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Dalla caduta del Muro alla crisi economica, le ragioni della crescita delle migrazioni internazionali

La crescita delle migrazioni
Il forte aumento della mobilità internazionale registrato negli ultimi venti anni è il risultato di processi diversi, ma convergenti nei risultati, che hanno determinato, da un lato, un aumento della spinta ad emigrare in molte aree del mondo e, dall’altro, una più sostenuta domanda di lavoratori stranieri nei paesi d’arrivo. Tra i primi, vanno ricordati gli effetti della caduta del Muro di Berlino e gli ancora straordinari squilibri demografici ed economici tra mondo sviluppato e resto del pianeta. A questo contesto, di per sé già ampiamente favorevole alla mobilità, si è aggiunta la spinta dei processi di globalizzazione dell’economia mondiale. Questi hanno agito in due direzioni. In primo luogo, hanno favorito l’azione dei network migratori, facilitando la comunicazione e gli scambi di idee, merci e persone tra aree anche molto distanti e riducendone i costi. In secondo luogo, l’eccezionale crescita economica conosciuta da molti paesi (Cina in testa) è il segno di una altrettanto eccezionale trasformazione strutturale di una vasta area del pianeta, che sta conoscendo (o si avvia a conoscere) quella fase della propria storia in cui più elevata è la spinta alla mobilità.
 
I fattori d’attrazione dei flussi
Non c’è dubbio però che la crescita delle migrazioni internazionali è dipesa anche da un aumento della domanda di immigrazione da parte dei paesi sviluppati, per precise ragioni di ordine demografico ed economico. La bassa fecondità, che caratterizza da tempo molti paesi occidentali, ha già creato e ancor di più creerà in futuro uno scompenso tra entrate ed uscite dalla popolazione in età lavorativa. Se confrontiamo, ad esempio, l’andamento della classe di età 20-24 anni, in cui avviene generalmente l’ingresso nel mondo del lavoro, con quello della classe 60-64, in cui invece si arriva alla pensione, si è avuta nell’area Ocse una progressiva riduzione della distanza tra le due fasce d’età, tanto che nel 2015 gli “anziani” in uscita supereranno i “giovani” in entrata (OECD 2009).
Questo andamento complessivo maschera, in realtà, le profonde differenze negli andamenti demografici che esistono tra i paesi sviluppati. Italia e Francia rappresentano bene le due situazioni estreme. Nel nostro paese la fecondità è, infatti, scesa al di sotto del livello di sostituzione nel 1977, dal 1984 è inferiore agli 1,5 figli per donna e continua ad esserlo nonostante la leggera ripresa registrata negli ultimi anni. In Francia, invece, il tasso di fecondità totale è sceso sotto i 2,1 figli per donna nella prima metà degli anni settanta, ma successivamente si è sempre mantenuto tra 1,7 e 1,9. Di conseguenza, in Italia il sorpasso delle generazioni uscenti dal mercato del lavoro su quelle entranti si è già realizzato a metà dell’attuale decennio, mentre in Francia avverrà solo nel prossimo. Ben diversa è, poi, l’intensità della differenza: in Italia sarà crescente e di dimensioni veramente notevoli, superando il milione di unità nel 2020 e approssimandosi ai 2 milioni nel 2035, mentre in Francia sarà molto più contenuta, superando al massimo le 200 mila unità (Fig. 1).
 
La situazione italiana è simile a quella di tutti gli altri paesi dell’area Ocse dove la fecondità è già da anni su livelli molto bassi: la popolazione in età lavorativa tra il 2005 e il 2020 subirà un calo molto forte in Giappone (-11,6%), Italia (-7%) e Germania (-6,2%), una diminuzione contenuta nel complesso dell’area Ocse (-1,1%) e in Canada (-0,8%), mentre Regno Unito (0,3%) e Francia (0,5%) registreranno un leggero aumento e gli Stati Uniti una crescita ben più sostenuta (5,9%) (OECD 2009).
Oltre a questi fattori demografici hanno agito in questi anni anche importanti elementi di natura economica nel favorire la domanda di immigrazione nei paesi sviluppati. I nostri mercati del lavoro sono, infatti, realtà tutt’altro che omogenee, dove i processi di segmentazione creano aree separate e poco o nulla comunicanti tra loro. Inoltre, i processi di globalizzazione hanno dato una spinta vigorosa alla competizione sui mercati mondiali e non c’è dubbio che, almeno nel breve periodo, l’immigrazione sia la scelta più rapida e vantaggiosa per colmare eventuali carenze del fattore lavoro. Ancora, va considerato che nelle economie dei paesi sviluppati tendono a presentarsi carenze d’organico soprattutto nelle fasce alte e basse del mercato, creando vuoti occupazionali che la forza lavoro nazionale spesso non è in grado di colmare o preferisce non colmare. In effetti, se consideriamo il contribuito dato dall’immigrazione alla forte crescita dell’occupazione che si è registrata nei paesi sviluppati nel decennio che ha preceduto l’attuale crisi economica, si può notare che in molti paesi (Italia compresa) il lavoro straniero è servito a coprire oltre il 50% dei nuovi posti di lavoro (Fig. 2).
 
Le prospettive
Se quello appena descritto è il contesto che ha favorito la forte crescita delle migrazioni nell’ultimo ventennio, viene spontaneo chiedersi quali potranno essere gli effetti della crisi economica mondiale. E’ evidente che recessione e stagnazione economica non sono i contesti più favorevoli alle migrazioni per lavoro, come già è visibile in molte realtà. E’ altrettanto evidente, però, che in molti paesi di partenza la crisi sta rendendo ancora più pressante l’azione dei fattori che spingono all’emigrazione. Come è facile prevedere che, chiusa questa fase di difficoltà economica, i fattori strutturali alla base della domanda di immigrazione riprenderanno la loro azione con rinnovato vigore. Difficile, se non impossibile, stabilire quale equilibrio caratterizzerà il futuro prossimo delle migrazioni internazionali. Di sicuro senza profondi interventi strutturali, che al momento non sembrano però profilarsi all’orizzonte, i paesi del primo mondo continueranno ad aver bisogno dell’apporto delle migrazioni. Anche perché, almeno sul versante demografico, interventi di questo tipo necessitano di tempi decisamente lunghi per sortire effetti significativi.
 
 
Oecd (2009), International migration outlook. Sopemi 2009. Special focus: managing labour migration beyond the crisis, Paris, Oecd.
 

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