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Le nascite premature e/o immature: tra evidenze scientifiche e problemi etici (*)

Nella valutazione del neonato, l’età gestazionale è considerata il parametro più indicativo di maturazione, cioè di potenziale vitalità, ma nel corso degli ultimi decenni il concetto di “nato morto”, conseguentemente all’aumento della sopravvivenza dei nati molto pretermine, è andato continuamente ridefinendosi.

 

Tra evidenze scientifiche…

Attualmente meno del 10% delle nascite avviene prime di 37 settimane di gestazione e poco più dell’1% prima di 32. È ben noto che ad una durata di gestazione progressivamente più bassa corrisponde un peso alla nascita sempre minore (immaturità) e un rischio di morte e disabilità più elevato: circa la metà dei decessi nel primo anno di vita e una buona parte di tutti gli handicap è relativo proprio ai nati molto immaturi, cioè di peso inferiore a 1500 grammi [Orzalesi, Cuttini 2005]. Il crescente buon esito dei neonati molto immaturi o con gravi malformazioni indica, d’altro canto, il verificarsi di progressi notevoli nella quantità e nella qualità delle cure prestate dai reparti di terapia intensiva neonatale (TIN), progressi che, però, non hanno interessato in egual misura tutte le aree del paese. Secondo i dati relativi ai CEDAP del 2005 (CErtificati Di Assistenza al Parto), i centri TIN più qualificati e attrezzati continuano ad essere più concentrati nel Nord, sempre in punti nascita di grandi dimensioni – con oltre 1000 parti annui –, per la quasi totalità dislocati in strutture pubbliche nelle quali si concludono la maggior parte delle gravidanze [Ministero della Salute, 2008]. Ciò in buona parte spiega i differenziali di mortalità che penalizzano ancora il Sud del paese dove, invece, sono più diffusi punti nascita medio-piccoli, meno spesso dotati di reparti di TIN qualificati e attrezzati, e dove quasi un terzo delle gravidanze si conclude in strutture che realizzano meno di 500 parti all’anno.

I progressi della medicina e il perfezionamento della tecnologia sollevano però problemi di ordine etico e deontologico perché consentono oggi di far sopravvivere neonati estremamente compromessi con pochissime garanzie sulla futura qualità della vita. Si tratta sempre più spesso di neonati di peso bassissimo (inferiore ai 750 grammi) che nascono a 22-25 settimane di gestazione. La proporzione di questi esiti della gravidanza è, infatti, raddoppiata negli ultimi venti anni, e si attesta intorno a 2 casi ogni 1000 nati vivi, e l’età gestazionale alla quale possono sopravvivere si sta progressivamente abbassando.

 

…e problemi etici

Inevitabilmente ciò ha sollecitato una maggiore attenzione degli esperti ai problemi assistenziali di questi neonati che ha dato luogo, in molti paesi, alla messa punto di indagini epidemiologiche che forniscono informazioni anche sugli “esiti” a distanza – nell’età infantile, nell’età scolastica e perfino nell’adolescenza – dei danni subiti per le cause che hanno portato alla nascita così anticipata dell’individuo.

Ci si interroga allora già da tempo se si deve fare sempre tutto ciò che è tecnicamente possibile e quando la medicina intensiva deve lasciare il posto a quella palliativa, e l’obiettivo terapeutico non deve più essere solo quello di salvaguardare ad ogni costo la vita, quanto quello di garantire il benessere, nell’immediato e per il futuro, o per lo meno di controllare la sofferenza. Tra i neonatologi, infatti, sorgono “perplessità e dilemmi etici, legali e sociali circa un adeguato utilizzo delle risorse tecnologiche in particolari situazioni di gravità clinica del neonato, quando cioè la sua morte può essere solo differita a prezzo di grandi sofferenze o quando si teme che la sua sopravvivenza sia associata a eventuali gravi disabilità” [Biasini 2007]. Ancora più difficili sono le decisioni che riguardano i neonati che soffrono di gravi disordini o deformità, quando queste sono associate al dolore che non può essere alleviato e per i quali non esiste alcuna speranza di miglioramento. La maggior parte dei neonatologi oltrefrontiera considera appropriata ed eticamente giustificata, in circostanze particolari, la limitazione dei trattamenti intensivi e, d’altra parte, già da tempo in alcune nazioni ha preso piede la politica di “non rianimare” i neonati fortemente a rischio grazie a legislazioni ad hoc (v. ad esempio, per l’Olanda, il protocollo di Groeningen del 2005) o, addirittura, di praticare interventi attivi di sedazione pesante in modo che non ci sia sofferenza [Verhagen, Sauer 2005]. Rimane il fatto che l’atto intenzionale di dare la morte al neonato (eutanasia pediatrica), incapace di esprimere un consenso informato, con l’obiettivo manifesto di risparmiargli sofferenze fisiche inutili, è vietato ovunque nel diritto europeo.

In Italia la questione, analizzata da un gruppo di lavoro istituito dal Ministro della Salute e meglio articolata nella cosiddetta Carta di Firenze, è stata portata all’attenzione del Comitato Nazionale per la Bioetica che ha recentemente espresso il proprio parere [Comitato Nazionale per la Bioetica, 2008]. Il dibattito medico ed etico investe la decisione di sospendere trattamenti salvavita e di rianimazione a carico di nati in età gestazionale estremamente bassa o comunque portatori di patologie altamente invalidanti, sulla base sostanzialmente del giudizio in merito alla loro futura e precaria “qualità della vita”.

 

 

Riferimenti bibliografici

Biasini A. [2007], Neonatal Euthanasia in Europe, in «Journal of Medicine and The Person», vol.5, n. 4, pp. 166-170.

Comitato Nazionale per la Bioetica [2008], I grandi prematuri. Note Bioetiche, Roma, 29 febbraio. http://www.governo.it/bioetica/testi/Prematuri.pdf

Ministero della Salute [2008], Certificato di assistenza al parto (CeDAP). Analisi dell’evento nascita – Anno 2005, Roma.

Ongaro F., Salvini S. [2009], Rapporto sulla popolazione, Bologna, il Mulino.

Orzalesi M., Cuttini M. [2005], Ethical Considerations in Neonatal Respiratory Care, in «Neonatology», 87, pp. 345-353.

Verhagen E., Sauer P. J. J. [2005], “The Groningen Protocol – Euthanasia in Severely Ill Newborns”, New England Journal of Medicine, vol. 352, n. 10, pp. 959-962.

 

 

 

(*) Brano tratto, con poche modifiche, da Ongaro e Salvini (2009, pp 79-81)

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