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Requiem per l’ospedalizzazione della morte?*

1 – Si preferisce morire a casa ma si muore in ospedale.

Un lento ma progressivo spostamento del luogo in cui si muore dalla casa privata all’ospedale, o altra istituzione sanitaria o parasanitaria, ha contraddistinto tutti i paesi economicamente avanzati nell’arco di oltre un secolo. In alcuni di essi la crescita è stata tale che la quota di decessi in ospedale sul totale delle morti, ovvero il grado di “ospedalizzazione della morte”, ha raggiunto e superato il 70%¹. Contemporaneamente però le ricerche continuavano a mostrare che la morte “ideale” rimaneva quella in casa nel proprio letto e che, di conseguenza, la divergenza tra aspirazioni e realtà si andava approfondendo. Oggi in Italia, per esempio, oltre il 61% della popolazione dichiara che, potendo scegliere, preferirebbe morire in casa, ma solo la metà pensa che questo avverrà. Viceversa, solo il 10% vorrebbe morire in ospedale, ma la quota di chi pensa che sarà proprio questo a succedere è il 18 %². Se il divario tra desideri e previsioni è alto, quello tra previsioni e realtà lo è di più. Oggi, infatti, in Italia, le morti in ospedale sono il 42% del totale.

2 – La crescita secolare dell’ospedalizzazione della morte in Italia e la sua interruzione

Per circa un secolo e mezzo anche l’Italia ha registrato lo stesso fenomeno visibile in tutti i paesi occidentali, un progressivo spostamento del luogo in cui si muore dalla casa all’ospedale. Per quanto ritardato e meno intenso di quanto avvenuto altrove, in Italia la quota di decessi in ospedale sul totale ha raggiunto il 10% negli anni ’30, il 30% negli anni ’70 e ha toccato il suo punto più alto, poco sopra il 45%, nel 2010. Il grafico 1 riporta l’andamento secolare di questo indicatore e illustra in modo chiaro quel che è avvenuto.

Il 2010, tuttavia, è l’ultimo anno in cui la percentuale di morti in ospedale supera quella dell’anno precedente. Dall’anno successivo si osserva una timida svolta. Per la prima volta la quota di morti in ospedale scende. Nel 2014 è sotto il 42%. Non un crollo, sia chiaro, ma una riduzione in corso ormai da tre anni (che diventerebbero sette se i dati successivi la confermeranno) che segnala un’inversione di tendenza piena.

Come è stato nel caso dell’avvio, anche il calo è avvenuto in Italia in ritardo rispetto ad altri paesi occidentali a economia sviluppata. Il fenomeno era infatti visibile in Germania e in Usa già dagli anni ’80 del secolo scorso, in Canada dagli anni ‘90, in UK dagli anni 2000. Le ricerche sin qui disponibili mostrano però che le differenze non riguardano solo la rapidità del cambiamento, ma anche gli esiti di questo processo di deospedalizzazione. In alcuni paesi, infatti, non solo si è registrato un calo delle morti in ospedale ma, per la prima volta da secoli, anche una crescita delle morti in casa. È il caso del Regno Unito, ma anche di Usa e Canada. In altri paesi, come il Belgio e l’Australia, invece, il calo della quota di morti in ospedale si è tradotto in una crescita delle morti in altre istituzioni, prime tra tutte i cosiddetti hospices, ovvero le strutture per malati terminali dove si somministrano cure palliative³. I dati suggeriscono che, almeno finora, l’Italia appartiene a questo secondo insieme di paesi.

3 – Nord e Sud separati a lungo. E oggi?

Se nella stragrande maggioranza dei fenomeni sociali Nord e Sud Italia si comportano in modo molto diverso, nel caso degli atteggiamenti e dei comportamenti legati alla morte le differenze sono perfino più marcate. Non solo, in alcuni casi tali differenze persistono molto a lungo nel tempo e possono addirittura approfondirsi, anziché ridursi[4]. Il caso dell’ospedalizzazione della morte è tra questi. La tabella 1 mostra quel che è avvenuto nelle due aree del paese e racconta una storia piuttosto interessante e inattesa.

Tra l’immediato periodo post-unitario e il secondo dopoguerra i livelli di ospedalizzazione della morte al Nord e Sud, partendo da valori decisamente lontani, si sono avvicinati. Alla fine dell’800 al Nord si moriva in ospedale in proporzione pari a 4,5 volte in più che al Sud, ma nel 1955 il rapporto era sceso a 2,7. In gran parte questo avvicinamento aveva a che fare con cambiamenti nella disponibilità di strutture. Nel 1883 infatti il Nord aveva il triplo di posti letto per abitante del Sud, nel 1955 il doppio. Da quel momento però, anziché continuare a ridursi, i rapporti nei livelli di ospedalizzazione della morte tornavano ad accentuarsi e nel 1987 erano superiori, pari a 3,1. Al nord oltre il 47% dei decessi avveniva in ospedale, mentre al sud solo il 15%. Eppure le differenze nella disponibilità di posti letto erano minime: 8,2 per 1.000 abitanti al Nord, 6,8 al Sud. Ma questa è solo la prima sorpresa, perché negli anni ’90 le due aree del paese sono tornate ad avvicinarsi, ma stavolta non in conseguenza di un’ulteriore riduzione delle disparità nella disponibilità di strutture. Anzi, i dati mostrano che l’avvicinamento non è nemmeno dipeso da una maggiore crescita dell’ospedalizzazione della morte al sud rispetto al nord, pure visibile, ma dal fatto che già dalla seconda metà degli anni Novanta iniziava al Nord un processo opposto, di riduzione, lenta ma progressiva, delle morti in ospedale.

Le sorprese però non finiscono qui, perché le differenze tra Nord e Sud sono molto più profonde di quanto questa divaricazione non lasci supporre. Ma di questo si occuperà un prossimo articolo.

*Questo articolo rientra in un più ampio progetto di ricerca sui cambiamenti di lungo periodo nelle pratiche e negli atteggiamenti verso la morte in Italia destinatario di un finanziamento Prin per il 2017-2020 (2015FR7MKM). Gli autori ringraziano Stefano Marchetti, responsabile dell’Indagine su decessi e cause di morte dell’Istat per l’aggiornamento dei dati.

Per saperne di più:

Broad, J. B., M. Gott, H. Kim, M. Boyd, H. Chen e M. J. Connolly (2013). “Where do people die? An international comparison of the percentage of deaths occurring in hospital and residential aged care settings in 45 populations, using published and available statistics” in Int J Public Health 58(2): 257-267.

Colombo, A. D. (2017). “Why Europe has never been united (not even in the Afterworld): The fall and rise of cremation in the cities (1876-1939)” in Death Studies 41(1): 22-33.

Gomes, B., N. Calanzani e I. J. Higginson (2012). “Reversal of the British trends in place of death: Time series analysis 2004-2010” in Palliative Medicine 26(2): 102-107.

Henry J. Kaiser Family Foundation, T. (2017). Views and Experiences with End-of-Life Medical Care in Japan, Italy, the United States, and Brazil: A Cross-Country Survey: 1-37.

Note

¹ [Broad, Gott et al. 2013].

² Si veda il rapporto di ricerca della [Henry J. Kaiser Family Foundation 2017] pubblicato sul sito della fondazione e di cui ha dato ampio risalto l’Economist nel numero del 29 aprile 2017.

³ [Gomes, Calanzani et al. 2012].

[4] Uno dei due autori di questo intervento ha mostrato, per esempio, che questo è stato storicamente il caso della scelta della cremazione come forma di sepoltura [Colombo 2017].

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