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Donne senza figli: un fenomeno in espansione

A partire dalla generazione nata nel 1945, la quota di donne senza figli alla fine della vita riproduttiva ha iniziato ad aumentare in molti Paesi dell’Europa occidentale e centrale: in Austria, Inghilterra/Galles, Irlanda, Paesi Bassi, Germania (ex ovest) e Belgio, l’infecondità definitiva (così si si definisce abitualmente questa situazione) ha superato il 15% già tra le donne nate tra il 1955 e il 1960 e spesso ha oltrepassato il 20% tra le generazioni nate dal 1965 in poi. Nei Paesi dell’Europa centro-meridionale – Francia, Spagna, Grecia e Italia – la tendenza è stata simile, ma posticipata di alcune generazioni. I Paesi scandinavi, invece, non sono particolarmente toccati da questo fenomeno: in Danimarca, Norvegia e Svezia, infatti, l’infecondità definitiva è piuttosto stabile e si attesta tra il 10% e il 14% [Council of Europe 2005].

Infecondità e posticipazione della vita riproduttiva

In tutta Europa si osserva un ritardo nella formazione delle unioni e anche una drastica diminuzione della frequenza dei matrimoni. In molti Paesi dell’Europa nord-occidentale questo non ha grandi conseguenze sulle nascite poiché le convivenze sono molto diffuse e hanno fecondità simile a quella delle unioni matrimoniali. Nei Paesi dell’Europa Meridionale, invece, le nascite extra matrimoniali – seppur in crescita – continuano ad essere una percentuale molto contenuta: poiché in questi Paesi la convivenza è relativamente meno frequente, la “difficoltà a sposarsi” si associa anche a una minore fecondità.
In molti Paesi europei, e anche in Italia (Figura 1), le generazioni nate dal 1945 in poi, tra le quali l’infecondità definitiva ha cominciato ad aumentare, hanno sensibilmente ritardato la nascita del primo figlio. Si può quindi avanzare la congettura che, almeno in parte, l’infecondità sia non una scelta, ma una conseguenza imprevista del ritardo: si preferisce fare il primo figlio “un po’ più in là”, ma quando poi si prova a averlo non ci si riesce più.

Al crescere dell’età della madre, infatti, la realizzazione della maternità si fa sempre più difficile: innanzitutto con l’avanzare dell’età aumenta il tempo necessario al concepimento, perché la fertilità femminile cala significativamente a partire dai 35 anni. Inoltre, con l’aumentare dell’età sono più frequenti malformazioni del feto e aborti spontanei, per cui è più difficile portare a termine la gravidanza (Tab. 1).

Tab.1. Alcuni rischi per la madre e il bambino per età della madre al parto

Madri che partoriscono a 25-29 anni Madri che partoriscono a 35-39 anni
Rischi per la madre
Aborto 1 su 10 1 su 5
Gravidanza multipla 1 su 100 1 su 75
Complicazioni in gravidanza (diabete/ipertensione) 3 su 100 10 su 100
Parto cesareo – Paesi Bassi 5 su 100 9 su 100
Parto cesareo – USA 6 su 100 14 su 100
Sviluppare cancro al seno prima di 65 anni 9 su 100 12 su 100
Rischi per il bambino
Mortalità perinatale 9 su 1.000 12 su 1.000
Mortalità infantile 6 su 1.000 7 su 1.000
Difetti congeniti 3 su 1.000 16 su 1.000

Fonte: Beets, 2006

Ma quanta parte dell’aumento dell’infecondità definitiva è dovuta al ritardo? Tramite modelli di simulazione, una ricerca francese [Leridon 2004] ha tentato di stimare la proporzione di donne che riescono ad iniziare una gravidanza spontaneamente e a portarla a termine con successo, combinando la probabilità mensile di concepire a 30, 35 e 40 anni, la probabilità di abortire e la probabilità di diventare permanentemente sterile alle rispettive età. I risultati della simulazione mostrano che il tasso di successo entro 4 anni scende dal 91%, all’84%, al 65%, se la donna inizia i tentativi di concepire a 30 , a 35, o a 40 anni.
Nonostante siano numerose le evidenze scientifiche che provano che il rischio di infecondità aumenta con l’età della donna, i medici denunciano una scarsa consapevolezza da parte delle coppie che spesso lo sottovalutano o lo ignorano del tutto. I medici hanno riscontrato lo stesso atteggiamento di inconsapevole ed eccessiva fiducia anche rispetto alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) [Beets 2006].

Il ricorso alla PMA (Procreazione Medicalmente Assistita)
Le coppie infeconde possono chiedere un aiuto medico. Una ricerca internazionale [Boivin et alii 2007] ha stimato che nei Paesi sviluppati di tutte le coppie infeconde (che rappresentano la domanda potenziale di cure) solo il 56% richiede un aiuto medico (domanda effettiva) e solo il 22% ricorre a tecniche di PMA.
Ma anche l’efficacia delle tecniche di PMA dipende fortemente dall’età, e i tassi di concepimento assistito diminuiscono quando la donna supera i 30 anni. La simulazione sopra citata, ad esempio, ha stimato che, posticipando l’inizio dei tentativi di concepire da 30 a 35 anni, solo la metà delle nascite può essere recuperata dalla PMA, e la quota scende al 28% se il posticipo è da 35 a 40 anni [Leridon 2004].
In Italia, circa l’1,1% delle nascite nel 2005 è dovuto al ricorso a tecniche di PMA [Ministero della Salute 2008]. Questo valore è inferiore alla media europea: si stima infatti che complessivamente, nell’Europa-25, i “figli della PMA” siano stati quasi il 2% del totale dei nati [Beets 2006]. Nell’ipotesi che l’efficacia delle tecniche di PMA non sia in Italia distante dalla media europea, questo dato segnala quanto meno frequentemente vi ricorrano le coppie italiane – forse poco più della metà delle volte.

Quali politiche per ridurre l’infecondità involontaria?
In conclusione, è senz’altro vero che, per alcune donne, non fare figli è una libera scelta. Ma è anche vero che il posticipo dell’inizio della vita riproduttiva è un fattore importante dell’aumento dell’infecondità definitiva non programmata. E tale aumento può essere solo parzialmente arginato dal ricorso a tecniche di PMA che, allo stato attuale, sono in grado di compensare solo una piccola parte delle nascite perse a causa di un inizio tardivo.
Date la tendenza verso un innalzamento dell’età alla prima maternità e la segnalata mancanza di consapevolezza, le politiche dovrebbero agire in due direzioni: da una parte, favorire la formazione delle unioni e l’inizio della vita feconda in età più giovane, progettando interventi pubblici volti a rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne e alle coppie di farlo; dall’altra, sensibilizzare maggiormente le donne e le coppie sul rischio di infecondità che si corre al crescere dell’età, e sulla  reale efficacia della medicina in questo campo, in modo che la pianificazione della vita riproduttiva sia la più consapevole possibile.

Riferimenti
Beets G. (2006) An assessment of the size and cost of involuntary infertility that may be attributed to postponement. “Research Note. European Observatory on Demography and the Social Situation” – Demography Network. Brussels: European Commission.
Boivin J., Bunting L., Collins J.A., Nygren K.G. (2007) “International estimates of infertility prevalence and treatment-seeking: potential need and demand for infertility medical care”, Human Reproduction,  June, 22(6): 1506-1512.
Council of Europe, (2005) Evolution démographique récente en Europe, 2004, “Demographic Yearbook”, Council of Europe Publishing, Strasbourg Cedex.
Leridon H. (2004) Can assisted reproduction technology compensate for the natural decline in fertility with age? A model assessment, Human Reproduction, 19(7): 1548–1553.
Ministero della Salute (2008) Certificato di assistenza al parto (CeDAP). Analisi dell’evento nascita- Anno 2005, Ufficio di Direzione Statistica, Ministero della Salute, Roma.
Sardon J.P. (2006) “Evolution démographique recente des pays developpés”, Population-F, 61(3): 225-300.

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