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Nonostante l’Unione Europea dedichi attraverso la Politica Agricola Comune il 40% del proprio budget per promuovere lo sviluppo rurale e mantenere la popolazione nelle campagne, l’agricoltura ed il mondo rurale in Europa soffrono da decenni un importante fenomeno di declino, invecchiamento ed abbandono. Schermata 2015-12-10 a 15.15.43Il fenomeno è paradossalmente più grave nei paesi dell’Europa mediterranea, per i quali il cibo ed il paesaggio rappresentano due pilastri importanti della cultura e dell’economia locali (si pensi all’importanza che hanno per il turismo). Secondo alcune proiezioni, stando ai ritmi attuali, Italia e Spagna si starebbero apprestando a diventare i primi paesi europei per numero di immigrati prima della metà del secolo (Corrado, 2012); ed in generale nei paesi euro-mediterranei la popolazione rurale è più anziana della media rurale nella UE, e solo il 10% degli imprenditori agricoli ha meno di 35 anni, sulla scia di una tendenza in atto da diversi anni.

L’immigrazione nelle campagne

Un elemento chiave che ha permesso di limitare lo spopolamento delle campagne e del lavoro agricolo è stata l’immigrazione da altri paesi, ed oggi gli stranieri, legali ed illegali, rappresentano una porzione sempre più importante della popolazione rurale. Questo vale per tutti i paesi dell’Europa mediterranea, anche se con forme e dinamiche diverse. Per il caso italiano, una ricerca recente indica che “i lavoratori stranieri contribuiscono in modo strutturale e determinante all’economia agricola del paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire i primati del Made in Italy alimentare nel mondo” (Coldiretti, 2013).

Queste dinamiche sembra destinate a crescere, per questioni demografiche e congiunturali. La popolazione immigrata nelle aree rurali ha infatti proporzioni in età attiva e tassi di fecondità che sono superiori alla media della popolazione residente. Durante la crisi economica molti stranieri che hanno perso il lavoro in altri settori, si sono rivolti al mondo agricolo per trovare un lavoro, ed anche per il minor costo dell’abitazione e dell’ alimentazione. I recenti flussi di rifugiati e profughi dei conflitti in corso sulle altre sponde del Mediterraneo hanno inoltre ingrossato le fila degli stranieri capaci e disposti a lavorare nelle campagne.

Nelle aree di agricoltura intensiva questo fenomeno è particolarmente evidente, e nelle regioni meridionali di Andalusia, Sicilia, Puglia e Calabria dove le produzioni agricole hanno scala ed intensitá importanti vi è stata una vera e propria esplosione di manodopera straniera negli ultimi due decenni; terre tradizionalmente di emigrazione fino a qualche decennio fa, si ritrovano ora a ricevere e gestire un importante flusso migratorio all’interno dei propri territori.

Questo fenomeno caratterizza anche le aree di montagna, dove le attività di produzione e gestione delle risorse naturali presentano altre dinamiche ed intensità lavorative. In tante aree montane di Italia, Spagna e Grecia i lavori forestali o la pastorizia sono in maggioranza eseguiti da lavoratori stranieri. In Valle d’Aosta quasi il 75% dei lavoratori impiegati nell’allevamento di bestiame sono stranieri¹, mentre il dato sale fino al 90% per gli Abruzzi; nelle aree interne dell’Italia centrale il patrinomio forestale è prevalentemente gestito con forza lavoro immigrata. Ma non si parla solo di lavoratori e di produzioni, ma di nuovi cittadini che contribuiscono a mantenere ed in certi casi ripopolare paesi e borghi che da anni vedono la popolazione locale invecchiare o emigrare. Come nel caso dell’Appennino centrale, dove la popolazione straniera rappresenta dal 5 al 12% della popolazione rurale, e tra il 10 e il 20% di quella scolastica , giocando pertanto un ruolo importante nel futuro di queste aree (SNAI, 2015).

Le aziende agricole e il difficile ricambio generazionale

Il settore primario soffre infatti di un debolissimo ricambio generazionale, e i figli difficilmente continuano il mestiere dei padri. E’ auspicabile che molti di questi lavoratori stranieri riescano a rilevare le aziende dalla generazione precedente, altrimenti le dinamiche di spopolamento e riduzione del settore continueranno inesorabili. Recenti studi (INEA, 2013 per l’Italia) indicano che questo ‘passaggio di consegne’ non sta avvenendo, e gli immigrati restano come operai agricoli a vita, oppure decidono di passare ad altre attività, trasferendosi altrove. Questa difficoltà di articolare l’integrazione dei lavoratori stranieri con il ricambio generazionale rischia di avere importanti conseguenze per la produzione di cibo ed anche per il mantenimento del territorio, ricco e fragile, nel contesto mediterraneo. E’ un fenomeno in cui tutti abbiamo da perdere: i lavoratori che non intravedono alcuna ascesa sociale, gli imprenditori che non sanno a chi passare la propria azienda al momento del pensionamento, il settore che perde operatori e capacità e la società più in generale che non riesce a capitalizzare in maniera sostenibile i grandi cambiamenti in corso.

L’evidenza degli invisibili
Schermata 2015-12-10 a 15.16.44Anche se era difficile trovarne traccia nelle ‘narrazioni’ degli stand di Italia, Grecia, Spagna o Francia ad Expo 2015, si ritiene che più di un operatore su tre nell’agricoltura di questi paesi sia di origine straniera. Questa presenza sempre più nutrita e massiccia di stranieri nelle campagne europee è un fenomeno evidente da tempo per chi vive ed opera nel mondo rurale, ed inizia ad essere studiato ed analizzato anche dal mondo scientifico ed accademico (Kasimis, 2010; Nori e de Marchi, 2015; Corrado e Caruso, 2015).

Queste dinamiche scardinano la percezione del mondo rurale come statico, immobile, tradizionalmente chiuso e aprono scenari e prospettive nuove ed importanti per lo sviluppo rurale ed il governo del territorio. Il coinvolgimento e l‘integrazione della popolazione immigrata in una logica di cittadinanza attiva rappresenta, per tante aree interne della regione euro-mediterranea, un opportunità a cui gli attori del mondo agricolo e gli amministratori locali dovrebbero guardare con interesse, per rendere operativi i principi di lotta allo spopolamento ed il sostegno ad attività che valorizzano le produzioni sostenibili e la gestione del territorio – come enunciato da tante politiche nazionali ed europee. Questo significa anche facilitare, laddove possibile e richiesto, il passaggio dei lavoratori stranieri da manovalanza ad allevatori ed imprenditori, contribuendo a rinforzare il settore con aziende di piccole e medie dimensioni, che sono quelle che più hanno sofferto la crisi negli ultimi decenni, permettendo così il recupero di forme di produzione a dimensione familiare. In questa prospettiva la sostenibilitá dello sviluppo rurale potrebbe dipendere non solo di una sistema di aiuti, ma da una più vasta azione politica, che includa la revisione delle politiche agricole, abitative, migratorie e professionali – oltre ad iniziative ed investimenti adeguati.

Bibliografia:

Coldiretti, 2013. Documento presentato alla presentazione del XXIII Rapporto Immigrazione 2013 di Caritas Migrantes.

Corrado A., Caruso F., 2015. Migrazioni e lavoro agricolo: un confronto tra Italia e Spagna in tempi di crisi. In: Colucci M., Gallo S., Tempo di cambiare. Rapporto 2015 sulle migrazioni interne in Italia. Donzelli editore

Corrado A., 2012. Migrazioni e problemi residenziali nelle piane di Calabria. In: Osti G. e Ventura F., , 2012 (a cura di), Vivere da stranieri in aree fragili. L’immigrazione internazionale nei comuni rurali italiani, Liguori, Napoli

INEA, 2013. Le imprese straniere nel settore agricolo in Italia. Istituto Nazionale Economia Agraria. Roma

Kasimis C., 2010. Demographic trends in rural Europe and migration to rural areas. AgriRegioniEuropa 6/21

Nori M., de Marchi V., 2015. Pastorizia, biodiversità e la sfida dell’immigrazione: il caso del Triveneto. Culture della Sostenibilità. VIII 15/2015

SNAI, 2015. Dati del Programma Aree Interne 2014-2020, l Dipartimento Sviluppo e Coesione Economica del Ministero dello Sviluppo Economico. Roma

¹intervista per Dislivelli a S. Trione di CREA.

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