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Aumentano le nozze ma aspettiamo a festeggiare

Ci siamo ultimamente abituati a una realtà che si rivela peggiore rispetto a quanto immaginato e previsto. La crisi economica (e la sua durata), l’esito del referendum britannico e delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti: comunque la si pensi, sono tutti eventi in qualche modo “inattesi” e che producono incertezza sul futuro e incentivano un atteggiamento difensivo. Anche il crollo delle nascite degli ultimi anni sui valori più bassi dall’Unità ad oggi non era previsto. Lo “scenario basso” (quello meno roseo) delle proiezioni Istat più recenti, con base 2011, restituisce 513 mila nati nel 2015, mentre il valore reale osservato è stato di 486 mila. Risulta allora particolarmente interessante il dato in controtendenza dei matrimoni, in aumento nel 2015 rispetto all’anno precedente¹. Tanto più che solo pochi mesi fa il Censis aveva delineato un quadro deprimente nel suo studio dal titolo “Non mi sposo più”. Il ritratto che ne usciva era di una crisi irreversibile da ricondurre in larga parte “alla deresponsabilizzazione affettiva delle nuove generazioni”. Le previsioni inglesi su Brexit, americane su Trump, dell’Istat sulle nascite, del Censis sui matrimoni, ci dicono, prima di tutto, che dobbiamo fortemente potenziare la nostra capacità di lettura e analisi della realtà, dei suoi mutamenti , dei comportamenti e dei processi decisionali dei cittadini.

Detto questo, un aumento della formazione delle unioni era però da mettere in conto, anche se non era scontato vederlo con i dati del 2015 e sulle unioni coniugali. Per capire meglio le dinamiche attuali può essere però utile uno sguardo all’evoluzione storica dei matrimoni in Italia.

Il recupero post crisi

Nel 1939 si sono celebrate in Italia 320 mila nozze. Negli anni più bui della guerra si scende a 215 mila, ma nel 1948 si sale a ben 385 mila. Quello che infatti tipicamente accade (valeva anche per le grandi carestie ed epidemie del passato) è che durante gli anni difficili chi progettava di sposarsi ci pensa un po’ di più prima di fare il grande passo, sia per le difficoltà oggettive sia per il clima di incertezza. Finita la crisi c’è un ritorno alla normalità a cui si somma il recupero di chi ha rinviato. Anche il dato positivo del 2015 può quindi essere letto come inizio dello scongelamento delle scelte dopo un lungo periodo di recessione. Ma questa inversione di tendenza è ancora più rilevante se si pensa che la crisi ha accentuato una contrazione dei matrimoni già in atto prima del 2008.

Cambiamenti culturali e freni oggettivi

Il numero di matrimoni rimane elevato fino al 1973, anno della crisi petrolifera che segna anche la fine dei “Trenta gloriosi”, ovvero della fase di crescita e welfare espansivo che aveva caratterizzato i primi tre decenni del secondo dopoguerra. Da allora inizia una parabola discendente. Ci si sposa sempre più tardi e sempre di meno. Si entra in uno stato di minori sicurezze sociali, di maggiori incertezze verso il futuro, di riduzione di opportunità per le nuove generazioni ².

Da oltre 400 mila matrimoni ad inizio anni Settanta si scende a meno di 250 mila nel 2008. Ai fattori strutturali già accennati si sovrappongono anche cambiamenti culturali profondi. I percorsi di transizione alla vita adulta si fanno meno standardizzati, più liberi dalle norme sociali e più autodiretti. Un po’ più tardi rispetto agli altri paesi, ma questi cambiamenti investono anche l’Italia. Sia per scelta che per reazione adattiva ad uno scenario di crescenti incertezze nelle relazioni di coppia e di prospettive lavorative, aumentano le unioni informali. Non a caso, a diminuire sono soprattutto i “primi” matrimoni, quelli tra celibi e nubili: da quasi 400 mila negli anni Settanta scendono a 185.749 nel 2008 e a 142.754 mila nel 2014, il valore più basso in assoluto da quanto l’Istat rileva il dato.

Un segnale positivo, ma il futuro rimane incerto

Il dato positivo del 2015 riguarda i matrimoni nel complesso, aumentati di circa 4600 unità rispetto all’anno precedente, ma anche le prime nozze tra cittadini italiani crescono di circa 2000 unità. Può sembrare un incremento modesto, ma è particolarmente rilevante per almeno tre motivi. In primo luogo la riduzione era stata di oltre 10 mila unità dal 2013 al 2014. Se si fosse scesi ancora della stessa entità – e nessuno si sarebbe in tal caso meravigliato – avremmo avuto 132 mila prime nozze nel 2015 anziché quasi 145 mila. Secondo: è cresciuta nel tempo la propensione dei giovani a formare la prima unione in modo informale, non era quindi scontato che la ripresa delle unioni post crisi interessasse anche il vincolo coniugale. Terzo: la denatalità passata sta producendo un processo di “degiovanimento” della popolazione italiana, con la conseguente riduzione progressiva della popolazione potenziale in età da prime nozze: se prendiamo come riferimento la popolazione femminile di 32 anni – che corrisponde all’attuale età media al primo matrimonio – si è passati da valori superiori a 450 mila donne di tale età dieci anni fa a circa 350 mila oggi.

L’aumento dei matrimoni è quindi un segnale incoraggiante, ma se non potenziamo gli strumenti a favore dell’autonomia delle nuove generazioni e di solido accesso al mondo del lavoro, rischia di essere una ripresa timida, non in grado di dare un vero impulso di vitalità al Paese.

Note:

¹Istat, “Matrimoni, separzioni e divorzi – Anno 2015”, Statistiche report, 14 novembre 2016.
²A.Rosina, S.Sorgi, “Il futuro che (non) c’è. Costruire un domani migliore con la demografia” , Editore Bocconi, 2016.

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