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L’imbroglio statistico: i dati della propaganda politica contro gli stranieri (e gli italiani)

Il dibattito politico sull’immigrazione si avvale di semplificazioni a volte estreme a fronte di un fenomeno senza dubbio complesso e dalle molteplici articolazioni. Salvatore Strozza mostra come due di queste semplificazioni, immigrazione uguale sbarchi e residenti uguale italiani, hanno orientato i riflettori esclusivamente verso le migrazioni forzate e azzerato di fatto l’attenzione verso l’integrazione degli “altri” immigrati e dei loro figli.

L’attenzione di giornali, radio e televisioni, come degli altri mezzi di comunicazione attuali, è stata ed è catalizzata dagli arrivi attraverso il Mediterraneo di stranieri dei Paesi Terzi salvati in mare e accolti sulle coste italiane. Non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di persone che rischiano la loro vita e ormai numerosi sono stati i naufragi e i morti nel Mediterraneo. Sono persone che necessitano di essere soccorse ed assistite, perché spesso si tratta di minori non accompagnati e donne incinte o neo-mamme, ma in generale perché necessitano di cure mediche immediate e di sostegno psicologico. Il viaggio è stato quasi sempre lungo e faticoso, costellato spesso da soprusi e violenze di ogni tipo. In molti casi sono persone che scappano da guerre, persecuzioni e/o condizioni di pericolo, rientranti a pieno titolo, per queste ragioni, nella categoria dei richiedenti asilo. Si tratta pertanto di persone che vanno prese in carico dallo Stato italiano che in questi anni con difficoltà e con non pochi problemi ha cercato di attrezzarsi per gestire il fenomeno.

Dal dibattito sugli sbarchi alla propaganda politica contro gli stranieri

Proprio su questo “piccolo” segmento relativamente nuovo dell’immigrazione straniera in Italia si è sviluppato un acceso dibattito tra le forze politiche nazionali, tra gli Stati dell’UE, nonché tra il Consiglio d’Europa e il governo italiano. Da qualche anno il tema dell’immigrazione, di questa immigrazione, è quotidianamente sulle prime pagine dei giornali e sotto i riflettori delle televisioni a causa della cronaca giornaliera degli sbarchi e del confronto politico tra favorevoli e contrari all’accoglimento dei nuovi arrivati. Buona parte della recente campagna elettorale e della propaganda politica dei partiti ha riguardato gli arrivi via mare. Con il governo di coalizione tra la lega e i penta-stellati, le cronache recenti si sono arricchite del diario di bordo delle navi erranti nel Mediterraneo alla ricerca di un porto dove attraccare e scaricare il loro carico umano di diseredati che l’Italia e l’Europa non intendono più accogliere.

La retorica politica da parte dei partiti populisti, soprattutto di destra, è riuscita, con l’aiuto spesso involontario dei mass media, nel suo intendo di diffondere tra gli italiani la sindrome dell’invasione e di generare la necessità di erigere (ulteriori) barriere a protezione della Fortezza Europa. La cronaca giornaliera degli arrivi e la contabilità degli sbarchi annuali sono bastate per alimentare un sentimento di insicurezza che ha contribuito non poco alla vittoria dei partiti populisti alle ultime elezioni politiche. Salvini, attuale ministro degli Interni e vice-premier, ripete quotidianamente che deve pensare al benessere dei 60 milioni di italiani e per questa ragione non può concedere l’attracco ai porti italiani e/o lo sbarco sul suolo italiano alle persone salvate nel Mediterraneo. In sintesi, la ricetta proposta dalla Lega è lo stop all’immigrazione per rivolgere tutta l’attenzione ai problemi dei 60 milioni di italiani.

Due semplificazioni: immigrazione uguale sbarchi e …

Questa propaganda politica contro gli stranieri si basa su due semplificazioni estremamente efficaci a livello mediatico per quanto poco aderenti alla realtà. Tra il 2011 e il 2017 sono state salvate nel Mediterraneo e sbarcate sulle coste italiane circa 750 mila persone provenienti quasi esclusivamente dall’Africa sub-sahariana, dal Medio Oriente e dall’Asia centrale. In molti casi si è trattato di richiedenti asilo che in una parte abbastanza ampia ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato o di una qualche forma di protezione. Gli altri si può presumere che non di rado abbiano lasciato il paese. È questa l’immigrazione oggetto di dibattito politico, quella che in gergo tecnico viene chiamata migrazione forzata, visto che nella gran parte dei casi si è in presenza di persone che scappano da guerre, persecuzioni e/o condizioni di pericolo e che avrebbero diritto alla protezione internazionale.

Nessuna attenzione viene invece rivolta alle statistiche dell’ISTAT sulle iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini stranieri, pubblicate anche dai principali enti/istituti internazionali (Eurostat, Nazioni Unite, OCSE) sui loro siti web e in specifici annuari statistici. Questi dati si riferiscono agli immigrati dall’estero registrati non al momento dell’arrivo nel paese ma quando ottengono la residenza in un comune italiano, riguardano pressappoco quelli che le Nazioni Unite definiscono long-term migrants, visto che si può presumere la permanenza nel paese per almeno un anno.

Nei sette anni considerati (2011-2017) le iscrizioni anagrafiche dall’estero di stranieri hanno superato i 2 milioni (Fig. 1), di cui quasi 600 mila dell’UE e oltre 1,4 milioni dei Paesi Terzi. Questi dati sono tre volte quelli degli sbarchi (due volte se consideriamo solo i cittadini non UE) e solo in una parte minoritaria riguardano le 750 mila persone salvate in mare. Si tratta in prevalenza di Europei, rilevante è la componente Nordafricana, dell’Asia centrale e meridionale, dell’Estremo Oriente. Il ricongiungimento familiare è diventato il motivo prevalente dell’insediamento in Italia da quando sono stati praticamente chiusi i canali di accesso per motivi di lavoro. Perché questi dati sono trascurati dal dibattito pubblico? Quando si parla di stop all’immigrazione si fa riferimento ai soli sbarchi o a tutta l’immigrazione, compresa quella non forzata?

Due semplificazioni: residenti uguale italiani?!

Sembra essere noto a pochi che l’Italia è un paese di immigrazione da oltre quarant’anni e che gli arrivi più intensi si sono registrati nel decennio passato e non in questi ultimi anni (si riveda la Fig. 1). Da tempo la nostra società è multietnica e multiculturale e i soli stranieri residenti in Italia sono oltre 5 milioni, circa l’8,5% dei residenti. Eccoci dunque alla seconda semplificazione, quella dei 60 milioni di italiani che in realtà sono 60 milioni di residenti in Italia (Fig. 2: per la precisione 60.483.973 secondo l’ISTAT). I cittadini italiani residenti nel nostro paese sono infatti al di sotto dei 55 milioni e mezzo e, a meno di considerare quelli residenti nel resto del Mondo, difficilmente si potrebbe arrivare a quella cifra. Se poi si considera che nei 55 milioni e mezzo sono compresi anche gli italiani per acquisizione e i figli di coppie miste italiani dalla nascita appare chiara la complessità della situazione.

Allora sorgono spontanee alcune domande. Volutamente si fa riferimento a 60 milioni di italiani, considerando tutte le persone che vivono stabilmente in Italia, comprese quelle potenzialmente italiane, oppure è una semplificazione? E se così fosse, quale attenzione si intende rivolgere alle problematiche degli italiani (in quanto residenti in Italia) di cittadinanza straniera? Si intende, ad esempio, garantire loro pari opportunità di accesso a tutti servizi pubblici? Si ha intenzione di favorirne la piena integrazione e quali azioni si prevede di intraprendere a tale scopo?

Rilanciare le politiche di integrazione dei nuovi e dei futuri italiani

Dopo anni in cui i riflettori puntati sugli sbarchi hanno di fatto azzerato il dibattito sull’integrazione degli stranieri e degli italiani di origine straniera che vivono in Italia, sembra opportuno ricordare a tutti che la realtà è più complessa di quella rappresentata nella propaganda politica e in molti talk show. Nei primi otto mesi del 2018 gli arrivi si sono enormemente ridotti (meno di 20 mila) e quindi sarebbero senza dubbio di più facile gestione che in passato, appare quindi necessario (ri)mettere al centro dell’attenzione l’integrazione dei lavoratori migranti, dei profughi e delle loro famiglie, ma soprattutto dei loro discendenti, delle cosiddette seconde generazioni che rappresentano un capitale umano prezioso per un paese in rapido invecchiamento.

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