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Un pezzo d’Italia poco conosciuto

Una storia d’emigrazione lunga e complessa

Le comunità italiane attualmente residenti all’estero sono il risultato di oltre 150 anni di storia migratoria. Le loro dimensioni e la loro struttura riflettono, di conseguenza, non solo l’intensità dei diversi flussi ma anche tutti quei complessi processi che, nel corso di questo lungo intervallo di tempo, hanno influenzato i percorsi individuali, familiari e collettivi nelle aree di partenza e nei paesi d’arrivo. Di questa complessa articolazione sarebbe necessario tener conto, non solo in sede di ricostruzione storica, ma anche in sede politica. Se, infatti, si vogliono individuare strumenti efficaci di intervento è necessario scomporre un aggregato così eterogeneo nelle sue parti costitutive. E’ del tutto evidente che problemi ed esigenze dei discendenti dei nostri emigranti di fine Ottocento o del secondo dopoguerra sono cosa ben diversa da quelli dei giovani laureati che lasciano oggi l’Italia per lavorare all’estero.
I tratti salienti della storia della nostra emigrazione sono ben noti. L’Italia ha conosciuto due fasi di forte emigrazione. La prima e più intensa si avvia nei primi decenni postunitari, raggiunge l’apice nel primo quindicennio del Novecento, si prolunga nei primi anni postbellici e si caratterizza per un’elevata componente transoceanica. La seconda, meno intensa, si realizza negli anni cinquanta e sessanta del novecento e ha una dimensione soprattutto europea. Le crisi petrolifere dei primi anni settanta ne segnarono la fine, determinando la prevalenza dei ritorni sulle partenze e la chiusura di un ciclo migratorio che, con alterne vicende, aveva segnato la vita del paese per oltre un secolo. Di lì a poco sarebbero apparsi i primi flussi di immigrazione straniera, avanguardie di una dinamica migratoria che, dopo la caduta del Muro di Berlino, avrebbe conosciuto una crescita straordinaria e che in vent’anni avrebbe trasformato l’Italia in uno dei principali paesi d’immigrazione d’Europa e del Mondo.
La crescita dell’immigrazione straniera determinò una progressiva perdita d’interesse (anche in sede scientifica) verso l’emigrazione italiana. Le ragioni sono evidenti e comprensibili. In primo luogo, è da considerare la rilevante e crescente differenza di dimensioni tra i flussi in uscita degli italiani e i flussi in ingresso degli stranieri; in secondo luogo, bisogna tener presente la necessità, per il paese, di dotarsi di adeguati strumenti di gestione e di lettura di un fenomeno sostanzialmente nuovo quale l’immigrazione. Una simile perdita di interesse non ha però permesso di dare il giusto ruolo a fenomeni che non erano scomparsi, ma erano solamente diminuiti di intensità acquistando nuovi caratteri e nuove funzioni.
Per l’emigrazione italiana, volendo molto schematizzare, sono attualmente ipotizzabili due principali funzioni:
•       quella di interscambio con la diaspora italiana all’estero, alla luce della raggiunta maturità dei vecchi flussi di emigrazione, della complessiva riarticolazione delle reti migratorie e dei mutati rapporti tra aree di partenza e d’arrivo;
•        e quella di interscambio di forza lavoro, anche ad alta qualificazione, soprattutto verso i paesi di pari sviluppo economico.
Molte fonti poche informazioni
Per seguire e misurare questi processi è disponibile, come spesso accade, più di una fonte statistica, nessuna delle quali risulta, però, pienamente soddisfacente. Chi volesse, infatti, avere informazioni sul fenomeno avrebbe a disposizione:
•      la rilevazione delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche per trasferimento di residenza da e per l’estero, condotta dall’Istat;
•      il Censimento degli italiani all’estero, effettuato dal Ministero degli Esteri in collaborazione con l’Istat nel 2003;
•      i dati dell’AIRE (archivio amministrativo);
•      i dati dell’Anagrafe consolare (archivio amministrativo);
•      alcune indagini ISTAT (dottori di ricerca, esiti occupazionali di laureati e diplomati, ecc.);
•      le statistiche dei paesi d’immigrazione.
Ognuna di queste fonti dà una lettura del fenomeno da una prospettiva particolare e presenta, inevitabilmente, pregi e difetti. Non è questa certo la sede opportuna per una disamina delle caratteristiche e dei limiti delle diverse fonti, ciò che preme evidenziare è che questo insieme informativo non sembra sfruttato adeguatamente e che, soprattutto, non fornisce dati su aspetti chiave della situazione delle nostre collettività all’estero.
Limitandoci a considerare i dati dell’AIRE, che in questo campo rappresenta sicuramente il riferimento principale, questi sono disponibili sul sito del Ministero dell’Interno. Il dettaglio di presentazione è decisamente scarno, limitandosi alla ripartizione per anno di iscrizione, per paese di residenza, per regione e provincia di provenienza, al numero complessivo di maschi e femmine e a una suddivisione per ampie classi di età. Mancano informazioni più dettagliate in base a caratteristiche demografiche (sesso e singolo anno di età, luogo di nascita, altre cittadinanze ecc.) o socio-economiche (livello di istruzione, attività economica ecc.). Come è stato evidenziato da  Livi Bacci , questi “dati non ci sono o, se ci sono, non vengono elaborati o, se elaborati, non vengono diffusi. E’ come se una regione medio-grande, come la Toscana, o l’Emilia-Romagna o la Puglia, sparisse dallo schermo radar delle nostre statistiche, lasciando solo qualche incerta traccia.”
Ed è un vuoto informativo che pesa e che, con ogni probabilità, potrebbe essere colmato con costi contenuti. Una fonte come l’AIRE meriterebbe una gestione più attenta agli aspetti statistici. Puntando a trasformare quello che oggi è ancora un archivio amministrativo in una vera e propria fonte statistica, attraverso un attento controllo dei dati individuali, un’individuazione dei fattori distorsivi e una ripulitura dagli errori più evidenti.
Per avere un’idea di quanto sia complessa e diversificata la situazione degli italiani all’estero e di quanto sarebbe utile un affinamento delle fonti statistiche disponibili appare utile concludere questo intervento confrontando le quantificazioni delle collettività italiane all’estero attraverso i dati dell’AIRE con quelle desumibili dalle fonti statistiche dei paesi di residenza dei nostri emigranti (Fig. 1).

Nelle tradizionali mete europee della nostra emigrazione gli iscritti all’AIRE sono più numerosi degli italiani registrati come stranieri dalle statistiche di quei paesi. La differenze è, con ogni probabilità, attribuibile a emigranti che hanno acquisito la cittadinanza dei paesi d’arrivo ma hanno conservato quella italiana e, soprattutto, hanno interesse a mantenere un legame con il nostro paese. Opposta la situazione in Nord America e Australia, dove i residenti nati in Italia sono molto più numerosi degli iscritti all’AIRE, a conferma che la distanza tende a ridurre i rapporti con il paese di partenza. Particolare il caso della Spagna, dove il dato dell’AIRE è inferiore a quello dei cittadini italiani residenti nel paese ma superiore a quello dei nati in Italia che vi vivono. In questo caso siamo in presenza, con ogni probabilità, di latinoamericani di discendenza italiana che avendo il nostro passaporto lo hanno utilizzato per entrare nel paese iberico.
Già da questo semplice confronto emerge come la realtà della nostra emigrazione sia fortemente diversificata e come un miglioramento e un affinamento delle informazioni desumibili dall’AIRE potrebbe permettere una più precisa descrizione dei collettivi e, di conseguenza, anche una più attenta individuazione delle politiche di intervento. Infatti, basterebbe già considerare due semplici variabili, quali il paese di nascita e il possesso di un’altra cittadinanza, per avere un quadro più preciso delle nostre collettività all’estero.

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