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Meno matrimonio, più matrimoni

Il matrimonio è da tempo in netto calo, ma al tempo stesso in via di diversificazione. Quindi meno matrimonio e più matrimoni, come risulta dall’ultimo report dell’Istat che aggiorna al 2011 le tendenze coniugali. Il decremento viene da lontano ed è in accelerazione. Dalla storia sociale sappiamo che il matrimonio non è mai stato per tutti. Tra i nati ai primi dell’Ottocento le percentuali di coloro che non si sarebbero mai sposati nel corso della loro vita erano elevate, 10-15%.Le cose cambiarono a partire dai nati nella seconda metà dell’Ottocento per arrivare al cosiddetto marriage boom delle coorti sposatesi negli anni sessanta e settanta, che concentrarono il loro matrimonio nelle età più giovani e che produssero anche il picco della natalità di quel periodo, con oltre un milione di nati. Della generazione nata nel 1950 restò nubile solo il 7% delle donne contro il 14 della generazione delle loro. Ma da quel momento cominciò a flettere la propensione al matrimonio e ad accrescersi l’età di accesso.
Sempre meno matrimoni
Tali tendenze si sono accelerate negli ultimi quattro anni. Infatti, dice l’Istat, il decremento medio annuo nell’ultimo ventennio è stato dell’1,2% mentre dal 2007 al 2011 il calo è stato del 4,5%. E le nozze si fanno sempre più tardive, dato che l’età media al (primo) matrimonio oggi è di 31 anni per le donne e di 34 per gli uomini (Figura 1). Nella perdita crescente di appeal del matrimonio giocano due cause. La prima, culturale, sta nel fatto che il matrimonio non è più la porta d’ingresso ufficiale nell’età adulta, come fu per le generazioni di mezzo secolo fa, le generazioni delle tre “m” (mestiere, macchina, moglie o marito) che così riassumevano gli obiettivi sociali necessari per divenire adulti a tutto tondo. Il fare coppia si è deistituzionalizzato per effetto della romanticizzazione dell’amore. Questa mentalità affettiva vede nel puro sentimento amoroso la sola, grande forza legittimata a dare plausibilità sociale ed emotiva alla coppia. Il resto – il diritto, la religione, il consenso dei genitori o della parentela – arretra, mostrando sempre minore capacità regolativa e morale. L’attuale, per dirla con Bauman (2004), è l’epoca dell’”amore liquido”, un amore che teme i legami troppo stretti e che non sopporta tensioni o frustrazioni. Dall’altro c’è la recessione: non è un caso che la nuzialità acceleri la sua caduta a partire proprio dal 2008: la crisi ha particolarmente colpito la fascia giovanile (fino a 30 anni) in termini di sottoccupazione, disoccupazione e precarietà lavorativa, ritardando a tempi migliori spese e progetti matrimoniali ed inducendo i giovani a ripararsi sotto la protezione del welfare domestico della propria famiglia. Non a caso nel 2011 i primi matrimoni, tipicamente quelli dei più giovani, sono scesi dell’8%. A diminuire sono infatti i tassi di primo-nuzialità dei giovani al di sotto dei 35 anni, mentre nelle età successive la propensione al matrimonio è in lieve aumento. Vi è pertanto una accentuazione del rinvio delle prime nozze ad età più mature: è vero che tale fenomeno è in atto dalla metà degli anni settanta, ma negli ultimi anni si è fatto ancora più marcato.
Naturalmente la denuzialità porta alla diffusione di nuove e diverse architetture dello stare insieme, come le convivenze e le “coppie a distanza” (o living apart together). Le prime sono in crescita, soprattutto tra le giovani generazioni, e si stanno trasformando da “periodo di prova” prematrimoniale in alternative al matrimonio: nel 2007, ad esempio, tra le donne di circa 30 anni in unione, la convivenza era stata sperimentata da circa un terzo delle intervistate, e, tra le più giovani di queste, non si era (ancora) trasformata in unione (Salvini e De Rose, 2011, p. 44). Del resto più di un bambino su quattro nasce ormai da genitori non coniugati (demo istat), e nella grande maggioranza dei casi si tratta di unioni non formalizzate.
Le “coppie a distanza”, di difficile quantificazione, rappresentano una realtà emergente in cui si rinuncia alla convivenza materiale dato che i partner vivono in abitazioni distinte, pur percependosi comunque come coppia a tutti gli effetti. E’ probabile che tali tendenze portino ad un robusto incremento dei tassi di celibato e nubilato definitivo, soprattutto per le generazioni nate dopo gli anni settanta.
Tante tipologie di matrimoni
Mentre il matrimonio sdilinquisce a velocità crescente, al tempo stesso si pluralizza. Nel senso che le formule coniugali si moltiplicano, abolendo il monismo nuziale di un tempo. Oggi perdono terreno i matrimoni celebrati con rito religioso a favore di quelli civili (pari ormai al 39% del totale – v. ancora Figura 1) non solo a causa dei divorziati che si risposano o degli sposi stranieri, ma anche per effetto dei processi di secolarizzazione che investono soprattutto i giovani. Infatti anche tra i primi matrimoni scende il ricorso al rito religioso. La crescita delle rotture coniugali incrementa invece i secondi (o terzi…) matrimoni, quasi una “poligamia successiva” che li quantifica in un 15% del totale, più frequenti nella soluzione sposo divorziato con sposa nubile. Poi ci sono i matrimoni misti, specie tra italiani e stranieri, favoriti da migrazioni, viaggi e social media: sono il 13% del totale, perlopiù nella formula sposo italiano con sposa straniera, soprattutto dell’Europa dell’est (v. anche Cinzia Conti e Salvatore Strozza, “Sposo un marocchino e divento italiana”, Neodemos, 08/02/2012, ).
L’Italia non ha, per ora, formalizzato altre modalità di unioni di coppia, come quelle – “leggere” – delle unioni civili sul modello dei pacte civil (Pacs) francesi o quelle – più impegnative – dei cosiddetti “matrimoni rinforzati” (covenant marriage) creati da alcuni Stati degli Stati Uniti per contenere l’eccesso divorzistico. Se ci fossero, si amplierebbe un ventaglio di scelte coniugali che passerebbero dall’unione civile al “matrimonio rinforzato” o solenne.
Circa il futuro è ragionevole ipotizzare che la cultura dell’”amore liquido”, l’insicurezza prodotta dalla crisi e la privatizzazione del credere religioso continueranno a indebolire il matrimonio – specie concordatario –  spingendo la crescita di modelli “post-coniugali” di coppia. I matrimoni misti cresceranno per il radicamento dei fenomeni migratori, sui quali comunque pesa la recessione in atto. Dovrebbero contrarsi invece i matrimoni dei divorziati, per il semplice fatto che la denuzialità stessa condurrà alla riduzione delle rotture coniugali.
Per saperne di più
Fonte Fig 1:* Serie storiche istat  e per gli anni più recenti demo istat.it

Bauman Z., Amore liquido, Laterza, 2004.
Barbagli M., Castiglioni M., Dalla Zuanna G., Fare famiglia in Italia, il Mulino, 2003.
Dalla Zuanna G., Weber G., Cose da non credere, Laterza, 2011.
Salvini S., De Rose A., Rapporto sulla popolazione, Il Mulino, 2011.
Istat, Il matrimonio in Italia, 28 novembre 2012.

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