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L’anomalia del lavoro domestico in Italia

Tra le ragioni per cui in Italia i tassi di occupazione femminile e di fecondità sono particolarmente bassi rispetto alla media UE (rispettivamente 47% e 1,37 figli per donna contro 60% e 1.58), si cita spesso la mole di lavoro familiare, ovvero l’insieme di attività domestiche e di cura svolto dalle donne. A ben guardare, però, ciò che costituisce un’anomalia, o peculiarità se si preferisce, è il lavoro domestico tout court, e in particolare due tipi di attività: cucinare e pulire (con gli annessi e connessi di sparecchiare, apparecchiare, riordinare ecc.). schermata-2016-09-19-alle-16-40-04Da nostre analisi (si veda Carriero, Todesco, 2016, da cui sono tratte anche le successive analisi qui presentate e le spiegazioni proposte) sull’archivio dati Multinational Time Use Study¹, risulta che le donne italiane non hanno eguali nel tempo dedicato a queste attività: la bellezza (si fa per dire…) di 3h41’ al giorno di media (Figura 1).

Solo le spagnole si avvicinano a questa specie di primato, mentre quasi tutte le altre distano almeno un’ora o più. Vista la scarsa propensione degli uomini italiani a cucinare, lavare i piatti, pulire e riordinare, non sorprende quindi osservare che il divario di genere nel lavoro domestico risulti molto ampio nel nostro paese. schermata-2016-09-19-alle-16-40-27La stessa situazione invece non si osserva nel lavoro di cura, rispetto al quale le madri italiane (e in qualche misura i padri) non si discostano particolarmente dalla media (Figura 2). Dunque l’anomalia è proprio il lavoro domestico femminile e non si può spiegare con il fatto che le donne italiane hanno caratteristiche socio-demografiche (età, istruzione, condizione occupazionale, single/in coppia, ampiezza della famiglia) diverse dalle donne di altri paesi. Anche tenendo conto delle differenze nella composizione delle varie popolazioni (che pure esistono), l’anomalia del lavoro domestico in Italia permane.

Un fardello di questo genere potrebbe tradursi in un aggravio di stress, soprattutto per quelle donne che, al lavoro per la famiglia, sommano quello per il mercato. Potremmo cioè aspettarci di trovare una connessione tra lavoro domestico e benessere psichico (misurato come stress percepito) della donna. Tuttavia, analizzando i dati sull’uso del tempo dell’ultima indagine Istat disponibile (2008-09) non si trova alcuna relazione significativa. Anche a parità di una serie di caratteristiche individuali, fare più o meno lavoro domestico (sia in termini assoluti, sia di ripartizione con il partner) non risulta associato con un aumento o una diminuzione dello stress. Quest’ultimo cresce significativamente solo quando la soddisfazione per la divisione del lavoro domestico con il partner è bassa. La probabilità che una donna si dichiari sempre o spesso stressata è del 23% quando è molto o abbastanza soddisfatta della divisione del lavoro domestico con il proprio partner, mentre la stessa probabilità quasi raddoppia (sale al 42%) quando la donna non è per niente soddisfatta. Dunque ciò che conta sembra essere non quanto si fa, ma come lo si fa, cioè ­− semplificando un po’ − se di buon grado o controvoglia. Anche perché, se andiamo a guardare quanto lavoro domestico fanno le donne che si dichiarano soddisfatte della divisione, scopriamo che in media si fanno carico di circa l’80% del totale di coppia.

Le spiegazioni

Come si può rendere conto di questi dati un po’ paradossali? A nostro giudizio, ci si può ricondurre ad alcune spiegazioni di tipo culturale. In primo luogo, vanno considerati i significati simbolici di identità di genere associati alle attività domestiche. Una visione tradizionale dei ruoli di genere considera infatti tali attività il lavoro delle donne per eccellenza. Come noto, il nostro paese, pur in presenza di alcuni innegabili cambiamenti, continua a essere fortemente tradizionalista rispetto ai ruoli di genere; dunque, attività come la preparazione dei pasti e la pulizia della casa costituiscono ancora per molte donne elementi importanti della loro identità femminile, non incombenze a cui dedicare il meno tempo possibile.

Un altro fattore di cui tenere conto sono gli elevati standard di qualità nella preparazione del cibo e nella pulizia e nell’ordine della casa che caratterizzano l’Italia. La nostra tradizione culinaria e gastronomica è considerata un’eccellenza e numerosi studi (cfr. ad es. Montanari 2010) hanno messo in luce una vera e propria funzione identitaria della cucina in Italia. È ragionevole quindi ipotizzare che una cultura diffusa del mangiar bene influenzi anche la preparazione quotidiana dei pasti per la famiglia, con conseguente sostanziale investimento di tempo. Rispetto agli standard di pulizia e ordine, va considerato che la grande maggioranza delle famiglie italiane risulta proprietaria dell’abitazione in cui vive, che spesso costituisce la maggior parte del loro patrimonio. Data l’importanza di questo investimento a livello materiale e simbolico, non stupisce una particolare attenzione nel voler mantenere la casa pulita e in ordine.

Infine, un ulteriore elemento da considerare è l’importanza della religione nel nostro paese, che si accompagna a una concezione tradizionale dei rapporti di genere e della divisione dei ruoli e delle responsabilità tra uomini e donne. Come risulta da alcune nostre analisi, vi è un legame non trascurabile tra conformità alla tradizione religiosa a livello del contesto regionale e impegno delle donne nel lavoro domestico, anche a parità di diverse caratteristiche individuali. Dal momento che nel nostro paese l’adesione alla tradizione religiosa è tra le più alte d’Europa, non stupisce che le donne italiane dedichino così tanto tempo alle faccende di casa.

Che fare?

Come porre rimedio a questa anomalia che costituisce una delle cause della disuguaglianza di genere nel nostro paese? I cambiamenti sociali richiedono tempi lunghi, soprattutto quando implicano mutamenti di tipo culturale. Una maggiore collaborazione maschile nel lavoro domestico sarebbe auspicabile, ma ottenere questo risultato attraverso le politiche non è così facile. L’introduzione del congedo di genitorialità dedicato ai padri può favorire un maggiore coinvolgimento di questi nella cura dei figli, ma risulta molto più difficile intervenire in modo simile rispetto ad attività come cucinare e pulire. In alternativa, si potrebbe ridurre il carico di lavoro delle donne incentivando l’acquisto di collaborazione domestica sul mercato a condizioni particolarmente vantaggiose. Ma anche una misura del genere, che pure solleva diverse criticità sotto molteplici aspetti, potrebbe non bastare. Le nostre analisi evidenziano infatti che molte famiglie italiane rinunciano a rivolgersi a una colf anche quando potrebbero permetterselo. Maggiori speranze possono essere riposte nel cambiamento generazionale, ma questo è appunto un processo di lungo periodo.

Riferimenti bibliografici

Montanari M. (2010) L’identità italiana in cucina, Laterza, Roma-Bari.

Carriero R., Todesco L. (2016) Indaffarate e soddisfatte. Donne, uomini e lavoro familiare in Italia, Carocci, Roma.

¹È una collezione armonizzata di indagini sull’uso del tempo condotte in vari paesi del mondo in diversi periodi. Cfr. http://www.timeuse.org/mtus.

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