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Disuguaglianze socioeconomiche di mortalità in Italia: una stima difficile

Il primo report nazionale sulle disuguaglianze di mortalità per condizione socioeconomica fu pubblicato in Italia dall’Istat nel 1990. Lo studio era basato sul collegamento nominativo (record linkage) tra il censimento del 1981 e i certificati di morte nel 1981-1982 [1]. Dieci anni dopo lo studio fu ripetuto [2]. Dall’analisi emersero cambiamenti inaspettati nelle disuguaglianze di mortalità per livello di istruzione che, nel periodo tra i due studi, erano aumentate tra gli uomini di età 18-74, mentre erano diminuite tra le donne. In particolare, era scomparso il vantaggio di sopravvivenza delle donne laureate sulle donne diplomate.

La peculiarità italiana

Tra le principali cause di questo peculiare andamento si ipotizzano fattori legati al fumo [3]. In Italia, infatti, negli anni ’80 e ’90 – e contrariamente agli uomini – la quota di fumatrici era maggiore tra le donne con istruzione elevata rispetto alle donne con istruzione bassa. [4]. Studi successivi mostrarono che l’associazione tra alto livello di istruzione e abitudine al fumo tendeva ad affievolirsi nelle generazioni più giovani, man mano che l’abitudine di fumare si diffondeva tra le donne di istruzione bassa [5].
Studi comparativi internazionali nello stesso periodo rivelarono anche altre peculiarità del caso italiano, dove le disuguaglianze socioeconomiche in mortalità tendevano ad essere più piccole di quelle registrate nei paesi nordici e dell’Europa continentale. Uno studio alla fine degli anni ’90 mostrava come in Italia, tra gli uomini di età 30-44, il rischio di mortalità tra i lavoratori manuali fosse del 35% più alto di quello dei lavoratori non manuali, mentre in altri paesi tale differenza risultava più marcata: per esempio era del 76% in Finlandia, del 46% in Inghilterra e del 45% in Svizzera [6].
Riguardo le cause di morte, l’Italia, sorprendentemente, mostrava disuguaglianze socioeconomiche molto piccole nella mortalità cardiovascolare, gruppo di cause a cui oggi viene attribuita la maggiore componente della disuguaglianza socioeconomica totale in mortalità. Al contrario, l’Italia si caratterizzava per più ampie differenze sociali nella mortalità dovuta ai tumori, con l’ eccezione del tumore al polmone [7].

L’interruzione della serie storica

Sfortunatamente a partire dal censimento del 2001 l’Istat ha smesso di effettuare il linkage tra i dati censuari e quelli dei certificati di morte, cosi che la più importante fonte di informazione per l’analisi di questo fenomeno a livello nazionale è venuta a mancare. Tutte le successive analisi, dunque, hanno dovuto basarsi su dataset territoriali o settoriali e trovare altri modi per stimare in qualche modo la mortalità per classe sociale in Italia.
Da un’analisi dei dati del Work Histories Italian Panel è emerso un significativo differenziale nella speranza di vita a 35 anni [1] secondo la classe occupazionale [8], come mostrato in figura 1. Per esempio tra gli uomini, se gli imprenditori a 35 anni vivono, in media, altri 46,2 anni (cioè 81,2 anni in totale), la classe operaia non specializzata invece, vivrà in media solo fino a 78,6 anni, e cioè 2,6 in meno. Differenze esistono anche tra le donne ma sono meno marcate. Tuttavia, questo tipo di dati soffre di problemi di incompletezza di informazione sulle storie lavorative [9]. Inoltre i risultati, riferiti solo ai segmenti di popolazione ufficialmente attivi, non si possono generalizzare alla popolazione totale.
Altri studi si basano su dati di linkage anonimo tra censimento e anagrafe per popolazioni locali, come ad esempio lo Studio Longitudinale Torinese e lo Studio Longitudinale Toscano. Dato che il record-linkage a livello nazionale è stato interrotto dopo il 1991, la maggior parte degli studi comparativi internazionali sul fenomeno delle disuguaglianze in mortalità da quel momento in poi fa riferimento a questo tipo di fonti per quanto riguarda l’Italia. Per esempio, negli anni ’90, contrariamente a quello che succedeva nei paesi nordici e in Inghilterra, a Torino la mortalità per cause cardiovascolari diminuiva più velocemente tra le classi occupazionali manuali che tra quelle non manuali [10], come mostrato in tabella 1.

Paese Classe lavorativa Tasso di mortalità (per 100 000)* Riduzione percentuale 1993-1983
1981-1985 1991-1995
Finlandia non-manuale 238 131 -45 %
manuale 344 246 -28 %
Svezia non-manuale 146 84 -42 %
manuale 213 143 -33 %
Norvegia non-manuale 164 91 -45 %
manuale 220 149 -32 %
Danimarca non-manuale 135 110 -33 %
manuale 223 160 -28 %
Inghilterra e Galles non-manuale 179 116 -35 %
manuale 264 196 -26 %
Italia (Torino) non-manuale 136 90 -34 %
manuale 166 105 -37 %
Tabella 1: Tassi maschili di mortalità cardiovascolare per classe lavorativa alle età 30-59.
Fonte: Mackenbach J., Bos o., Andersen M. et al., 2003. Widening socioeconomic inequalities in mortality in six Western European countries. International Journal of Epidemiology.

*tassi espressi per persone-anno, ovvero per l’ammontare medio della popolazione residente (per 100 000).

Dando un’occhiata con la lente d’ingrandimento, si scopre che le disparità per classe sociale sembrano essere più marcate nei tassi di mortalità che nella incidenza effettiva delle malattie cardiovascolari, evidenziando un possibile problema legato alle disparità nell’accesso a cure appropriate e tempestive [11], anche se il sistema sanitario italiano offre una copertura che in teoria dovrebbe essere universale.
Differenze significative per classe sociale vengono rilevate anche nei tassi di sopravvivenza al cancro in entrambi i sessi [12], mentre le disparità sociali per quanto riguarda l’incidenza, per lo meno tra le donne sono meno marcate [13].

Il bisogno di dati nazionali

Seppure molto dettagliati e di ottima qualità, questi dati offrono solo una fotografia parziale della situazione italiana che è notoriamente caratterizzata da ampia eterogeneità territoriale, mentre in altri paesi europei, in particolare nei paesi scandinavi, i dati disponibili permettono analisi approfondite a livello nazionale e di lungo periodo.
Dopo i due studi Istat del 1981 e del 1991, purtroppo il linkage censimento-certificati di morte è stato interrotto e con esso si è persa la possibilità di monitorare l’andamento delle disuguaglianze di mortalità a livello nazionale. Eppure i risultati provenienti dai vari studi condotti tramite registri di patologia, indagini campionarie e dati relativi a popolazioni locali, parlano di un fenomeno che esiste e che si evolve con dinamiche specifiche e peculiari rispetto ad altri paesi europei. Sarebbe interessante essere in grado di continuare ad analizzarne le caratteristiche e i trend temporali su base nazionale, in modo da approfondirne la conoscenza.

Per saperne di più

[1] Istat, 1990. La mortalità differenziale secondo alcuni fattori socio-demografici, anni 1981-1982. Istituto Nazionale di Statistica, Roma.
[2] Istat, 2001. La mortalità differenziale secondo alcuni fattori socio-demografici, anni 1991-1992. Istituto Nazionale di Statistica, Roma.
[3] Luy M., Di Giulio P., Caselli G., 2011. Differences in life expectancy by education and occupation in Italy, 1980-1994: Indirect estimates from maternal and paternal orphanhood. Population Studies 65(2): 137-155.
[4] Faggiano F., Versino E., Lemma P., 2001. Decennial trends of social differentials in smoking habits in Italy. Cancer Causes and Control 12(7):665-671.
[5] Cavelaars A., Kunst A., Geurts R. et al., 2000. Educational differences in smoking: international comparison. BMJ: British Medical Journal 320(7242):1102.
[6] Mackenbach J., Kunst A., Cavelaars A. et al., 1997. Socioeconomic inequalities in morbidity and mortality in Western Europe. The Lancet  349(9066):1655-1659.
[7] Kunst A., Groenhof J., Mackenbach J. et al., 1998. Occupational class and cause specific mortality in middle aged men in 11 European countries: comparison of population based studies. Commentary: Unequal inequalities across Europe. BMJ: British Medical Journal 316(7145):1636-1642.
[8] Leombruni R., Richiardi M., Costa G., 2008. Aspettative di vita, lavori usuranti e equità del sistema previdenziale. Prime evidenze dal Work Histories Italian Panel. Laboratorio Ravelli, Collegio Carlo Alberto, Working Paper 75.
[9] d’ Errico A., Filippi M., Demaria M. et al., 2005. Mortalità per settore produttivo in Italia nel 1992 secondo le storie lavorative INPS. Medicina del Lavoro 96:52-65.
[10] Mackenbach J., Bos o., Andersen M. et al., 2003. Widening socioeconomic inequalities in mortality in six Western European countries. International Journal of Epidemiology 32(5):830.
[11] Petrelli A., Gnavi R., Marinacci C. et al., 2006. Socioeconomic inequalities in coronary heart diseases in Italy: a multilevel population-based study.Social Science & Medicine 63(2):446-456.
[12] Rosso S., Faggiano F., Zanetti R. et al., 1997. Social class and cancer survival in Turin, Italy.  Journal of Epidemiology and Community Health 51(1):30-34.
[13] Spadea T.,  Zengarini N., Kunst A. et al., 2010. Cancer risk in relationship to different indicators of adult socioeconomic positions in Turin, Italy. Cancer Causes and Control 21(7):1117-1130.


[1]                  Numero atteso di anni che restano ancora da vivere all’età di 35 anni.

 

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