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Dinamiche giovanili nel “vecchio” continente

Sebbene tutta Europa sconti un calo demografico ed una diminuzione della componente giovane, la condizione dei giovani è nettamente peggiore nel Sud Europa rispetto al Nord. In conseguenza, osservano Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin, si allarga ulteriormente il divario all’interno della UE e si alimentano i flussi migratori intraeuropei da Sud a Nord, sottovalutati perché spesso sono temporanei e non registrati dalle anagrafi.

Come noto, la popolazione europea sta progressivamente – ed inesorabilmente – diminuendo, sia in termini assoluti ma soprattutto in relazione al totale mondiale: se nel 1950 l’Europa rappresentava il 22% della popolazione mondiale, oggi siamo appena al 10% e, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite¹, arriveremo al 7,3% nel 2050. In particolare, è significativo il confronto con la crescita della popolazione africana: se nel 2017 ogni 10 europei c’erano 17 africani, nel 2050 ce ne saranno 35.

L’invecchiamento della popolazione europea dipende principalmente da due fattori: la sempre più elevata speranza di vita (dovuta ai progressi scientifici e agli alti standard igienico-sanitari) e la bassa natalità (determinata da fattori sociali, economici e culturali). Di questo passo, l’aggettivo “vecchio” riferito al continente europeo non riguarderà solo la storia ma anche l’età anagrafica degli abitanti.

Pochi giovani in Europa

La prima conseguenza di questa situazione è la diminuzione della componente giovane, con conseguenze anche culturali e sociali (di solito è la componente più in salute, più intraprendente e più propensa al rischio d’impresa). I giovani (sotto i 35 anni) nella Ue-28 erano il 45% della popolazione totale nel 2000, quota scesa al 39,0% di oggi, e destinata a ridursi al 35% nel 2050.. Consideriamo però che parlare di Ue-28 come di un unico aggregato nasconde le enormi differenze esistenti tra gli Stati membri.

Già oggi, l’incidenza dei giovani varia dal minimo dell’Italia (34,1%) al massimo dell’Irlanda (46,0%) ed, in generale, esiste una frattura tra paesi del Nord Europa, mediamente più giovani, e paesi Mediterranei (più anziani). L’area dell’Est Europa si colloca a mezza via in quanto, pur avendo una popolazione mediamente più giovane, sconta una perdita di popolazione in quella fascia di età dovuta all’emigrazione.

Forti divari nella condizione giovanile

Un primo elemento di forte eterogeneità tra i giovani europei riguarda l’età media in cui lasciano la casa dei genitori. Secondo le stime Eurostat, mediamente il “distacco” avviene a 26 anni nell’area Ue-28, ma la forbice è molto ampia: si va dai 18,5 anni della Svezia ai 31,8 anni della Croazia. Anche in questo caso si può osservare la frattura tra Nord Europa (nei paesi scandinavi il distacco avviene prima dei 23 anni) ed Europa Mediterranea e dell’Est. In quattro paesi (Croazia, Slovacchia, Malta e Italia) si esce di casa dopo i 30 anni (Eurostat, 2018).

Un altro elemento di diversità è rappresentato dal titolo di studio. A livello europeo, mediamente il 39,2% dei giovani di età 25-29 anni ha almeno la laurea. In soli quattro paesi tale componente scende sotto il 30%: uno di questi è l’Italia, con il 27,6% di giovani laureati. Nonostante questo livello sia fortemente cresciuto negli ultimi anni (nel 2004 era al 13,3%), il divario rispetto alla media Ue è rimasto costantemente al di sopra dei 10 punti percentuali (Eurostat, 2018).

Questa divergenza si ripercuote anche nella situazione occupazionale. Se analizziamo il tasso di occupazione, il tasso di disoccupazione e la percentuale di giovani di 25-29 “NEET” (acronimo inglese che significa giovani Not in Enployment, Education or Training), osserviamo come Italia, Grecia e Spagna siano agli ultimi posti in Europa, con un divario molto ampio rispetto alla media Ue.

La situazione dunque non è omogenea. Sebbene tutta Europa sconti un calo demografico ed una diminuzione della componente giovane, la condizione dei giovani è nettamente peggiore nel Sud Europa rispetto al Nord. Questo non fa altro che aumentare ulteriormente il divario all’interno dell’Ue alimentando, di conseguenza, i flussi migratori da Sud a Nord. I differenziali salariali alimentano poi migrazioni verso i paesi più ricchi (a partire dalla Germania). Spesso questi movimenti sono sottovalutati perché a volte sono temporanei e non registrati dalle anagrafi. Tuttavia, senza politiche decise e lungimiranti, i paesi con meno opportunità saranno destinati a veder crescere l’esodo dei giovani verso l’estero, come già successo in questi anni ai paesi dell’Est.

Note

¹ United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2017). Probabilistic Population Projections based on the World Population Prospects: The 2017 Revision

 

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