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Lettera alla redazione

Roma, 23 Febbraio 2105
Liceo “Lorenzo Cherubini” 

Elaborato in classe: l’estinzione dei nonni
Il Nonno. Figura mitologica antropomorfa, per metà uomo e per metà candito, cardine della società italiana a cavallo del XX secolo, appare sovente nelle foto ingiallite degli album di famiglia, tipicamente seduto in poltrona, in ”libertà vigilata” (dai figli), infinita la sua disponibilità, prodigo di attenzioni, causa principale della dieta ipercalorica italiana. Inizia a perdere il proprio ruolo sociale a partire dalla seconda metà del XXI secolo, quando a causa del protrarsi dell’attività lavorativa, era divenuto fragile e di modesto aiuto se non addirittura di vero e propri intralcio. 

Ancora incerta la causa principale dell’estinzione: tra le teorie più accreditate un cambio repentino del clima (sociale) provocato da alcune riforme che ne hanno reso impossibile la sopravvivenza, in quanto solo un precoce ritiro dal lavoro consentiva di vivere attivamente una decina di anni nella condizione di liberto a disposizione della famiglia.

Altri studiosi, invece, sostengono che il nonno, come era inteso nel tardo XX secolo, è stata una fugace apparizione, una discontinuità nella storia frutto di una congiuntura favorevole. Una sorta di Isola Ferdinandea che fa fugaci comparse e poi scompare.

La datazione più accreditata fa risalire la scomparsa intorno al 2070. Altri anticipano la datazione legandola al Gran Rifiuto di Benetto XVI al ministero petrino per ingravescente aetate, scelta da molti indicata come paradigmatica della necessità di non avere impegni oltre una certa età. Alcuni di questi sopravvissero all’estinzione, i c.d. benestanti, ma di scarsa consistenza numerica tanto da venire derubricati a vera e propria eccezione.

Da notare come sia asimmetrico il loro ruolo sociale: il nonno maschio, iper-prostatico, solitamente svolgeva più che altro mansioni di redistribuzione economica, quali la socializzazione dell’assegno pensionistico e generiche attività di cambusa. Era spesso sbeffeggiato e irriso, ritenuto un pessimo retore, sovente audioleso e ipovedente. La nonna femmina, invece, aveva concentrate in se una nutrita serie di responsabilità e rappresentava il vero fulcro della famiglia. Da citare il caso della super-nonna ovvero della madre della madre (momsquare o m2), una vera e propria mater familiae, dotata addirittura di poteri taumaturgici. Val la pena precisare che il nonno è tale solo se è un anziano abbiente con progenie, altrimenti è un “povero vecchio”.

Molti di essi erano bipedi, altri erano umanoidi (con parti meccaniche) grazie a molteplici ausili domotici, quali carrozzelle, stampelle, bastoni. Caricaturale nell’aspetto era non privo di un certo fascino. Le canute genti soffrivano di incoerenza e irrazionalità ed erano afflitte da un morbo endemico, l’herpes da contrappasso, per cui se ai propri figli avevano negato qualcosa (giocattoli insani, bibite gassate, tempo libero, denaro in cambio di false effusioni e dimostrazioni d’affetto) con i propri nipoti perdevano i freni inibitori e concedevano tutto, ebbri dell’eternità che quel “25% di patrimonio genetico” conferiva loro. 

Numerose ricerche hanno indicato che i nonnidi erano generalmente attivi e con numerose interazione sociali, tant’è che si sono rinvenute anche indicazioni terapeutiche per i pochi che venivano presi da apatia da mancanza di impegni. Come possiamo comprendere da numerose incisioni ed immagini ritrovate, erano tra i più intelligenti organismi del loro periodo, in quanto la relazione tra gli “anni lavorati” e quelli “non lavorati” era quasi pari a 1, rapporto mai raggiunto prima e andato rapidamente peggiorando negli anni successivi. Ovvero si sono concessi una “seconda giovinezza” oziosa e abbiente, ma forse non economicamente sostenibile.

Curiosa l’assonanza tra il termine “nonnidi” e la locuzione “no-nidi”, una sorta di sintesi linguistica della concorrenza tra i servizi familiari e quelli di cura. Atti pubblici sono stati rinvenuti recanti deliranti visioni di compartecipazione tra generazioni ai ruoli sociali e lavorativi. Alcuni genitori ricorrevano ai nonni come baby sitter per poter finire qualche attività lavorativa, per essere confermati in ruolo, per reggere la concorrenza sul mercato del lavoro. Particolarmente anomala la situazione nei primi lustri del secolo: i giovani iniziavano a lavorare molto tardi, quasi a 40 anni, per restare però sul posto di lavoro fino alla fine dei propri giorni.  

Solo chi aveva vicino i nonni poteva lavorare di più, uscire la sera, fare figli, far fare 3 mesi di mare ai piccoli, o anche, semplicemente, avere una casa. Questa pratica, contro-intuitivamente, ha rappresentato una non equa organizzazione sociale: pensate che non avere i nonni voleva dire avere vincoli economici e di tempo libero notevoli, in quanto raramente c’erano servizi di cura pubblici o convenzionati ed elastici in funzione delle esigenze delle famiglie. Quello che oggi appare ovvio e acquisito – come l’assistenza del figlio da parte di entrambi i genitori (alternativamente) fino al 10 anno di età in caso di malattia, il diritto al reddito di sussistenza indipendentemente dalla condizione occupazionale, la possibilità di comporre gran parte dell’offerta formativa tra opzioni scelte dai genitori (sport, musica, lingua, arte, cultura, religione, logopedia, ecc.) – a quei tempi era di là da venire. Addirittura si guardava al Nord Europa, con welfare inclusivo e servizi universali, come “gli ateniesi guardavano gli spartani”: simboli di relazioni carnali deboli, rudi e spicci nei modi, poco inclini alla “protezione preventiva” e all’indulgenza verso i “propri” figli e quindi, per banale deduzione, peggiori, cattivi, infelici.

La figura del nonno è stata per lo più episodica e presente in pochi paesi a cavallo del XX secolo. L’idea di un periodo di “non lavoro retribuito” in tarda età a titolo risarcitorio dei servizi resi venne a Bismarck solo alla fine dell’ottocento. Disse: “A che età mediamente muore un suddito dell’Imperatore … bene tutti quelli che superano quella età possono godere di una pensione sociale”. La previdenza, non ancora associata ai diritti individuali, era una concessione. Inutile dire che non si vedevano molti pensionati in giro. Solo cinquant’anni più tardi, in una Inghilterra sotto le bombe naziste, Lord Beveridge disegnò un sistema di assicurazione sociale, universale nella copertura e obbligatorio nella contribuzione, embrione dei sistemi di sicurezza sociale che si diffusero nei paesi occidentali nella seconda metà del XX secolo. Ma queste conquiste sociali sono state il frutto di tempi e uomini straordinari? Alcuni sostengono che siano semplicemente il risultato di maldestre applicazioni delle ideologie del ‘900. Successivamente, questo “spazio di risulta” nella vita dell’uomo, sconosciuto sia ai suoi predecessori che ai suoi posteri, tra l’età matura e la vecchiaia, è stato riempito da una funzione di solidarismo di prossimità. Individualismo o familismo allo stato puro, il contrario del fine cui ambiva l’assicurazione sociale che, peraltro, ha reso possibili quegli “anni liberi dal lavoro”.

A quei tempi la cortina di protezione familiare era senza soluzione di continuità e si esplicava fino alle soglie del lavoro, in cui le opportunità erano molto spesso dettate dalle conoscenze (dal network familiare) e i percorsi risultavano tanto più protetti e facilitati per i propri figli quanto maggiore era il ruolo economico e sociale della famiglia d’appartenenza. Punti di partenza così diseguali avevano portato alla inibizione degli strumenti di emancipazione e, conseguentemente, ad una crisi economica.

Forse ci si sente un po’ più soli oggi, forse i nostri figli hanno desiderato qualche volta una presenza familiare quando avevano paura di “non imparare una poesia”, forse non hanno sempre mangiato il “minestrone fresco tutti i giorni”, ma almeno siamo artefici della nostra esistenza, senza dover combattere con natali più o meno felici, senza dover avere rimorsi per aver scelto il tempo pieno a scuola, più socialisti e liberisti di quanto le forze politiche socialiste e liberiste siano riuscite a renderci.

Io non ho fatto né il militare né il nonno, … passi per il militare.

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