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Le adozioni internazionali in Italia: poche ma buone

Il numero delle adozioni internazionali, accresciutesi fino al 2010, è diminuito negli ultimi anni seguendo il trend internazionale. Sulla base dei dati del censimento demografico del 2011 Gerardo Gallo e Salvatore Strozza mostrano come le iniziali difficoltà di inserimento scolastico dei figli adottivi siano superate meglio di quanto avvenga per i figli degli immigrati  probabilmente per il sostegno delle famiglie di adozione, italofone e fortemente selezionate in positivo per condizione socio-economica.

1. Sempre meno adozioni internazionali: le possibili ragioni

Tra i giovani talenti italiani che di recente hanno messo a segno importanti successi nell’atletica leggera ci sono, oltre agli stranieri naturalizzati italiani, diversi casi di adozione internazionale: Yohanes, nato in Etiopia e adottato da una famiglia di Siena, e Yemanebehran, etiope anche lui, adottato da piccolo da una famiglia di Trento. L’Italia è prima in Europa e seconda solo agli Stati Uniti per numero di adozioni internazionali nel 2015. Secondo i dati della Commissione per le adozioni internazionali, i minori stranieri adottati nel nostro paese (fig. 1a) sono progressivamente aumentati fino al 2010 (4.130 casi), per subire poi un calo costante fino al 2017 (1.439 unità). L’impatto sulla popolazione di riferimento mostra un picco massimo nel 2010-2011 (circa 7 adottati per mille nati e per 100.000 residenti rispettivamente, e oltre 3 ogni 10.000 donne di 20-49 anni) e una flessione negli ultimi anni con valori che risultano in linea con quelli dei primi anni del 2000 (fig. 1b). Il progressivo calo delle adozioni internazionali risulta ancora più forte nel complesso dei 24 paesi a sviluppo avanzato dove i minori adottati passano da oltre 45.000 nel 2004 a poco più di 11.000 nel 2016.
Le lunghe attese per avere un figlio adottivo, la riproduzione assistita e la maternità surrogata, nonché l’introduzione di norme più rigide nei paesi di origine degli adottati, volte a privilegiare le soluzioni nazionali, ne rappresentano le principali cause. Quella dei minori stranieri adottati è, però, una realtà complessa: i disturbi funzionali e i ritardi nell’apprendimento rappresentano per i genitori adottivi i maggiori ostacoli da affrontare sia per l’integrazione dei bambini nel nuovo contesto familiare che per il loro inserimento nel sistema scolastico del paese di adozione.

2. Alla ricerca dei genitori e dei figli adottivi passando al microscopio i dati censuari

Combinando le informazioni sul luogo di nascita e la cittadinanza dei minori di 18 anni con quelle dei propri genitori residenti in famiglia al censimento del 2011 è stato possibile identificare e mettere a confronto i seguenti 4 gruppi di minori: 1) oltre 8 milioni di figli “biologici” nati in Italia da genitori entrambi italiani dalla nascita; 2) circa 565.000 figli di immigrati stranieri nati in Italia; 3) poco più di 315.000 nati all’estero ricongiunti o arrivati al seguito dei genitori immigrati; 4) circa 40.700 figli nati all’estero e italiani per acquisizione (e in minima parte ancora stranieri) con genitori entrambi italiani dalla nascita che, molto probabilmente, rappresentano lo stock dei minori stranieri adottati residenti al censimento del 2011.

3. Famiglie a confronto: i figli adottivi hanno genitori più ricchi e istruiti

Passando al microscopio i dati censuari si osserva un maggiore livello di istruzione e una migliore condizione economica delle coppie adottive che, rispetto ai genitori degli altri gruppi di minori, si caratterizzano come un vero e proprio gruppo selezionato in positivo. I genitori adottivi sono più istruiti della media dei genitori italiani: nel 43% dei casi almeno uno dei due genitori è laureato, contro il 23% tra i genitori italiani di ragazzi nati in Italia e tra il 13 e il 15% tra i genitori immigrati stranieri (fig. 2). Meno del 14% delle coppie adottive non ha conseguito un titolo di studio superiore alla scuola dell’obbligo, percentuale nettamente inferiore a quella registrata tra i genitori degli altri tre gruppi.

Anche la condizione economica appare nettamente migliore e a fare la differenza non è tanto il tasso di occupazione dei padri adottivi (85,4%), che è comunque più elevato rispetto a quello degli altri gruppi (tra 73 e 78,8%), quanto quello delle madri adottive (quasi 71%), nettamente superiore ai valori (tra 34 e 57%) registrati per le altre madri. Le coppie adottive hanno prevalentemente entrambi i partner che lavorano (62%), contro meno di un caso su due tra le famiglie italiane di ragazzi nati in Italia e meno di un caso su quattro tra quelle di immigrati stranieri, che hanno generalmente (meno del 60% dei casi) un solo produttore di reddito (tab. 1).

Appare quindi evidente come le famiglie adottive abbiano in media risorse culturali ed economiche che consentono di affrontare meglio delle altre famiglie qui considerate come termine di paragone l’inserimento nel nuovo contesto scolastico e di vita dei propri figli adottivi.

4. Figli adottivi a scuola: un difficile impatto verso un percorso normale o di successo

Tra i minori “italiani doc” il mancato conseguimento della licenza elementare nella classe di età 11-14 anni e del titolo di terza media tra quelli di 15-17 anni riguarda una piccola minoranza (rispettivamente lo 0,9 e l’1,8%), con percentuali leggermente più elevate tra i maschi (tab. 2). Tra i ragazzi di 11-14 anni sono proprio quelli adottati a far registrare la quota più elevata di casi di mancato conseguimento della licenza elementare (9,3%).

Lo svantaggio dei ragazzi adottati riguarda soprattutto quelli di 11-12 anni, che sono senza licenza elementare in proporzioni maggiori rispetto ai coetanei degli altri tre gruppi. Ma all’aumentare dell’età tale proporzione decresce con maggiore rapidità di quanto non si osservi tra le altre categorie di ragazzi, tanto che a 14 anni la proporzione di coloro che non hanno ancora terminato la scuola primaria si riduce a 0,5%, valore di poco superiore a quello dei coetanei nati in Italia da italiani (fig. 3a).

In linea con questo recupero è la situazione tra i ragazzi di 15-17 anni: quelli senza il diploma della secondaria di primo grado sono solo il 3,8% tra gli adottati, una proporzione nettamente inferiore rispetto a quella osservata tra le seconde generazioni (6,7%) e soprattutto tra i ricongiunti (oltre il 10%). È da osservare come proprio tra gli adottati si registri l’unico caso di diminuzione della proporzione di quelli che non hanno conseguito il titolo di studio immediatamente precedente, quando si passa dai ragazzi di 11-14 a quelli di 15-17 anni (da 9,3% a 3,8%). Anche tra questi ragazzi la quota di adottati senza titolo di scuola secondaria di primo grado diminuisce rapidamente nel passaggio dai 15 ai 16 anni, con valori (1,6 e 1,2% rispettivamente a 16 e a 17 anni) che diventano gli stessi dei ragazzi italiani e nettamente inferiori a quelli dei due gruppi di figli di immigrati (fig. 3b).


Il compimento della scuola dell’obbligo da parte dei ragazzi adottivi, per quanto ritardato, appare quindi diffuso allo stesso livello degli altri ragazzi italiani. Fondamentale è il ruolo svolto dalle famiglie adottive che, dotate di livelli di formazione e condizioni economiche nettamente più elevate rispetto delle altre coppie con figli, sembrano rappresentare un’importante garanzia dei diritti dei minori, anche in presenza di bisogni particolari e/o speciali.

Per saperne di più:

Commissione per le adozioni internazionali (2018), Coppie e bambini nelle adozioni internazionali. Rapporto sui fascicoli del mese di Aprile 2018, Istituto degli Innocenti, Firenze.

Gallo G., Mastroluca S., Strozza S. (2019), “Le adozioni internazionali in Italia: caratteristiche e condizioni degli adottati e dei genitori adottivi”, Minorigiustizia, (in corso di valutazione).

Plug E., Vijverberg W. (2003), “Schooling, Family Background, and Adoption: Is It Nature or Is It Nurture?”, Journal of Political Economy, vol. 3, n. 3: 611-614.

Vinnerljumg B., Lindblad F., Hjern A., Rasmussen F., Dalen M. (2010), “School performance at age 16 among international adoptees: A Swedish national cohort study”, International Social Work, n. 53: 510-527.

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