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Donne e Violenza

Dopo i dibattiti seguiti alle celebrazioni per la Giornata Internazionale della Donna (8 marzo 2007), sfumano le riflessioni e sono dimenticati i dati relativi al problema più grande che affligge la popolazione femminile: la violenza, fisica e psicologica. Anche le Nazioni Unite, con le parole pronunciate nel 2006 dal Segretario Generale: «La violenza contro le donne deve essere combattuta con un grande e pubblico impegno. Ma il problema non riceve ancora l’attenzione e le risorse che merita» (http://www.un.org/events/women/iwd/2007/background.shtml) sottolineano sia la rilevanza del fenomeno, sia l’incomprensibile disattenzione che, per il resto dell’anno, caratterizza l’opinione pubblica.

Molte donne subiscono violenze fisiche, psicologiche, emotive e sessuali proprio nell’ambito in cui dovrebbero sentirsi più sicure: le loro case. Soprattutto in molti paesi in via di sviluppo, le donne sono, fin da bambine, sottoposte a una serie di “condizionamenti culturali” tesi a far loro considerare tollerabile e giusto l’abuso, in particolare quello domestico. Oltre a causare lesioni fisiche e seri problemi psicologici, queste violenze possono incidere anche sulla sfera riproduttiva e contraccettiva, limitando l’autonomia decisionale delle donne. Ad esempio, una scarsa capacità di proteggersi dal punto di vista contraccettivo può innalzare il rischio di contrarre l’HIV/AIDS (cui le donne sono già, fisiologicamente, più esposte) e altre infezioni sessualmente trasmissibili. La violenza sessuale può anche portare a gravidanze indesiderate e quindi, a livello aggregato, rende più difficoltoso il calo nella fecondità, dove questa è ancora troppo alta. Inoltre, l’abuso sessuale, se subito durante l’infanzia o l’adolescenza, aumenta la probabilità che le donne siano coinvolte anche da adulte in relazioni dalle quali riceveranno ancora violenza e sopraffazione, fisica e psicologica. La tolleranza e l’esperienza della violenza domestica rappresentano una barriera enorme all’autonomia delle donne in tutte le sfere della vita sociale e rallentano il processo di empowerment femminile – concetto che in italiano si potrebbe tradurre come “accrescimento della possibilità di gestire attivamente la propria vita”. I riflessi sono negativi sulla salute delle donne stesse e dei loro figli, e quindi, in sintesi, anche sullo sviluppo umano delle generazioni successive.
In certi paesi, oltre la metà delle donne subisce violenza
Mentre le manifestazioni della violenza contro le donne e le ragazze variano con il contesto sociale, economico e culturale, è chiaro che questi comportamenti, e le conseguenze fisiche e psicologiche che ne derivano, rimangono una realtà devastante in tutte le parti del mondo. La ricerca, i dati e le testimonianze universalmente fornite dalle donne ne costituiscono la prova.
Nell’ambito del progetto Demographic and Health Survey[1] sono stati dodici i paesi che hanno introdotto nelle indagini domande sia sulla violenza fisica sulle donne – intendendo con essa ogni atto aggressivo, dalle spinte, agli schiaffi, fino alla minaccia e all’uso di armi –, sia sulla violenza sessuale, che include quei comportamenti che inducono a compiere atti sessuali assolutamente non voluti.
Come appare dal grafico riportato, il 20% delle intervistate in India, e addirittura il 60% in Bolivia e in Zambia, hanno riferito episodi e esperienze traumatiche fisiche e/o sessuali subite nel corso della loro vita. Il ruolo assunto dai partner è risultato preponderante e indicato come origine delle violenze dal 18% delle donne coniugate in Bangladesh, fino al 54% in Bolivia.
Uno degli aspetti più sconcertanti è l’accettazione femminile dei comportamenti violenti e persecutori. Dalle indagini, infatti, non si colgono solo gli episodi di violenza, ma anche la percezione soggettiva delle vittime, che dichiarano, in proporzioni talvolta molto elevate, di ritenere giusto che il loro partner le “punisca” per mancanze, disobbedienze o errori commessi. Secondo i dati di una recente indagine svolta in Turchia (nel 2003), paese da lungo tempo “secolarizzato” e cerniera fisica e culturale tra Europa e Asia, il 39% delle donne considera accettabile che il marito le percuota. E quasi 1/3 delle intervistate giustifica la violenza in caso di disubbidienza. Sono le donne che si sono sposate molto giovani e quelle con un elevato numero di figli a presentare il maggior senso di “rassegnazione”.
Se le norme giuridiche a protezione delle donne sono ormai diffuse quasi ovunque, è l’applicazione delle leggi che ancora manca. In questo senso, le tradizioni mascherate da forme di salvaguardia dell’identità culturale divengono abusi che ledono i diritti umani e perpetuano le disuguaglianze di genere, di cui la violenza è la manifestazione più terribile.
L’eliminazione della violenza contro le donne, che rimane una delle sfide più serie e più urgenti del nostro tempo, deve quindi partire dall’istruzione delle giovani generazioni, bambine e bambini. Alle prime, per costruire un percorso di autostima e di autodeterminazione che consenta loro autonomia, indipendenza e crescita di capitale umano; ai secondi, per insegnare il rispetto dell’uguaglianza di genere.
E l’Italia?
La violenza sulle donne tuttavia non è un problema limitato ai paesi in via di sviluppo. Riguarda, secondo i dati resi pubblici dall’Istat (2007), oltre 6 milioni di donne italiane in età compresa tra i 16 e i 70 anni che hanno subito, nel corso della vita, episodi di abusi fisici. Si tratta di cifre imponenti, una proporzione pari ad 1/3 di donne in questa classe di età. Circa 5 milioni hanno subito violenze sessuali (23,7%) e quasi 4 milioni violenze fisiche (18,8%). Quasi il 5% – pari a circa 1 milione di donne – ha subito uno stupro o un tentativo di stupro e molti degli episodi narrati, anche in Italia, sono compiuti dal partner. Il quadro della violenza sulle donne tra le pareti domestiche (pari al 68% del totale) non è poi tanto dissimile da quanto illustrato per i paesi in via di sviluppo.
Le conseguenze sono impressionanti: ferite gravissime per 1 donna su 4, in qualche caso timori espressi per la propria vita, sempre la percezione dichiarata della violenza psicologica associata all’abuso fisico o sessuale. Inoltre solo una piccola parte (il 18%) delle donne che hanno subito violenza considera l’episodio di cui sono state vittime un reato. Ancora minore, poi, la proporzione (il 7%) di coloro che hanno denunciato il fatto. Il silenzio delle vittime è il simbolo dell’angoscia che spesso accompagna le donne anche nelle società socialmente avanzate e formalmente prive di quelle disuguaglianze di genere che contraddistinguono i paesi in via di sviluppo.

1 Si tratta di un progetto che prevede indagini in svariati paesi in via di sviluppo basate su un comune questionario e una comune strategia campionamento, tese alla raccolta di informazioni comparabili sulla fecondità e la salute materno-infantile.

Per approfondimenti si possono consultare i siti:
PDFSTAMPA

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