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Per un governo mondiale delle migrazioni

Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2005 lo “stock migratorio” nel mondo (l’insieme delle persone che vivono in paesi da “stranieri”, perché nati in altro paese o cittadini di un altro paese) ammontava a 190 milioni, il 3 per cento della popolazione mondiale.

Divari crescenti

L’incidenza dello “stock” migratorio è in declino nei paesi in via di sviluppo (dal 2,1 per cento della popolazione nel 1960 all’1,4 per cento nel 2005) ma è in forte aumento nel mondo sviluppato (dal 3,4 al 9,5 per cento tra le due date)[1]. Le prospettive di lungo termine – una volta superati i duri effetti della crisi in corso – sono di rafforzamento dei flussi sud-nord per almeno tre ordini di fattori.

Il primo attiene alla rapida internazionalizzazione del pianeta, che facilita scambi e contatti, li allarga a regioni  distanti e isolate, comprime i costi degli spostamenti, rende evidenti le opportunità della migrazione.

Il secondo è il crescente divario economico – assoluto e spesso anche relativo – tra paesi di origine e paesi di destinazione dei flussi. Un esempio: nel 1973 il reddito pro-capite in Europa occidentale era pari a 11.400 dollari e nell’Africa Sub-Sahariana a 1.400 dollari (dati espressi in dollari 1990, a parità di acquisto equivalenti)[2] . Nel 2003, trent’anni più tardi, i valori sono stati pari a 19.900 e 1.550: il divario assoluto tra le due regioni è cresciuto da 10.000 dollari a 17.350, e il rapporto da  8,1:1 a 12,8:1.

Il terzo ordine di fattori è di natura demografica: il potenziale di crescita dei paesi poveri è ancora elevatissimo, nonostante un diffuso ma recente declino della natalità. Un caso emblematico: tra il 2010 al 2030, la popolazione di età compresa tra 20 e 40 anni (una fascia di età dal quale proviene la grande maggioranza dei migranti) diminuirebbe del 26 per cento in Europa e aumenterebbe del 56 per cento in Africa se non intervenissero migrazioni[3].

Crescita senza governo

Nonostante l’aumento delle migrazioni, in particolar modo nell’ultimo ventennio, questo è stato  moderato nei confronti della fortissima espansione dell’interscambio mondiale di beni e merci. Che è cresciuto rapidamente grazie al diffondersi della convinzione, tutta politica, che la liberalizzazione degli scambi costituisse un forte motore dello sviluppo e che occorresse abbassare gli ostacoli e abbattere le barriere tariffarie. Nel contempo si è costituita, a garanzia di questo processo, la OIC (Organizzazione Mondiale del Commercio o WTO con il più comune acronimo inglese) cui i paesi aderenti hanno conferito importanti poteri regolatori. Nulla di simile è avvenuto per il lavoro o le migrazioni: gli Stati mantengono gelosamente intatte le loro prerogative e – semmai – hanno rafforzato regole, divieti e controlli. Le politiche restrittive si stanno espandendo: quote più basse per i flussi, requisiti più stringenti per le riunificazioni familiari, ostacoli per le migrazioni di lavoratori non compensate (quantitativamente) dagli incentivi per quelle fortemente qualificate, maglie più strette per rifugiati e richiedenti asilo. Le organizzazioni internazionali che si occupano di migrazioni (UNCHR, ILO, OIM) hanno mandati settoriali e ristretti. Le convenzioni internazionali hanno vita difficile, come dimostra il fatto che pochi Stati hanno ratificato le due convenzioni dell’ILO (n. 97 del 1949 e n. 143 del 1975) che riguardano i lavoratori migranti, e che per l’entrata in vigore della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie sono occorsi 13 anni, ed è stata ratificata (situazione all’inizio del 2009) da appena 43 stati (uno solo europeo). Troppo forti sono gli interessi statuali in conflitto, troppo debole la voce dei migranti, inesistente la visione degli interessi comuni di lungo termine.

Nel 2003, Kofi Annan aveva creato la Global Commission on International Migration, con il mandato di proporre indirizzi per la cooperazione internazionale in campo migratorio. Dopo due anni di incontri e dibattiti, la Commissione, nel 2005, rese pubblico un Rapporto che conteneva proposte assai timide, suggerendo la creazione di un organismo preposto al coordinamento delle funzioni delle varie agenzie della famiglia delle Nazioni Unite in materia migratoria (funzioni che sarebbero però rimaste in capo delle singole Agenzie). Si proponeva una Inter-agency Global Migration Facility (IGMF): ma, a quattro anni di distanza, si può dire che anche questa timidissima proposta è caduta nel nulla.

 

Per un governo mondiale delle migrazioni

         Può sembrare un’utopia l’idea che sia possibile convincere gli stati a cedere una frazione della loro sovranità ad un’istituzione mondiale di governo delle migrazioni. E’ convinzione comune che le migrazioni rappresentino un “gioco a somma positiva” dove tutti, in fin dei conti, guadagnano qualcosa – migranti, paesi di provenienza e paesi di arrivo. Ma i conflitti di interessi tra paesi, la violazione dei diritti umani dei migranti, la mancanza di regole condivise fa ritenere che l’assenza di governo riduca di molto i possibili benefici delle migrazioni .

Lasciamo da parte la questione circa la natura dell’istituzione sopranazionale sulle migrazioni; se essa, cioè, debba essere una nuova autonoma Agenzia (simile alla WTO), oppure una fusione di quelle esistenti (ad esempio l’OIM e la UNCHR); se essa debba essere all’interno o all’esterno della famiglia delle Nazioni Unite; quale struttura essa debba avere. Ragioniamo invece sulle funzioni che essa potrebbe svolgere. E’ stato osservato che, in una prima fase, ad essa potrebbero essere attribuite le funzioni conoscitive (raccolta dati, monitoraggio delle tendenze), di analisi delle politiche, di assistenza tecnica e formazione, di predisporre un foro permanente di confronto, discussione e proposta, di sostegno alle negoziazioni tra paesi, di iniziative “anti-trafficking”, di promozione della cooperazione[4]. Si tratta di funzioni per le quali non c’è alta conflittualità o scontro d’interessi e che potrebbero utilmente costituire la base iniziale di un’istituzione internazionale volta a promuovere la cooperazione tra stati in un’area così difficile. Gradualmente, ma non troppo gradualmente se l’istituzione deve essere qualcosa di più di un embrione di governo globale, altre funzioni dovrebbero aggiungersi. Tra queste, in primo luogo e in preminenza, la protezione dei diritti dei migranti, e poi l’adozione di standard legali, l’attuazione delle legislazioni migratorie, il controllo delle frontiere, la riammissione degli irregolari nei paesi di origine, il sostegno ai movimenti di ritorno. Si tratta di temi sui quali le divisioni tra stati sono, attualmente, assai profonde ma che andranno superate. Si pensi, per esempio, all’importanza di certificare l’identità dei migranti, il loro paese di nascita, la loro nazionalità, l’età, le condizioni familiari; il grado d’istruzione, le specializzazioni e le professionalità; la conoscenza delle lingue; le loro pendenze giudiziari ed i loro precedenti penali. O, ancora, alla circolazione delle rimesse, con  minimo costo e massima sicurezza; al ricongiungimento dei diritti pensionistici; al rispetto, nei contratti di lavoro, di garanzie minime. O, ancora, al sostegno e al rispetto di accordi bilaterali o multilaterali per la riunione delle famiglie o per la riammissione nel paese di origine di migranti irregolari legalmente espulsi.

Preminente è – occorre ripeterlo – la protezione dei diritti dei migranti, sia di coloro che migrano legalmente, sia delle decine di milioni di coloro che vivono irregolarmente in un paese non loro. Perfino i migranti regolari vivono – in molti paesi – in stato di semi-servaggio, con i passaporti trattenuti dalle autorità o dai datori di lavoro. Fortezza Europa ha censito negli ultimi 20 anni 13.500 casi accertati di migranti che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa[5]. Ma questa è solo la punta dell’iceberg delle perdite totali, la maggioranza delle quali rimane sconosciuta, nelle traversate dei deserti ed in quelle per mare. L’area del confine tra Messico e Stati Uniti è ugualmente pericolosa per i migranti irregolari. I morti non sono vittime di guerre, ma di movimenti pacifici.

Forze globali sono alla radice della crescita delle migrazioni. I conflitti d’interesse sono ugualmente in crescita. Urgente è la necessità di cooperazione e governo globale.

# Questo articolo si basa sulla relazione che sarà presentata al convegno G8+5 Academies’ Meeting  (Accademia dei Lincei, Roma, 26-27 marzo 2009) dall’autore dal titolo: International Migration: A Global Force, Ungoverned. Il Convegno raggruppa le maggiori accademie per discutere due documenti, da sottoporre al G8 a La Maddalena, su energia e migrazioni.


[1] United Nations, World Migration Stock. The 2005 Revision, New York, 2006.

L’incidenza dello stock migratorio nel 2005, nei paesi sviluppati è però sovrastimato di 2-3 punti, perché la frammentazione dell’URSS e della Yugoslavia hanno portato ad un “artificioso” aumento dello stock migratorio rispetto al precedente periodo.

[2] Dati tratti da: Angus Maddison, Contours of the World Economy. 1-2030 AD, Oxford University Press, Oxford, 2007

[3] United Nations, World Population Prospects. The 2006 Revision, New York, 2006. Variante media, migrazioni nulle.

[4] Kathleen Newland, The Governance of International Migration: Mechanisms, Processes and Institutions, Global Commission on International Migration, September 2005, p. 17. V. anche Federica Resta, La disciplina dell’immigrazione irregolare, tra Italia ed Europa, e Emiliana Baldoni, Il “crimine sofisticato” della tratta delle donne.

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