più approfondita di alcuni risultati della ricerca: http://www.csvpadova.org/files/index.cfm?id_rst=163&id_elm=248

[2] Per i fattori che incidono sulla rapidità di apprendimento e sul livello finale di conoscenza dell’inglese per i figli degli immigrati in USA si veda (ad esempio)http://paa2006.princeton.edu/download.aspx?submissionId=60984e

http://paa2006.princeton.edu/download.aspx?submissionId=60077. Si vedano anche i riferimenti bibliografici ivi contenuti.

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