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Le politiche migratorie “a punti” nei paesi sviluppati

La proposta di rendere trasparenti i criteri selettivi che quasi tutte le politiche migratorie adottano nell’ammissione di migranti sul territorio nazionale, recentemente avanzata su Neodemos 1 merita una discussione approfondita. Per facilitarla è utile qualche accenno al funzionamento delle “politiche a punti” adottate da un crescente numero di paesi, alle logiche che le guidano, ai loro vantaggi e limiti. Il paese pioniere del sistema a punti fu il Canada, nel 1967, seguito dall’Australia nel 1989, dalla Nuova Zelanda nel 1991; nel Regno Unito e in Danimarca il sistema a punti è entrato in vigore nel 2008, in Olanda nel 2009.

         Il funzionamento è, in linea di principio, assai semplice, anche se l’applicazione può essere molto complessa. In sintesi, ogni candidato migrante viene valutato attribuendo un punteggio alle caratteristiche ritenute essenziali per lo sviluppo del paese, e, nel contempo, adatte a favorirne l’inserimento nel tessuto sociale2. Coloro che non raggiungono una soglia minima non sono presi in considerazione per l’immigrazione. Naturalmente le caratteristiche considerate debbono tener conto – in primo luogo – della loro rilevabilità e misurabilità (questa è facile, per esempio, per le caratteristiche anagrafiche, ma assai più difficile per le competenze linguistiche), ma soprattutto del consenso circa la rilevanza che ciascuna di esse ha nel determinare sviluppo e buon inserimento dei migranti.

 

Quale capitale umano?

         Qualche esempio tratto dai paesi che hanno introdotto le “politiche a punti” permette di comprendere i meccanismi adottati3. Il Canada – primo paese ad istituire il sistema – richiede una soglia minima di 67 punti, l’età conta fino a 10 punti (preferenza per i giovani); le qualificazioni accademiche contano fino a 25 punti (e fino a 5 punti extra quelle del coniuge) e 5 punti extra se acquisite nello stesso Canada; le competenze linguistiche fino a 24 punti; l’avere  familiari nel paese può aggiungere fino a 5 punti; da 15 a 21 punti conta l’esperienza di lavoro. In Australia e in Nuova Zelanda i sistemi sono simili (il punteggio minimo è pari a 100) ma con molte varianti: in Nuova Zelanda si valuta  più che in Australia il livello di specializzazione e l’esperienza lavorativa; si conseguono più punti con un alto livello d’istruzione del coniuge; conta anche avere familiari nel paese, mentre l’Australia da parecchia importanza alla sponsorizzazione da parte di una famiglia.

         Nel Regno Unito il sistema a punti si articola in diversi livelli (detti tier) ed è entrato in vigore solo per il tier 1 (specializzati): dei 95 punti del livello soglia, da 30 a 45 sono conseguibili per mezzo del titolo di studio e formativo (con 5 punti extra se la formazione è avvenuta in Gran Bretagna); l’esperienza lavorativa conta fino a 5 punti; le competenze linguistiche sono un requisito obbligatorio; l’età conta fino a 20 punti. Si dà inoltre particolare importanza (fino a 75 punti) ai guadagni conseguiti recentemente, considerati la prova provata che il candidato ha buone frecce al suo arco. Per il tier 2, che riguarda i lavoratori non specializzati, e la cui entrata in vigore è stata rimandata a causa della crisi, conta parecchio (fino a 50 punti su una soglia di 70) il fatto che ci sia una manifesta carenza di lavoratori nel settore; e contano anche i guadagni recenti (fino a 25 punti); sono necessarie anche adeguate competenze linguistiche. In Danimarca (soglia a 100 punti) si dà preminente importanza (da 30 a 80 punti) alle qualifiche accademiche, con punti aggiuntivi se queste sono state acquisite nel paese o nella regione (nord Europa) oppure in Università di alto prestigio; le competenze linguistiche (anche in altre lingue scandinave, tedesco o inglese) guadagnano da 5 a 30 punti, l’età da 10 a 15.   

         In sintesi si può osservare che le caratteristiche valutate con punteggi ricadono in cinque gruppi: livello d’istruzione, professionalità e specializzazione; esperienza di lavoro e guadagni conseguiti; competenze linguistiche nella lingua del paese d’immigrazione ma anche di altri paesi considerati importanti;  caratteristiche demografiche. In molti casi vengono valutate le capacità economiche – per investitori, pensionati o rentier; oppure le risorse disponibili per una prima fase d’inserimento. Sono possibili articolazioni e varianti: per esempio, potrebbero prendersi in conto le caratteristiche familiari in funzione della stabilità del migrante; l’esistenza di reti di appoggio, i programmi individuali di inserimento (iscrizione a corsi di formazione, di lingua e cultura ecc.).

 

Un principio, molte varianti

         I vantaggi dei sistemi a punti sono più d’uno. Una volta disegnate le regole, è un sistema imparziale e non manipolabile, che elimina pericolose discrezionalità. E’ trasparente e relativamente semplice da comprendere da parte di un’opinione pubblica adeguatamente informata, e trasmette l’idea che lo stato ammette chi è utile al paese e disponibile a diventare parte integrante della società che lo ospita. E’ un sistema flessibile, perché i punteggi possono essere variati e le caratteristiche esaminate, articolate e arricchite.

         Ma anche le difficoltà di costruzione del sistema sono notevoli. In primo luogo vi è quella di determinare, definire e valutare le caratteristiche del migrante. L’accertamento delle competenze linguistiche, per esempio, non potrebbe esimersi dalla somministrazione di test, non facili da organizzarsi. Così dicasi dell’accertamento delle capacità professionali, delle specializzazioni e via dicendo. Ma la difficoltà più grande è di natura teorico-politica: qual è il capitale umano del migrante più adatto a garantire lo sviluppo della società e minimizzando, nel contempo, i rischi di esclusione? In molti casi le politiche a punti tendono a selezionare le persone con maggior grado d’istruzione e con alta specializzazione – ma in molti paesi (pensiamo all’Italia) c’è anche necessità di buona e capace manodopera generica. Quando il sistema britannico sarà a regime, per esempio, verranno selezionati con criteri diversi coloro che “concorrono” all’entrata nella categoria degli altamente specializzati e coloro che invece si collocano in settore non qualificato. E, ancora, è preferibile – a parità di altre caratteristiche –  chi migra inserito in un gruppo familiare o chi è invece solo senza legami?

         Un sistema selettivo dovrà poggiare su due cardini. Il primo è quello di escludere, dai criteri di scelta o preferenza, considerazioni discriminatorie legate a genere, razza, etnia, religione, orientamenti sessuali o politici. Il secondo consiste nella determinazione delle caratteristiche preferenziali, per il tramite di un processo condiviso, non arbitrario o discrezionale..

 

 

Per saperne di più

1 – Massimo Livi Bacci, Riaprire il dibattito sull’immigrazione, “Neodemos”, 15/09/2010.

2 – Demetrios G. Papademetriou, Selecting Economic Stream Immigrants through Point Systems [http://www.migrationinformation.org/Feature/print.cfm?ID=602].

3 – OECD, International Migration Outlook – SOPEMI 2010, Paris, 2010, pp. 58-60.

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