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Disuguaglianza e stagnazione dei redditi familiari in Italia*

L’ultimo quarto di secolo è stato probabilmente il più difficile dalla Seconda Guerra Mondiale per le famiglie italiane. La crisi valutaria del 1992 ha rappresentato la prima netta frenata nello sviluppo economico del Paese. Nel quindicennio successivo, la crescita è stata moderata, alimentando il dibattito sul “declino” dell’economia italiana dei primi anni 2000. Questa debole ripresa si è bruscamente interrotta con la crisi finanziaria globale del 2008-09, cui è seguita la crisi dei debiti sovrani nel 2011-13. La “doppia recessione” ha inferto un colpo decisivo alla dinamica già stagnante del reddito disponibile delle famiglie, che è ritornato in termini pro capite sui livelli prevalenti alla fine degli anni Ottanta (Figura 1). Tra i maggiori paesi avanzati, solo in Italia il reddito reale delle famiglie pro capite è diminuito negli ultimi vent’anni. L’analisi dell’evoluzione della disuguaglianza non può essere disgiunta, in Italia, dall’attenzione per questa prolungata stasi nei livelli dei redditi familiari.

Per capire come sia cambiata la distribuzione dei redditi reali in Italia si può ricorrere alla “Parata di Pen”. È questo uno strumento per rappresentare visivamente la distribuzione, suggerito dall’economista olandese Jan Pen nel 1971. Egli immaginò che la popolazione di un paese sfilasse in parata in ordine di altezza, dove però l’altezza di ciascun individuo era proporzionale al suo reddito. Così all’inizio giungevano le persone più basse, i poveri, poi gradatamente le classi medie e infine, negli ultimi istanti, i ricchi, assai più alti di tutti gli altri; i ricchissimi passavano per ultimi ed erano così alti da non poter essere visti nella loro interezza. La Figura 2 riporta la Parata di Pen per la distribuzione dei redditi (ai prezzi del 2014) degli italiani in quattro periodi: i due periodi 1989-91 e 1993-95 circoscrivono la crisi valutaria del 1992, mentre i periodi 2004-06 e 2012-14 delimitano la doppia recessione recente.¹ Per valutare la dinamica delle situazioni di disagio economico, nella Figura è riportata anche una linea orizzontale che indica una soglia di povertà tenuta costante nel tempo². Le stime si basano sui dati dell’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie³.

Confrontando la Parata di Pen prima e dopo la crisi valutaria del 1992, si osserva che la quota degli individui poveri è passata dal 13 al 19 per cento, soprattutto per la caduta dei redditi delle persone appartenenti alle classi medio-basse. Nello stesso periodo, le persone con redditi più alti non solo non hanno subito perdite, ma hanno anche visto migliorare la loro condizione economica. La quota delle persone povere è aumentata anche durante la doppia recessione e in misura molto simile, dal 14 al 19 per cento. In questo secondo episodio, la riduzione dei redditi ha riguardato però tutta la popolazione, come mostra lo spostamento verso il basso di tutta la curva associata alla Parata di Pen tra il 2004-06 e il 2012-2014.

Utilizzando l’indice di Gini del reddito, una misura convenzionale di disuguaglianza, si osserva come esso sia rapidamente cresciuto nella recessione dei primi anni Novanta, ma non abbia subito cambiamenti rilevanti in seguito, né durante la modesta espansione che si è registrata fino al 2007, né durante la lunga recessione successiva (Tavola). Il brusco aumento della disuguaglianza dei primi anni Novanta è sostanzialmente riconducibile al passaggio di molti dalla classe medio-bassa dei redditi alla classe più povera [4]. Fatta eccezione per questo episodio – la crisi valutaria del 1992 – non vi sono indicazioni che la classe media, definita in termini di reddito, si sia assottigliata.

L’andamento della disuguaglianza nelle due principali recessioni dell’ultimo quarto di secolo è quindi diverso. Durante la crisi valutaria del 1992 è aumentata all’interno dei gruppi socio-demografici, mentre contemporaneamente si allargavano i divari tra questi gruppi, per esempio tra residenti nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno. Durante la doppia recessione avviatasi nel 2008-09, assai più lunga e pesante in termini di caduta del PIL, sono invece soprattutto cresciuti i divari tra i gruppi socio-demografici, senza che si registrassero ripercussioni evidenti sul livello misurato di disuguaglianza. Sono aumentati i divari tra i giovani e gli anziani, come osservato da numerosi commentatori; ma si è anche allargata la distanza tra chi vive in famiglie di nati in Italia e chi in famiglie di nati all’estero. L’onere della doppia recessione è ricaduto in maniera cospicua sulle persone immigrate.

La sostanziale stabilità delle misure aggregate di disuguaglianza negli ultimi dieci anni nasconde quindi importanti cambiamenti nelle posizioni relative di specifici gruppi socio-demografici. In un quadro di cronica debolezza della dinamica dei redditi, questa ridefinizione delle posizioni relative di reddito di intere fasce sociali – in particolare, i lavoratori rispetto ai pensionati, i giovani rispetto agli anziani – può aiutare a spiegare il diffuso senso di impoverimento e indebolimento delle prospettive future, percepito dalle persone e riflesso nel dibattito pubblico, nonostante che gli indici statistici non mostrino né un aumento della disuguaglianza né una scomparsa della classe media.

Vi è in Italia la necessità di migliorare gli strumenti redistributivi per rendere meno sperequata la distribuzione del reddito, ma il raggiungimento di una “crescita inclusiva” non può non passare da un ritorno alla crescita, dell’economia e dei redditi familiari.

* Questo articolo riassume risultati discussi più estesamente nel saggio degli autori “Inequality Amid Income Stagnation: Italy Over the last Quarter of a Century”, in corso di pubblicazione in Inequality and Inclusive Growth in Rich Countries: Shared Challenges and Contrasting Fortunes, a cura di Brian Nolan, Oxford University Press. Le opinioni qui espresse sono soltanto quelle degli autori e, in particolare, non riflettono necessariamente quelle della Banca d’Italia.

Note

¹ Il calcolo delle curve per coppie di anni è volto ad aumentare la robustezza statistica delle stime.

² Questa soglia corrisponde a un valore pari alla metà del reddito equivalente medio nel periodo 1989-91 (all’incirca 9.000 euro ai prezzi del 2014).

³ Per tenere conto dei diversi bisogni per età e della presenza di economie di scala nei consumi all’interno di una famiglia (per esempio, le spese per il riscaldamento non aumentano proporzionalmente con il numero dei componenti), tutte le stime sono effettuate con riferimento al reddito “equivalente”. Questo rappresenta una misura di benessere economico data dal reddito familiare diviso per il numero di “adulti equivalenti” definito in base alla dimensione e alla struttura familiare. Il numero di adulti equivalenti è qui calcolato applicando la scala di equivalenza modificata dell’OCSE, generalmente utilizzata dagli istituti di statistica europei, che attribuisce valore 1 al primo componente adulto, 0,5 a ogni altro componente di età superiore ai 13 anni e 0,3 a ogni componente di età uguale o inferiore ai 13 anni.

[4] Ai fini dell’analisi, la popolazione è stata suddivisa, utilizzando soglie convenzionali, in quattro classi di reddito equivalente: persone povere (reddito inferiore al 60 per cento di quello mediano); persone a reddito medio basso (reddito compreso tra il 60 e il 120 per cento di quello mediano); persone a reddito medio alto (reddito compreso tra il 120 e il 300 per cento di quello mediano); persone ricche (reddito superiore al 300 per cento di quello mediano).

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