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Crisi e suicidi: considerazioni sui dati della provincia di Catania

Il suicidio è la manifestazione più estrema di una serie di comportamenti autolesivi in cui rientrano l’ideazione suicidaria, la messa a punto di un piano, il tentativo e, infine, il suicidio vero e proprio. Questi comportamenti derivano da una interazione di elementi propri dell’individuo (biologici, genetici, psicologici) e di elementi esterni (sociali, ambientali e situazionali). Esistono, quindi, diversi fattori di rischio che concorrono alla nascita dell’idea del suicidio e che ne promuovono la progressione attraverso le varie fasi fino alla realizzazione stessa del gesto. La malattia mentale (depressione e abuso di sostanze principalmente), lo stress emotivo, la malattia cronica, la violenza, gli stravolgimenti improvvisi (come ad esempio la perdita del lavoro), la separazione dal partner o la perdita di un caro, sono le situazioni che possono condurre un individuo a porre fine alla propria esistenza.

Il contesto
In una recente nota informativa sulla questione dei suicidi, relativa al periodo 1993-2009, l’Istat (2012) osserva che i tassi standardizzati di mortalità per suicidio, nella maggior parte dei paesi europei, presentano una tendenza decrescente continua fino al 2007 (Figura 1). Questa tendenza, in concomitanza con l’inizio della crisi economica (2008), registra un’inversione in molti paesi. Si è quindi aperto un dibattito internazionale tra vari ricercatori circa la eventuale correlazione tra crisi economica e aumento dei suicidi (Stuckler et al 2009, De Vogli et al 2013, Fountoulakis et al 2013), anche sul sito Neodemos (Livi Bacci 2012). L’Italia è tra i paesi a basso tasso di mortalità per suicidio (6,7 x 100.000 abitanti nel 2009) con differenze tra le diverse aree: Nord (7,6), Centro (6,7), Sud (4,9) e Isole (6,7). Il sesso prevalente è quello maschile, con un rapporto maschi/femmine (3:1) che si mantiene stabile nel periodo. Il tasso di suicidio cresce all’aumentare dell’età: da 2,0 tra gli under 25, a 14,1 tra gli over 65 (Figura 2).
Nell’arco di tempo considerato nel rapporto Istat (2012), si osserva una costante discesa del tasso fino al 2006 (6,3), che poi risale fino al 6,7 del 2009. Il ritardo di circa tre anni nella disponibilità dei dati Istat riguardanti le cause di morte non consente però di approfondire il problema per gli anni più recenti.

Il caso catanese
In Sicilia, a partire dal 2000, sono disponibili i dati del Registro Nominativo delle Cause di Morte (ReNCaM)[i] che, aggiornati a tutto il 2012, consentono di seguire il fenomeno fino agli anni più recenti. In questa nota ci si concentra, per il periodo 2000-2012, sulla provincia di Catania (che conta circa un milione di abitanti), per la quale si sono sviluppate le prime elaborazioni.
In questo arco di tempo si sono registrati complessivamente 607 suicidi, con una media annua di 47 casi, dal minimo del 2001 (29) al massimo del 2012 (81). La distribuzione per sesso vede una netta prevalenza dei maschi (475 casi, 78% del totale; Figura 3).
Come riportato in Tabella 1, il tasso di mortalità per suicidio nella popolazione catanese, fino al 2010, presenta valori inferiori a quelli Istat per le Isole (6,7 nel 2009). Nel 2011 e 2012, invece, i tassi subiscono un incremento, moderato nel 2011 (6,1) e più rilevante nel 2012 (7,5). L’incremento risulta ancora più significativo se si restringe l’osservazione al solo sesso maschile, dove dal valore di 6,9 del 2010 si passa rispettivamente al 9,7 del 2011 e al 12,5 del 2012. In questo ultimo anno, inoltre, la fascia prevalente risulta quella di 45-64 anni, che presenta un tasso circa doppio rispetto all’anno precedente.L’evoluzione dei suicidi e quella della disoccupazione nella provincia di Catania presentano un andamento similare (Figura 4): questo, beninteso, non prova che ci sia un legame tra i due fenomeni, e men che meno che l’una sia la causa degli altri, ma qualche dubbio lo fa sorgere. Nello stesso senso, ci paiono elementi di riflessione il fatto il tasso di mortalità per suicidio aumenta in corrispondenza dell’acuirsi della crisi e anche il fatto che l’incremento dei suicidi è più forte dove si concentra una buona parte della forza lavoro, ovvero tra i maschi e, nel 2012, nella fascia di età 45-64.

E’ vero che altri elementi sembrano piuttosto confutare la tesi: tra questi, l’inversione dell’andamento dei tassi di suicidio in Italia nel 2006, e cioè anteriormente all’inizio della crisi, la mancanza di dati sull’attività lavorativa dei casi (che potrebbe essere analizzata recuperata, ma con fatica, attraverso una ricerca dei dati contenuti nelle Schede di Morte), e la stessa molteplicità delle possibili e concomitanti cause del suicidio.

E tuttavia, i dati disponibili consigliano di non liquidare con eccessiva disinvoltura la possibilità che la perdita del posto di lavoro, e con questo del reddito e della fiducia in se stessi e nel futuro, sia alla base di molte di queste decisioni estreme, almeno in alcuni contesti tra cui, riteniamo, quello della provincia di Catania. 

 
Fonti bibliografiche

De Vogli R, Marmot M, Stuckler D (2013) Excess suicides and attempted suicides in Italy attribuitable to the great recession. J Epidemiol Health; 67:378-379.

Fountoulakis K, Siamouli M, Grammatikopoulos A, Koupidis S, Siapera M, Theodorakis P (2013) Economic crisis-related increased suicidality in Greece and Italy: a premature over interpretation. J Epidemiol Health; 67:379-380.

Istat (2012). I suicidi in Italia: tendenze e confronti, come usare le statistiche. 8 agosto

Livi Bacci M (2012) Il suicidio e il lato oscuro della crisi. Neodemos (www.neodemos.it) 23 maggio.

Stuckler D, Basu S, Suhrcke M, McKee M (2009) The health implications of financial crisis: a review of the evidence. Ulster Med J; 78:142–45.


[i] Il flusso di dati che alimenta il ReNCaM è lo stesso che giunge all’Istat, ovvero quello delle Schede di Morte. Il ReNCaM utilizza tuttavia il sistema di codifica ICD-9 (International Classification of Deseases), mentre l’Istat utilizza l’ICD-10.

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