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La riforma dell’’immigrazione negli Stati Uniti: è giunta l’ora?

Il 21 Maggio scorso, il Judiciary Committee del Senato degli Stati Uniti ha approvato la bozza della Legge S. 744, “Border Security, Economic Opportunity and Immigration Modernization Act”, una riforma di ampia portata, come dicono i proponenti e come testimoniano le oltre 800 pagine dell’articolato. L’aspetto politicamene più rilevante è che si tratta di una  proposta avanzata da 8 senatori, 4 democratici e 4 repubblicani, ed è fortemente sostenuta dal Presidente. Mentre è certo che la discussione in Senato sarà lunga ed accesa, e che la bozza riceverà molte modifiche, ci sono buone speranze che ciò che non era riuscito nei precedenti tentativi  possa finalmente avere esito positivo. Ed è tempo che così sia: l’ultima vera riforma del sistema risale al 1965, quando vennero abolite le discriminazioni che ostacolavano l’immigrazione di non europei. In mezzo secolo è profondamente mutato il contesto nazionale e mondiale, e le antiche normative si sono mostrate sempre più inadeguate a gestire il fenomeno migratorio americano che ha gli Stati Uniti come epicentro. Sono oltre 11 milioni i cosiddetti “unauthorized residents”, cioè gli irregolari. Pur con motivazioni ed interessi divergenti, democratici e repubblicani concordano sulla necessità della riforma: i primi debbono soddisfare le richieste di un elettorato in rapida espansione, costituito dalle “minoranze” immigrate che alle ultime elezioni hanno votato in stragrande maggioranza per Obama. I secondi non possono alienarsi completamente un elettorato sempre più decisivo nelle elezioni.
11 milioni di irregolari
Buone e ben fondate stime valutano in otre 11 milioni (2011) gli irregolari in suolo americano – un numero pari alla popolazione del settimo stato dell’Unione, l’Ohio. Molti sono negli Stati Uniti da lungo tempo; si sono sposati ed hanno avuto figli; hanno lavori e fonti di reddito leciti; pagano le tasse; sono essenziali in molti comparti dell’economia. Nella Tabella 1 si riportano alcune caratteristiche degli irregolari. La loro struttura per età è abbastanza particolare: i minori con meno di 19 anni sono appena il 10% del totale (contro oltre il 20% dell’intera popolazione USA), ma questa bassa proporzione non dipende dalla bassa natalità, ma dal fatto che lo “jus soli” rende cittadini i nati in America, pur se figli di irregolari. Appena uno su cento sono gli anziani oltre  i 65 anni; il grosso degli immigrati – oltre i tre quarti –  ha tra 19 e 45 anni. Circa l’80% degli uomini tra 19 e 65 anni sono occupati, mentre le donne occupate nella stessa fascia di età sono meno del 50%; il tasso di disoccupazione (8%) è all’incirca pari a quello dell’intera popolazione. La vulnerabilità degli irregolari è però evidente sotto altri profili: quasi un terzo degli adulti è sotto la linea di povertà; solo tre irregolari su dieci hanno una buona conoscenza dell’inglese e cinque su dieci conoscono poco o nulla la lingua. Ancora più inquietante è il fatto che il 32% dei minori ed il 71% degli adulti siano privi di assicurazione sanitaria: una piaga che colpisce anche la popolazione nata negli Stati Uniti, ma in misura molto inferiore (19 e 7%).
Negli ultimi anni di crisi l’afflusso degli irregolari – stimato in mezzo milione all’anno nella prima decade del secolo – si è molto contratto; l’immigrazione netta dal Messico è stimata vicino allo zero dal 2007 in poi. Questo dovrebbe tranquillizzare gli oppositori della riforma che temono che la regolarizzazione, sia pure molto selettiva nell’articolato della proposta di legge, incentivi nuovi afflussi di irregolari. Come vedremo, la proposta è molto prudente: se c’è un sospetto, infatti, che pone in allarme l’opinion pubblica americana è che la riforma nasconda una amnesty (sanatoria) di fatto per coloro che hanno violato la legge.
Le linee della riforma
La complessità della riforma può essere sintetizzata solo nelle sue linee generali. In primo luogo, essa apre un percorso che può condurre la  maggioranza degli irregolari alla residenza legale, rappresentata dal possesso della “Green Card”, che permette di risiedere negli Stati Uniti a tempo indeterminato, di cambiare residenza e conservarla anche dopo un periodo di assenza all’estero, di lavorare regolarmente. Viene  agevolata la riunificazione delle famiglie, restringendone però il perimetro ai membri di primo grado. Viene incentivata l’immigrazione di qualità, eliminando alcuni tetti numerici, rendendo possibile l’ammissione di persone con alta specializzazione senza richiesta di un datore di lavoro. Vengono introdotti meccanismi a punti per la valutazione delle domande. Si tende a rendere più rapido l’esame dei dossier accumulati degli aspiranti migranti, valutati in diversi milioni di casi. Si mira a comprimere i tempi di attesa per le riunificazioni familiari, attualmente lunghissimi anche per i residenti legali (oltre due anni per un coniuge od un figlio minore; oltre 8 anni per un figlio adulto non sposato).
La nuova legge – che dovrebbe entrare a regime nel 2018 – implica un aumento del flusso annuale di nuove Green Cards (escludendo i lavoratori stagionali, le regolarizzazioni e l’esaurimento degli arretrati)  da poco più di un milione nel 2012 ad una cifra compresa tra 1,55 e 1,75 milioni nel 2018.
L’immigrazione per lavoro La nuova legge dovrebbe consentire un sensibile aumento dell’immigrazione altamente specializzata. Per alcune categorie – per esempio tutti coloro che sono in possesso di titoli di studio STEM (curricula scientifici), per altre professioni altamente specializzate, per gli imprenditori – sono eliminati i tetti numerici. Per altre categorie specializzate, i tetti vengono considerevolmente innalzati, così come per i lavoratori generici, oggi quasi totalmente esclusi. Una ulteriore innovazione sta nella adozione di un sistema basato sul merito, con due sistemi di punteggi (uno per i più qualificati, una per i generici) che pur con differenti parametri, favoriscono quanti hanno già esperienza di lavoro negli Stati Uniti oppure in possesso di capacità professionali fortemente richieste.
Infine, l’aspetto più interessante è quello inerente alla regolarizzazione. Agli irregolari – salvo coloro che sono esclusi per motivi giudiziari – viene concesso lo status di RPI (Registered Provisional Immigrant, col pagamento di una multa di $ 1000),  col quale all’immigrato è concesso di lavorare e viaggiare regolarmente. Lo status vale 6 anni ed è rinnovabile; nella maggior parte dei casi saranno necessari 10 anni per l’accesso allo status di LPR (Legal Permanent Resident) e la concessione della Green Card (condizionata ad un test di conoscenza dell’inglese e dei rudimenti della cultura del Paese). Il percorso è dunque assai lungo, anche se tutti possono percorrerlo, e tutti possono scrollarsi di dosso (entro un anno dall’approvazione della legge) il loro status vulnerabile di irregolare.
Funzionerà?
L’aspetto positivo della riforma è il vasto sostegno nei due schieramenti dovuto non solo alle relative strategie politiche, ma alla evidenza del malfunzionamento delle normative attuali. Tuttavia l’accordo bipartisan si basa anche sul difficile equilibrio tra la necessità di regolarizzare un’ampia fascia della popolazione e la richiesta di rafforzare ulteriormente la sicurezza delle frontiere (border security) considerata insufficiente e piena di smagliature (soprattutto per quanto riguarda il controllo di coloro che, pur con un visto regolare, rimangono nel paese dopo la scadenza del medesimo). Anche la lentezza con la quale si prospetta l’accesso alla Green Card degli irregolari ammessi al nuovo status RPI desta diffuse incertezze. Opposizione e perplessità solleva la rigida limitazione posta alla riunificazione dei nuclei familiari (limitata ai figli minori e ai genitori) e la lentezza nell’esame dei dossier che porta a ritardi ingiustificabili e alla crescita dello stock di posizioni arretrate. Altre critiche riguardano la capacità della futura normativa di adattare i flussi al ciclo economico.  Infine, il faticoso compromesso raggiunto in Commissione subirà sicuramente numerosi aggiustamenti e modifiche nell’iter legislativo successivo che rischiano di snaturarne l’essenza.
Un cammino di riforma è però stato iniziato, e questo conduce a maggiore apertura e flessibilità del sistema migratorio. Mentre l’Europa attua politiche sempre più restrittive, gli Stati Uniti vanno in direzione contraria. Mentre in Europa (includendo anche i paesi non UE) la demografia si restringe – dai 740 milioni del 2012 ai 702 del 2050 ( –5%) – negli Stati Uniti continua a prosperare – dai 312 milioni del 2012 ai 400 del 2050 (+28%). Mentre in Europa si affermano i movimenti xenofobi o fieramente nativisti, e le politiche ne subiscono il contraccolpo, negli Stati Uniti (dove pure questi movimenti esistono e dove tra circa 30 anni le “minoranze” saranno diventate maggioranza) si avviano in direzione contraria.
Per saperne di più
Madeleine Sumption e Claire Bergeron, Remaking the US Green Card system: Legal immigration under the Border Security, Economic Opportunity, and Immigration Modernization Act of 2013, Migration Policy Institute, Issue Brief, n. 6, June 2013
Demetrios  G. Papademetriou, The Fundamentals of Immigration Reform, “The American Prospects”, http://prospect.org/article/fundamentals-immigration-reformRandy Capps e altri, A Demographic, Socioeconomic and Health Coverage Profile of Anauthorized Immigrants in the US, Migration Policy Institute, Issue Brief n. 5, May 2013

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